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Sezione a cura di Mario Volpi
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Usato … Insicuro

Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Oggi i mercatini dell'usato nascono come funghi, per soddisfare più una moda che una necessità. Ma un tempo il riciclo era vitale per una Società che stava faticosamente entrando in una fase più moderna e tecnologica, specialmente in alcuni, nuovissimi settori.

In pieno boom economico, l’Italia, degli anni sessanta, venne alle prese con il primo problema che la corsa alla motorizzazione comportava; dove mettere le automobili che per incidenti, incendi, o vecchiaia, erano alla fine del loro ciclo vitale? L’italico ingegno, non si lasciò scappare questa ghiotta occasione di fare un pò di quattrini, nacquero così gli sfasciacarrozze, chiamati in dialetto “sfascin”. A mezza strada tra i vecchi “stracciai,” e i moderni meccanici, questa categoria di persone almeno a quei tempi, riuscivano a trarre di che vivere da questo nuovo mestiere. Acquistavano dal proprietario per poche lire la macchina da demolire, vendendo come usato, i pezzi ancora utilizzabili, come sedili, vetri, portiere, pezzi di motore, ruote, o addirittura motori interi. Quando la macchina era ridotta alla sola carcassa, la portavano alle fonderie per la fusione, insieme ad altri materiali come, alluminio, rame, e il piombo delle batterie. Non si poteva certo dire che operassero in ambienti salubri. La maggior parte di loro, infatti, era sistemata alla meno peggio, in appezzamenti di terreno presi in affitto, o di proprietà del titolare, con una semplice tettoia di lamiera ondulata, che fungeva da ufficio, più che spartano. Anche il personale impiegato era ridotto al minimo, non era raro vedere il cliente, armato di pinze o cacciavite, intento a smontare per conto proprio un fanalino, o un parabrezza. Discorso diverso era invece quello riguardante pezzi meccanici. L’intero motore era smontato dalla macchina demolita, e riparato dalle intemperie dentro la carcassa di qualche auto. Stabilito con il titolare il prezzo del pezzo desiderato, era concordato anche il costo per lo smontaggio, sapendo benissimo che, una volta smontato, doveva essere acquistato indipendentemente dalle sue condizioni, infatti su ogni pezzo acquistato non era riconosciuta nessuna forma di garanzia. Con l’aumentare del parco auto circolante, crebbe di conseguenza anche il numero delle ditte di demolizione auto, che purtroppo, per decenni, operarono in una vera e propria giungla legislativa, senza leggi, e senza controlli, causando in molti casi dei veri e propri disastri ambientali. A quei tempi la parola “ecologia” era sconosciuta, e le prime avvisaglie di “benessere economico,” associato alla frenesia del guadagno facile, portarono molti a intraprendere vere e proprie “scorciatoie” in nome del dio denaro. I liquidi inquinanti come olio, benzina, nafta, o acido per le batterie, erano sversati tranquillamente nel terreno, non per malafede, ma percepiti come una conseguenza naturale allo smontaggio di un motore. Per “pulire” cavi elettrici dal rivestimento di gomma, i sedili dall’imbottitura, separare il piombo dalle batterie dal rivestimento, o la carrozzeria dalla vernice, il metodo più semplice era appiccare il fuoco. All’imbrunire era normale vedere alte colonne di acre fumo nero, levarsi da cumuli di rottami all’interno dei luoghi di demolizione, spesso ubicati vicino alle abitazioni.  Ardevano tutta la notte, così il mattino erano pronti per la vendita. Nelle grandi città, poi, la malavita, non si lasciò certo sfuggire l’occasione di entrare in un mercato così ricco, e a basso rischio, come il furto e il riciclaggio di auto. Macchine di lusso, o particolari, erano rubate, portate all’interno di autodemolitori compiacenti, smontate in gran fretta, e rivendute a pezzi, ricavando cifre astronomiche a costo, e rischi, pari a zero. Agli inizi degli anni ottanta, la situazione da girone infernale di quest’attività, era sotto gli occhi di tutti, così finalmente, il legislatore, cercò di porre in essere una serie di leggi che disciplinassero in modo più moderno e civile, le attività dei demolitori. Però, come spesso accade, nel bel Paese, le organizzazioni di Categoria, alzarono la voce, e di proroga, in proroga, si arrivò a oltre la metà degli anni novanta. Oggi, per fortuna, molti demolitori, ubicati un tempo a ridosso, o addirittura all’interno dei centri abitati, sono stati chiusi, quelli rimasti, in verità molto pochi, anche a causa dei nuovi, e sofisticati, sistemi di costruzione delle auto, sono vere e proprie aziende come tutte le altre, sottoposte a regole e controlli severi, soprattutto in campo ecologico, con l’obbligo della raccolta, stoccaggio, e smaltimento in centri autorizzati dei liquidi inquinanti, e il riciclaggio di materiali un tempo assenti, come plastica, vetroresina, e vinile. Nonostante tutto, però, ricordo con una punta di nostalgia, quando, appena diciottenne, mi recavo dal demolitore, sperando di trovare e acquistare, per poche lire, i Loghi, il volante, il pomello del cambio, o i terminali della marmitta, di qualche “500 Abarth”, o “500 Special,” incidentate, da sfoggiare, sgasando come un pazzo, la domenica successiva, fuori della balera “Umbertino,” a Marina di Carrara.
 
 
Mario Volpi
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