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Sezione a cura di Mario Volpi
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Gli zii di città

Racconti
Liberamente tratto da una storia vera.

Un pranzo di Natale molto saporito…
Era l'inizio degli anni settanta, io ero poco più che un bambino ma il ricordo di quegli avvenimenti è ancora molto vivo nella mia memoria. L' abitudine di andare a trovare gli zii di Carrara con mio padre,  alcune volte si univa a noi  anche mia madre, era per me motivo di angoscia e direi quasi di terrore.  Gli appuntamenti con quel mondo fatto di poche parole e di poche cose erano due: uno serale infrasettimanale e l’altro la domenica mattina. Il primo avveniva un giorno qualsiasi della settimana dopo cena ed era quello che mi angosciava di più, e più avanti capirete il perché. Gli zii erano tre: la Cesarina, alta poco più di un metro e dalla tipica zeta carrarina, la Guglielma vedova come la Cesarina ma senza figli e lo zio Guido, un bacchettone senza figli e senz’arte né parte , in gioventù aveva lavorato per un breve periodo  in un laboratorio di marmi ma poi aveva finito per passare le sue giornate in piazza Alberica al bar della borsa. I tre fratelli campavano con misere pensioni sociali e vivevano assieme in un fatiscente stabile popolare a tre piani edificato sulla  sponda sinistra del Carrione, in località la Caina. Già quel nome come potete ben immaginare scatenava nella mia mente di bambino brutti pensieri: Caina per me era sinonimo di cani che abbaiano, che ti corrono dietro, ti mordono e chissà cos’altro ancora fantasticavo. Arrivati nel “luogo dei cani”  lasciavamo l’auto in una piccola piazzetta ricavata tra le case di via Guelfa e per una leggera salita in pochi minuti si arrivava all’abitazione. Il tragitto era breve ma bastava per incutermi paura,  mentre camminavo stringevo forte la mano di mio padre   e guardavo a destra e a sinistra aspettando di  essere da un momento all' altro assalito dai cani, immaginavo le loro bocche spalancate,  i loro denti aguzzi che si serravano  sulla mia tenera carne e la laceravano, mi immaginavo steso a terra in un lago di sangue circondato da cani furiosi mentre lui continuava  a camminare ignaro. Penso non abbia mai saputo di queste mie paure e mai avrei voluto se ne accorgesse, sapevo che lui era molto  soddisfatto e  contento di  essere nella sua Carrara, dove ritornava trionfante: i suoi  tre fratelli lo vedevano come un uomo di successo, per loro era il fratello che  si era realizzato nella vita sociale ritagliandosi uno spazio normale sia nella vita sentimentale, avendo moglie e tre figli, sia dal lato  economico visto che aveva un buon lavoro. La via buia adiacente il torrente Carrione era sempre bagnata e umida.  C’erano soltanto due luci, una era ancorata alla facciata di un’abitazione e puntava la sua flebile luce sulla piazzetta e l’altra si trovava sul portone d’ingresso e spartiva l’oscurità di quel luogo lugubre e spettrale. Il portone d’ingresso si apriva verso l’interno con una leggera pressione della mano e per mezzo di due rampe di scale in marmo, nella semioscurità, si saliva fino alla porta d’ingresso dei parenti carrarini. La casa era composta da pochi ambienti. L a cucina aveva la  vista sul Carrione,  al suo interno vi era un tavolo in formica verde con delle sedie scompagnate, un mobiletto dai piedi in ferro e un ripiano in vetro era il posto destinato alla televisione. L’apparecchio televisivo era sempre spento e coperto da un panno verde, che veniva tolto su ordine della Cesarina: quando arrivavamo noi lei con voce autoritaria comandava “ O Guid, azend la televiscion al ninin”. Un lavandino di marmo vicino al la finestra, una dispensa lunga e bassa con vetrata e un paio di mensole dove" viveva il pranzo di Natale" completavano l’ambiente . Il frigo non c’era perché i tre consumavano lo stretto necessario per vivere alla giornata, quindi quello che veniva comprato quotidianamente veniva consumato, non avanzava nulla, mai. Il bagno, se così si può definire visto che praticamente era un buco che scaricava direttamente nel fiume per mezzo di una catenella in ferro,  era ricavato nel corridoio condominiale ed era in  uso a tutti gli abitanti dello stabile, non so quanti fossero, non sono mai salito oltre quelle  due rampe di scale,  aveva  un piccolo lavandino dove scorreva sempre un filo d’acqua ghiacciata anche d’estate, uno specchio murato nella parte e una lampadina che scendeva dal soffitto per mezzo di un filo bianco. Le camere da letto erano due e si raggiungevano uscendo dalla cucina e percorrendo un pezzo di corridoio condominiale delle scale. La prima stanza che s’incontrava era quella dove dormivano le due sorelle, mentre per raggiungere quella di Guido, bisognava proseguire oltre, uscire fuori dallo stabile e  per mezzo di un piccolo camminamento ricavato nella corte esterna si arrivava alla stanza dell’uomo che era ricavata contro la parete del monte. Al suo interno vi era un letto, un comodino e un armadio, nient’altro. Potete bene immaginare in quale ambiente salubre riposasse il buon uomo. Come ho detto all'inizio, l'altro appuntamento era la domenica mattina ed era per me un po' meno sconvolgente, quel posto alla luce del giorno mi appariva un po' meno squallido e un po' meno triste. Quando arrivavo il mio compito era quello di andare a svegliare lo zio Guido che dormiva ancora o faceva finta per sfuggire ai rimproveri delle due donne che lo accusavano di continuo di essere un fannullone nullafacente. Entravo in quella camera dal pavimento umido e dal forte odore di muffa quasi con paura, lo zio non si vedeva quasi in quel piccolo letto, per vincere il freddo e  l' umido se ne stava rintanato   e rannicchiato sotto le coperte testa compresa,  spesso era talmente immobile che io avevo timore che fosse morto ma un colpo di tosse lacerava il silenzio e poi lentamente  il capello di lana multicolore che il Guido usava per dormire, sicuramente  fatto ai ferri da una delle due sorelle cogli scarti di gomitoli usati per fare calze o maglioni, si muoveva e allora io tiravo  un sospiro di sollievo. Un lungo ohh era il segnale che sapeva che ero lì  poi da quella montagna informe di coperte spuntavano le sue mani  scheletriche ed  io ogni volta mi stupivo di quanto fossero gialle  di nicotina quelle magre dita ma poi il mio sguardo si posava sul comodino dove teneva sempre due pacchetti di nazionali senza filtro .Non so cosa provassi all' epoca per quello zio, se affetto o amore ma ricordo che guardavo quel mondo a me estraneo come uno spettatore, come se fosse qualcosa di talmente assurdo da risultare  quasi irreale.
Ma ritorniamo alle feste natalizie di molti anni fa.
Un paio di giorni dopo  il Natale come al solito andammo a Caina,  quella mattina in casa c’era solo la Cesarina. La Guglielma era alla bottega per la spesa quotidiana, mentre il Guido era uscito per portare un paio di scarpe a risuolare dal ciabattino nella Carriona. Ci sedemmo al tavolo e mentre mio padre chiacchierava con la sorella notai l’assenza della tortorella. Quell’animale era l’unica cosa che mi incuriosiva e mi distraeva dai discorsi noiosi degli adulti. Così chiesi alla zia dov’era finita la tortorella. Ricordate che all’inizio vi parlai delle mensole in cui viveva il pranzo di Natale!? Ebbene..... La Cesarina vinta l’esitazione e sotto l’insistenza di mio padre che anche lui riformulò la mia stessa domanda, sghignazzando iniziò a raccontare. “O Re”, abbreviazione di Renzo, il nome di mio padre, “era mezzodì di Natale, Guido dormiva ancora, la Guglielma era a fare la camera da letto, il brodo bolliva piano piano al fuoco ed era quasi fatto, io ero in bagno e quando sono ritornata in cucina ho visto che dalla pentola usciva un’ala. La tortorella che abitualmente svolazzava da una mensola all’altra, non si sa come,  era finita dentro la pentola e bolliva all’interno della pignata assieme alla carne di manzo e la coscia di pollo”. Povera bestiola, che fine orrenda pensai, mentre mio padre andando subito al sodo disse: “E così  avete saltato il pranzo di Natale”, “Vramenta eh, um, eh… me a n ho toccat cibo, ai avev mal alla pancia  ma Guido e la Guglielma che n sapev gnient si sono mangnati  anche la mi parta di caplletti” disse la Cesarina ridendo come una matta.

Ah dimenticavo..se domani per pranzo avete cappelletti in brodo..mi raccomando fate attenzione che dalla pentola non spunti un ala di tortorella😉.Buon Pranzo di Natale a tutti.
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