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Sezione a cura di Mario Volpi
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Fuoco tascabile

Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Quando Carrara era ancora la patria mondiale del marmo, i suoi artigiani erano pronti a lanciare sul mercato qualunque novità, che la Società di quegli anni mostrava gradire. Fu così che i numerosi laboratori di souvenir del tempo, sfornarono dei veri e propri piccoli capolavori, come i set da fumo in marmo bianco, e nero. Oggi questa industria non esiste più, decentrata a Pietrasanta, e costretta vendere agli ignari turisti, spacciandolo per marmo, "Plastica di Taiwan."

L’uso del fuoco da parte della razza umana, si perde nella notte dei tempi, ma è curioso che il suo controllo, sia rimasto pressoché invariato, fin quasi a ridosso dell’Era moderna. Infatti l’accensione del fuoco, subì pochissime innovazioni tecniche, passando dallo sfregamento tra due legni con il trapano a mano, alla percussione di due pietre diverse, per finire con all’uso dell’acciarino a pietra focaia fin oltre la metà del XVIII secolo. Un cambiamento radicale si ebbe con l’evoluzione tecnologica del 1800, che portò un chimico tedesco, ad inventare un complicato marchingegno chiamato, dal suo cognome, “lampada di Dobereiner,” che era in pratica un gigantesco accendino da tavolo, che per mezzo di una reazione chimica, produceva idrogeno gassoso che si incendiava, tramite un filamento di platino. Anche se poco pratico, e molto pericoloso, quest’aggeggio era assai costoso, e, proprio per questo motivo, in poco tempo divenne una specie di “status simbol” per l’alta Società del tempo. E’ solo nel 1823, quattro anni dopo l’invenzione di questo primo accendino, che un chimico inglese, mise a punto un sistema di accensione di un fuoco con un sistema molto più pratico ed economico. L’invenzione era costituita da un minuscolo legnetto, con su un’estremità una capocchia, costituita da una miscela di antimonio, solfuro, e clorato di potassio, che se sfregata su una superfice ruvida s’incendiava. Era nato il primo rudimentale fiammifero. Fu però un italiano, Sansone Valobra, che modificò questa prima invenzione, rendendo il suo funzionamento più affidabile, a discapito però della sicurezza, anche se forse lui ai suoi tempi, non ne era a conoscenza. Per eliminare il cattivo odore dato dalla combustione e per aumentarne l’efficienza, si aggiunse alla miscela il fosforo bianco. Quest’elemento risultò da subito molto infiammabile, cosa che rendeva la nuova formula eccezionale, ma la sua instabilità, rendeva quest’elemento molto pericoloso da maneggiare in fabbrica. Inoltre, si scoprì poi, che i suoi vapori tossici, provocavano la necrosi delle ossa della mascella dei lavoratori. I fiammiferi così prodotti, erano tossici anche per gli utilizzatori, tanto che, molti Paesi Europei dopo una riunione che si svolse a Berna, decisero di cessarne la fabbricazione. Solo l’Italia, per scopi prettamente economici, aderì a questa convenzione in ritardo di oltre sedici anni. Intanto in tutto il nostro territorio nazionale, per sfruttare commercialmente questa nuova invenzione, nacquero delle piccole fabbriche di fiammiferi, mentre proprio Valobra, a Napoli, inventò, e lanciò sul mercato, un prodotto rivoluzionario, che nel corso dei decenni avrebbero soppiantato tutti gli altri; il cerino. Costituito da un fusto di carta ritorta, o cotone cerato, questo fiammifero ebbe un tale successo che sulla scotola che lo conteneva cominciarono ad apparire le prima scritte e loghi di altri prodotti, aprendo di fatto l’era della pubblicità. Intanto a Milano, molte piccole fabbriche di fiammiferi furono assorbite da un accorto imprenditore, Giacomo de Medici, che in poco tempo fondò un vero e proprio impero nella produzione di fiammiferi la” Società Anonima Fabbrica di Fiammiferi,” che dava lavoro a migliaia di lavoratori. L’industria del fiammifero subì un vero e proprio salto di qualità, sfornando fiammiferi per ogni uso, da quelli per accensione di pipe o camini, lunghi quasi venti centimetri, a quelli di sicurezza, per finire con i Minerva, e gli antivento, usati per l’accensione di micce in cave e miniere. Intanto la Prima Guerra Mondiale, dopo aver fatto strage in Europa finì, ma fra le tante innovazioni tecnologiche nate in quel nefasto periodo, vi fu uno speciale accendino, si narra nato per non fare vedere la fiamma al cecchino nemico; lo Zippo. Era costituito da un scatoletta di metallo, divisa a metà. Nella parte inferiore era ricavato il serbatoio pieno di cotone, e benzina, da cui spuntava uno stoppino. Il fornelletto, per protezione contro il vento aveva un lamierino traforato, e l’accensione avveniva girando con il dito, una rotellina zigrinata, che sfregava su una pietrina. La scintilla che ne scaturiva incendiava lo stoppino intriso di benzina, e per spegnerlo bastava abbassare l’altra metà della scatolina, e il gioco era fatto. Questo accendino ebbe un successo strepitoso, tanto che ancora oggi lo Zippo, è considerato un “cult,” tra gli appassionati. Fu però negli anni cinquanta che l’accendino conobbe il suo momento di gloria. In Italia, la vendita di sigarette aumentò in modo esponenziale, e con essa anche la voglia di possedere un oggetto che, complici anche i primi film americani, pareva dare un tocco di classe a chi lo sfoggiava, l’accendino. Le marche al tempo più gettonate erano la Ronson, la Duhill, i Dupon, o i Colibrì. Molti di questi accendini erano in oro o argento, e costavano al tempo, un vero patrimonio. A onor del vero tocca dire che anche l’industria del souvenir in marmo di Carrara, fiutò l’affare, e inventò degli splendidi “set per tavolo da fumo,” in marmo bianco o colorato, completi di accendino, e posacenere, con relativo pestello per spegnare il mozzicone, ricavati dal marmo massello. Fu verso la fine degli anni sessanta, che la Ronson, lanciò sul mercato, preceduto da un’intensa campagna pubblicitaria, il primo accendino con fiamma regolabile, alimentato a gas butano. Il successo fu incredibile e immediato, tanto che anche le altre marche corsero ai ripari, sfornando modelli con la stessa alimentazione. Fu sempre la Ronson, che non paga del successo ottenuto, attorno agli anni settanta lanciò sul mercato il primo “accendisigaro ad accensione piezoelettrica,” in cui non era più presente alcuna pietrina, e dove la scintilla scaturiva da un minuscolo impianto elettrico. Fu un altro strepitoso successo commerciale e tecnologico, che pose questa Azienda ai vertici del gradimento popolare, tanto che ancora oggi il marchio Ronson, è per i collezionisti un vero e proprio oggetto di culto. Il 1973, però, fu l’anno del cambiamento.  La BIC, leader nella costruzione di penne a sfera, decise di entrare nel lucroso mondo degli “accendisigari,” come si chiamavano comunemente questi oggetti, e sforna un modello in plastica a basso costo usa e getta. Forse la causa del declino delle altre marche fu proprio questa, perché la gente preferì di gran lunga questo nuovo prodotto, pratico, affidabile, e poco impegnativo, talmente economico da essere presente perfino sulle spiagge, venduto a 1000£ da venditori abusivi di colore. Oggi sono relativamente pochi i fumatori che sfoggiano accendini preziosi, preferendo di gran lunga il modello economico, e io da ex fumatore, vorrei che la vendita di tutti questi dispositivi cessasse del tutto, perché significherebbe, che il “fuoco tascabile” non contribuirebbe più a danneggiare, spesso irreparabilmente, la salute delle persone.
Mario Volpi 22.5.21
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