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Sezione a cura di Mario Volpi
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Come una volta

Una Volta Invece

Cara Redazione

Sempre più spesso si sente, specialmente nelle nuove generazioni, magnificare le cose di un tempo, salvo poi andare in crisi se il telefonino non ha campo, o se è necessario fare duecento metri a piedi senza l'auto. Con questo non dico che tutto quello che c'era un tempo sia da buttare, anzi, ma certamente le comodità, e l'abbondanza di prodotti, che oggi sembrano scontate non esistevano, quindi, prima di rimpiangere quei tempi, bisognerebbe pensare a come vivevano i nostri nonni, e se si sarebbe disposti a farlo per tutta la vita.

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Come una volta
Non passa giorno, che la TV non ci mostri un cuoco, o una cuoca, più o meno famosi, intenti a preparare manicaretti, spesso molto elaborati e originali, che terminano quasi sempre con la frase di rito”come una volta”. Io capisco che per esigenze scenografiche e editoriali, la vivanda debba essere resa interessante e attraente per il pubblico, ma così facendo si fa credere che un tempo, la popolazione, mangiasse giornalmente gustose leccornie, cosa del tutto infondata.
Innanzi tutto bisogna dire, che molti dei prodotti che oggi sono alla portata di tutti, un tempo erano considerati quasi un lusso, accessibili solo a pochi privilegiati, e sempre in modica quantità, come ad esempio l’olio d’oliva, la carne di manzo, o il Parmigiano, solo per citarne alcuni. Altri invece erano molto diversi da come lo sono oggi, come il pane, che fino agli inizi degli anni sessanta era fatto solo con farina integrale, mentre alcuni, dopo essere stati demonizzati, sono quasi scomparsi, come lo strutto. La varietà, e la quantità di cibo consumata, era molto diversa da famiglia a famiglia, è pacifico che un contadino avesse accesso a una maggiore e migliore varietà e quantità di cibo, mentre un operaio, dovendo comprare tutto, con le limitazioni economiche che questo comportava, avesse molte meno possibilità di scelta. Io, come detto più volte, ho avuto la fortuna di crescere all’interno di una fattoria, così ho sperimentato sulla mia pelle come, e cosa, si mangiasse al tempo. Al contrario di quello che all’estero pensano di noi, cioè che si sia sempre mangiato “spaghetti e maccaroni”, questo non è del tutto vero. Un tempo il pasto di mezzogiorno, e spesso anche la cena, oltre ad essere di una sola portata, era composto quasi esclusivamente da zuppe, che variavano secondo la stagionalità degli ingredienti. Le più comuni erano il minestrone, la zuppa di cavolo, la zuppa di ceci, o di fagioli, e quelle che oggi si chiamano vellutate, con ingredienti come la zucca, o i carciofi, con la giunta di pezzetti di pane fritto. Nel periodo invernale erano frequenti “i erbi coi fasulin da d’oc” (le erbette selvatiche con i fagiolini dall’occhio) bolliti, si servivano caldi, conditi, aimè, con una lacrima di olio d’oliva. Anche se servita molto liquida, non si può definire zuppa, ma a me piaceva moltissimo, e mi piace tuttora, la polenta incatenata, al tempo fatta con farina integrale, erbi, e condita con pecorino stagionato, e un filo d’olio d’oliva. Gennaio era il mese dedicato alla macellazione e lavorazione del maiale, cosa che, anche se sempre con moderazione, portava un pò di proteine nella dieta quotidiana. Anche se oggi fa inorridire i nutrizionisti, al tempo, dopo il lardo, era importantissima la produzione dello strutto, che si usava per friggere, e per alcuni tipi di preparazioni culinarie. La preparazione dello strutto, dava un sottoprodotto che noi bambini aspettavamo con ansia; i ciccioli. Questi gustosi pezzetti di carne di maiale, li mangiavamo arrostiti al camino con un pò di pane, ma erano buonissimi, anche mescolati al naturale nella polenta. Il maiale ci forniva anche qualche salsiccia da mangiare con una verdura stagionale; i rapini. Per onorare il proverbio contadino, non si butta via nulla, le ossa del maiale, dopo essere state spolpate per le varie lavorazioni, erano fatte bollire per molte ore, e il brodo ottenuto dopo essere stato filtrato, si usava per cucervi, e insaporire, le zuppe vegetali. Nelle feste comandate invece, le mamme preparavano la pasta fatta in casa, taglierini, o lasagne, anche queste, a seconda del periodo, potevano essere verdi, ossia impastate con radicchio selvatico, borragine, tarassaco, ortica, e tante altre erbe, tutte ottime, ma soprattutto a costo zero. I formati delle paste industriali del tempo erano in prevalenza tre, maccheroni, spaghetti e farfalline da brodo, ma erano consumati soprattutto dalle famiglie “operaie, ” perché quelle contadine, preferivano fare la pasta in casa, con la loro farina, sopratutto per ragioni economiche. Anche il pane comperato era di due soli formati, pagnotte e filoni, fatto con farina integrale di grano duro, era l’alimento base di ogni famiglia, relativamente a buon mercato, e di facile conservazione, poteva essere usato anche per portarsi, il “pranzo al lavoro,” spesso nella manica del “matalò” (giacca).
Soprattutto in estate e in autunno, erano le verdure nell’orto che risolvevano il problema di cosa mettere in tavola a pranzo e a cena, la “panzanella” fatta con pane raffermo pomodori, cipolla, e basilico, ha sfamato intere generazioni, risolvendo brillantemente anche il riciclaggio del pane diventato troppo duro. Con l’aiuto di qualche uovo, le massaie del tempo riuscivano a fare frittate e torte squisite, con piante selvatiche come asparagi, margheritine, orecchie d’asino, e finocchietto, ma che continuavano uguali per giorni, fino a quando queste erbe erano disponibili nei prati. Un capitolo a parte lo meritano poi le verdure sotto aceto, molto meno costoso dell’olio, e da alcuni considerato più sicuro. Conservate in estate nel momento della loro maggiore produzione, verdure come peperoni, cipolle, melanzane, cetrioli, fagiolini verdi e così via, sono state in inverno, le protagoniste di molti pasti, sia come ingredienti per altre ricette, ma anche come portata principale, accompagnate magari da un pezzo di salame, o formaggio. Nelle zone costiere di Marina poi, erano le acciughe conservate sotto sale, a risolvere i problemi alimentari della popolazione, sia come companatico, ma spesso come merce di scambio con altri prodotti provenienti dai paesi a monte, come la farina di castagne. Come si può ben vedere quindi, non c’è molto da invidiare in quel “come una volta.” se non forse, e questo sì, per l’assoluta genuinità dei prodotti.

Enzo De Fazio

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