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Sezione a cura di Mario Volpi
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La chimica nel piatto

Una Volta Invece
Spetta/Le Direzione
 
Qualcuno dice che gli anni cinquanta sono stati una sciagura per il territorio Apuano, inquinato da colossi industriali come Montecatini e Rumianca, oggi scomparsi. La chimica "cattiva," fece danni anche nell'alimentazione umana, di cui molti effetti negativi, sono giunti fino a noi.

La sopravvivenza del genere umano, per millenni, è stata messa in pericolo delle carestie. La denutrizione, apriva la porta a devastanti epidemie, che, come un cane che si morde la coda, provocavano lutti, togliendo forza lavoro alla produzione di cibo. Quel poco che si riusciva a produrre poi, era spesso contaminato da esseri invisibili, ma molto più potenti degli uomini; i batteri. Così si cominciò a cercare di conservare il cibo, essiccandolo, affumicandolo, mettendolo sotto olio o sale. Ma la quantità era sempre poca, e costava molto, mettendolo fuori portata per la maggior parte della popolazione. Il cibo conservato, poi, pur mantenendo gran parte delle sue proprietà organolettiche, spesso cambiava aspetto, in alcuni casi così radicalmente da essere poco appetibile. Mentre ciò era preso come inevitabile per il consumo famigliare, non era ammissibile nel nuovo tipo di commercio che si andava affermando in Italia nel primo dopoguerra. Negli anni sessanta l’Italia conosce un vero e proprio boom economico, che porta il commercio a livelli mai visti prima. Questo, non solo incrementa in modo esponenziale il numero di nuovi prodotti alimentari, ma anche il modo di esporli, con la nascita dei primi veri e propri professionisti del settore; i vetrinisti. Così si vedranno vere e proprie opere d’arte, esposte nelle scintillanti vetrine dei primi grandi negozi, padri dei futuri supermercati, dove simulacri in cartapesta colorata, simuleranno al meglio l’aspetto di qualche “nuovo cibo,” Anche la nascente pubblicità televisiva mostrerà l’alimento reclamizzato con un aspetto magnifico. Ma dal dire al fare c’è di mezzo il mare dice un antico adagio. Un salame stagionato, o una salciccia, non potrà mai avere il colore rosso della carne fresca, niente paura ci penserà la nuova chimica. Una serie pressoché infinita di additivi, come coloranti, conservanti, addensanti ed esaltatori di sapore, sarà messa nel cibo, senza preoccuparsi troppo dei possibili danni alla salute dei consumatori. Al tempo lo scopo principale era produrre a basso costo, per vendere con alti profitti, e spesso non si sapeva neppure cosa, quell’enorme massa di sostanze chimiche, potesse causare nell’organismo umano. Si arrivò a mettere coloranti, e additivi per simulare vari sapori, perfino nelle medicine. Oggi, a distanza di più di mezzo secolo, queste sostanze sono ancora usate, e ancora si dibatte sulla loro pericolosità. Si è capito ad esempio, che i Nitriti, e i Nitrati, che sono messi nelle carni lavorate, da soli, sono innocui, ma che a causa delle trasformazioni che avvengono nel nostro apparato digerente, si possono trasformare in Nitrosamine, sostanze cancerogene, presunte responsabili di tumori allo stomaco, e all’esofago. Anche il più antico e nobile degli alimenti, il vino, non è sottratto alla pratica ormai assodata di aggiungere gli additivi. In questo caso i più comuni sono l’Anidride Solforosa, Solfiti e Bisolfiti. La scienza ufficiale li classifica come innocui, in grado solo di causare in qualcuno un feroce mal di testa, dimenticando che in soggetti ipersensibili o allergici, possono provocare importanti attacchi d’asma, o difficoltà nel respiro. Un altro alimento basilare nell’alimentazione della popolazione italiana, e il pane. Ebbene, se pensate che il pane di oggi, sia come quello della nonna, con farina, sale, e lievito vi sbagliate di grosso. La farina odierna per la panificazione, e un vero e proprio concentrato di additivi, che spaziano dal glutine secco, ai nebulosi e non ben definiti, “additivi tecnologici,” che cominciano con sfarinati di dubbia provenienza e qualità, fino ad arrivare a sostanze chimiche vere e proprie. Purtroppo qui, i regolamenti e le norme sono approssimative, e di non facile interpretazione, che di fatto lasciano campo libero all’aggiunta selvaggia di additivi in prodotti da forno, tra cui la più “inquinata,” è certamente la farina per pizza. Oggi, le donne che lavorano sono sempre di più, quindi il tempo per cucinare manca, l’industria colma questa lacuna producendo squisite zuppe e minestre già pronte, al gusto di carne, pesce, o verdure, non ci sono problemi, escludendo che questi “gusti,” sono solo simulati da “esaltatori di sapidità,” i famosi E620, ed E640, che ormai la fanno da padroni. Che dire poi dei coloranti. Assolutamente inutili, messi solo per “abbellire,” un prodotto, alcuni di questi, come il famoso E123, rosso amaranto, un tempo usatissimo dalle bevande, fino alle caramelle, è stato ritirato dal commercio, perché fortemente sospettato, di essere cancerogeno, ma ancora usato per “dipingere,” di rosa le uova di Lompo, o finto caviale. L’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare, ha fatto una lista delle molecole approvate, apponendo una E seguita da un numero. Questo dal 100, fino al 199, indica un colorante, mentre quelli superiori indicano un altro tipo di additivo. Per legge, tutto deve essere riportato in etichetta, ma il consumatore non è un perito chimico, e spesso ignora il significato di queste sigle. Il commercio globale poi, ha cercato, e cerca, di vendere i propri prodotti in tutto il mondo, senza preoccuparsi troppo delle restrizioni alimentari presenti in molti Paesi. Gli Stati Uniti, hanno una legge che permette l’uso di estrogeni nella carne, cosa di una gravità inaudita. Solo dopo una lunga e intensa protesta dei consumatori europei, nel 2019, il presidente Trump e i rappresentanti dei Paesi Ue, hanno firmato un accordo ratificando che la carne importata dagli U.S.A dovrà essere priva d’ormoni. Un esempio di mercato “selvaggio” privo di regole, viene proprio dagli U.S.A, da anni impegnati in una guerra contro, le cardiopatie, e l’obesità, che colpiscono soprattutto gli adolescenti, causate dalla vendita di “mega porzioni,” di prodotto, imbottite in modo eccessivo di additivi, grassi e zuccheri, che l’industria alimentare americana usa a piene mani, proprio in prodotti dedicati ai più piccoli, come snack e merendine. I maligni dicono che è una politica per abituare fin da piccoli i gusti alimentari della gente, al “grande, grasso, e dolce” Forse è una malignità, ma spesso, a pensare male ci si azzecca.

 
Mario Volpi 26.9.21
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