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Sezione a cura di Mario Volpi
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l'attacco

Medioevo carrarino

Spett/le redazione
Questo racconto è "liberamente tratto da una storia vera" I luoghi, i fatti, e alcuni descrizioni sono assolutamente reali, il resto è frutto di fantasia. L'italiano e alcuni vocaboli usati sono volutamente "antichi" questo per fare meglio capire il periodo in cui i fatti sono accaduti.

L'attacco

Il giovane Capitano si svegliò di soprassalto madido di sudore, aveva avuto un incubo. Gli pareva che un drago si fosse avventato contro la fortezza sputando fuoco, e che né lui, né i suoi uomini riuscissero a fermarlo.
Guardando fuori dalla finestra coperta da una sottile pergamena, vide un tenue chiarore, l'alba era vicina, una lucerna a olio illuminava fiocamente la sua stanzetta sotto la torre, si coprì alla meno peggio col mantello e usci a prendere un po' d'aria. Sul camminamento di ronda vide la sentinella insonnolita appoggiata alla picca, che appena lo scorse, riprese il suo giro con passo pesante e cadenzato, lui fece due passi e si affacciò alla merlatura della torre.
Lo spettacolo era superbo. Il cielo limpido e nero come la pece, era punteggiato da un milione di stelle, mentre la luna piena brillava come una perla solitaria. Il grido di una civetta lo fece rabbrividire, e sperò vivamente che non fosse, assieme al suo sogno, presagio di sventura. Del resto cosa può fare un uomo contro il Fato? Non aveva forse giocato con la sua vita come un fanciullo con il suo balocco? Gli tornò alla mente il racconto di colui che egli aveva amato come un padre: Gli disse che era nato in un'isola in mezzo al mare che si nomava Corsica, i suoi genitori erano morti di peste bubbonica, come tutti gli abitanti del suo villaggio, e quando i soldati pisani vi si recarono per incendiare le case e fermare il morbo, sentirono il suo pianto. Era ancora avvolto dalle fasce, ed essi pensarono che fosse un miracolato protetto da Dio, il Capitano del drappello lo chiamò Fortunato, e lo allevò come se fosse figlio suo. Egli era un rude soldato di ventura, possedeva un drappello di quaranta uomini, che poneva al servizio di chiunque lo pagasse. Mentre la notte cominciava a scolorire, vide accendersi una lucerna nel Borgo, seguita poco dopo da altre, i villani si levavano per le consuete faccende quotidiane, vita aspra la loro, ma anche la sua non era stata certamente dolce. Adalberto, l'uomo che lui chiamava padre, lo crebbe con la durezza di un soldato, gli insegnò a tirare di balestra, d'archibugio, a maneggiare la picca, e la mazza ferrata, solo la spada gli era preclusa, perché prerogativa dei cavalieri, e poco adatta a un soldato di ventura.  Il suono della campana del quarto di guardia, lo fece sobbalzare, scese dal camminamento e ritornò nella stanza. Alla sua morte egli assunse il comando, e la proprietà del drappello, dopo anni di dure battaglie mercenarie, che gli avevano indurito lo spirito e segnato il corpo di mille cicatrici, accettò l'offerta del Principe Alberico Cybo Malaspina, Signore di Massa e di Carrara, di presidiare una Rocca che si nomava Moneta. Il soldo era onesto, e in più, un decimo delle gabelle sulle merci erano per lui. Suo compito era tenere lontano da quella contrada i "rubatori delle strade *" di riscuotere le gabelle sulle merci, ma anche di presidiare la fortezza a difesa della valle di Carrara, contro i vicini Ortonovesi, assoggettati alla potentissima Repubblica di Genova. La Rocca era pressoché imprendibile. Posta a guardia della "Foce di Ortonovo" era situata su di un colle, proprio all'incrocio di due importantissime strade, l'antichissima via del sale che portava in Lunigiana, e la via Pedemontana che portava in Liguria.  Era composta di un Borgo murato, protetto da una cinta duplice di mura, munite di torrette di guardia a sezione rotonda, con il possente Maschio, a strapiombo sui tre lati, la porta era situata sull'unico punto pianeggiante, con il ponte levatoio protetto da un'alta torre munita di bertesche e caditoie, un fossato irto di pali appuntiti circondava il tutto.
Era dotata di parecchie cisterne interrate alimentate da una piccola sorgente che scaturiva dalla roccia all'interno del Borgo, cosa che le avrebbe permesso di sostenere un assedio per lungo tempo. Il rumore del ponte levatoio che calava lo distolse dai suoi pensieri, e finito di vestirsi, si presentò all'entrata. I suoi uomini lo salutarono e così fecero i villani che uscivano dal Borgo. Era autunno inoltrato, era il tempo della raccolta delle castagne e del ricovero del carbone, che le carbonaie nella vicina Fontia producevano in gran quantità. Era appena passata la terza ora quando arrivò trafelata una vedetta portando tristi nuove. Un gruppo di armati di Ortonovo, con le insegne genovesi si apprestava verso il castello. Il Capitano non perse tempo, ordinò al tamburino di battere il "posto di combattimento",  mentre il suono della campana a martello della chiesetta, richiamò i villani, che in fretta corsero a rifugiarsi nella Rocca. Il ponte levatoio fu alzato e tutta la guarnigione si schierò sugli spalti. Dall'alto del Maschio si vedeva chiaramente avanzare un grosso manipolo di archibugieri, serrati in file ordinate che al suono dei tamburi si avvicinavano cantando per darsi coraggio. Erano almeno cento. Il Capitano liberò diversi piccioni viaggiatori per avvertire dell'attacco le fortezze di Casa Poici*, Lavenza*, e Ficola, oltre al Principe Alberico, nella Rocca di Carrara, quindi ordinò ai suoi di caricare le armi. Non capiva quest'attacco improvviso, la fortezza era potentemente armata di ben due Falconi, sei moschettoni, quattro archibugioni da posta, e anche in munizioni non difettava, potendo contare su dieci bariloni di polvere, quaranta libre di miccia in settanta gavettoni, e diversi pani di piombo. Gli archibugieri nemici appena arrivati a distanza utile si posizionarono in file di dieci, e cominciarono a sparare contro il castello. Fortunato disse agli uomini di porsi al riparo delle merlature, mentre dalle feritoie i suoi balestrieri cominciarono un tiro serrato contro gli attaccanti. Due verrettoni* colsero nel segno, e due nemici stramazzarono a terra senza un lamento. Anche i grossi Falconi* fecero udire la loro tonante voce, vomitando sugli attaccanti una micidiale salva a mitraglia. Tre o quattro archibugieri nemici furono colpiti, e i compagni tentarono di portali via, mentre arretravano per nascondersi nel bosco. Il Capitano non riusciva a capire quest'azione sconsiderata al di fuori di ogni logica di attacco, non vi erano macchine da assedio come i temibili Mangani, ne niuna artiglieria, nessuno tentò neppure di avvicinarsi alle mura, solo il tiro degli archibugi continuava, e le palle si schiacciavano in modo innocuo con tonfi sordi contro la pietra dei merli. Poi capì. Vide del fumo alzarsi dalla vicina Fontia, e si udirono dei colpi di archibugio, dopo poco anche gli attaccanti si ritirarono, il loro scopo era raggiunto. Mentre gli archibugieri li tenevano impegnati, altri armigeri Ortonovesi avevano razziato le carbonaie di Fontia. Per la popolazione, quello sarebbe stato un freddo e lungo inverno.


Volpi Mario

Note :
Casa Poici*         Castelpoggio
Lavenza*         Avenza
Verrettoni*         Frecce da Balestra
Falconi*         I primi rudimentali cannoni
Rubatori delle strade *          Nome dato un tempo ai briganti

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