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Sezione a cura di Mario Volpi
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Una madre per nemica

Medioevo carrarino

Spetta/le Redazione

Sentimenti come l'avidità, o la sete di potere in alcune persone sono talmente forti da soffocarne altri come l'amore materno. E' quanto accaduto a Giulio I, marchese ereditario mancato. L'irruenza tipica dell'età, ma sopratutto l'avidità della propria madre, lo portarono ad effettuare scelte impopolari che irritarono i potenti del tempo. La sua sete di giustizia finì  sul patibolo a soli 23 anni, a Milano  il 18 maggio 1548.
2 Febbraio 2012

Il giovane si alzò di scatto dal lurido pagliericcio, i pidocchi e le cimici gli davano il tormento, così andò a sedersi sul pavimento di pietra della cella, con la schiena appoggiata alla massiccia parete, con le ginocchia ripiegate fin quasi sotto il mento. La profonda oscurità della cella fu rotta dal tenue bagliore della luna, che cominciava a far capolino da una stretta finestrella protetta da una grossa inferriata, questa era una generosa concessione dovuta al suo rango. Giulio I Cybo Malaspina, si alzò, e andò sotto la finestrella come volesse rubare insieme a un poco d’aria pura, anche quei raggi d’argento, ma poi si risedette, e cominciò a ripensare alla sua triste vicenda. Era figlio di Ricciarda Malaspina, e Lorenzo Cybo, marchese di Massa, e conte di Ferentillo, egli era l’erede predestinato ad acquisire il Marchesato di Massa, che in attesa della sua maggiore età fu affidato a sua madre. E proprio questa scelta dopo pochi anni lo avrebbe perduto. Ricciarda era una donna avida e dispotica, e il figlio era considerato un ostacolo alla sua smisurata sete di potere. Il marito Lorenzo, era Capitano Generale di Santa Romana Chiesa dello Stato Pontificio, quindi era sempre assente e lasciava a lei l’amministrazione del piccolo marchesato di Massa e Carrara. Così quando Giulio arrivò alla maggiore età, il pensiero di lasciargli il potere non la sfiorò neppure, scatenando nel figlio una sorta di odio impotente nei suoi confronti. Un topolino si avvicinò esitante ai suoi stivali, egli lo allontanò con un calcio e si rituffò nei suoi pensieri. Poiché le vie legali non sortivano alcun effetto, il giovane marchese organizzò assieme a dei nobili a lui fedeli, una sorta di colpo di stato, aspettò che la madre si recasse a Roma presso il marito, per assaltare e prendere possesso delle Rocche di Carrara, Massa, e Lavenza. Lo scontro fu meno di una scaramuccia, in pratica i tre castelli si arresero senza combattere, vista l’identità degli assalitori, ma il suo trionfo fu breve. La madre si rivolse all’Imperatore Carlo V, cui era da sempre devota, e questi non faticò molto a convincere Giulio a farsi da parte. Ritornata al potere la vendetta della madre fu terribile, fece imprigionare i cospiratori amici del figlio, e in più fece abbattere le loro case, rinforzando invece la difese della Rocca di Carrara. La cella ripiombò nel buio totale, quando una nuvola oscurò la luna, poi a poco a poco, una nebbiolina leggera e impalpabile cominciò a entrare dalla finestrella facendo rabbrividire il giovane, coperto solo di una leggera camicia di cotone. Giulio, con un amaro sorriso, pensò che non avrebbe fatto in tempo a prendere qualche malanno, essendo questa la sua ultima notte, poi si rituffò nei suoi foschi ricordi. Vinto, ma non domo, Giulio sposò la giovanissima Peretta Doria, nipote del grande Ammiraglio genovese Andrea Doria, la madre, gli offrì di comprare il Marchesato di Massa, per 40.000 scudi d’oro, cifra iperbolica che lui non possedeva. Pensò così di chiederli in prestito, o come dote della nipote, al ricchissimo Ammiraglio genovese, che forse sobillato dalla madre rifiutò. L’alba cominciava a far scolorire il nero della notte, e una luce tenue e lattiginosa, tipica delle fredde mattinate milanesi, cominciava a filtrare dalla finestrella, il giovane marchese pensò che l’ora fatale si stava avvicinando, ma stranamente non aveva paura, come non ebbe alcun timore a organizzare quel maldestro tentativo di uccidere l’Ammiraglio Doria. Non seppe mai perché lo fece, forse la frustrazione dovuta alla negazione di una cosa che gli apparteneva di diritto, o forse la speranza che i Francesi, nemici degli Spagnoli e dell’Ammiraglio potessero aiutarlo nel suo desiderio di conquistare finalmente il Marchesato. I pesanti passi della guardia di ronda interruppero per un attimo i suoi pensieri, ma appena tornato il silenzio, egli riprese il filo dei suoi ricordi. L’Ammiraglio era troppo scaltro per non accorgersi di quel piano maldestro, e in pochissimo tempo, tutti i congiurato escluso lui furono catturati. Egli si rifugiò a Pontremoli, ma la madre colse l’opportunità insperata e lo consegnò agli Spagnoli, che lo portarono a Milano, e, dopo un processo farsa, lo condannarono a morte per decapitazione.
Il rumore metallico della chiave che girava nella grossa serratura interruppe i suoi pensieri, entrarono due armigeri, che alla luce di alcune lucerne, lo afferrarono per le braccia e lo rizzarono in piedi, poi mentre il carceriere con una forbice tagliava il colletto della camicia, gli legarono le mani dietro la schiena. Mentre s’incamminavano lungo un angusto corridoio rischiarato tenuamente dalla luce tremolante delle lucerne, ripensò a Carrara, alle sue bianche montagne, all’azzurro del mare, alle cacce che faceva con il suo falcone preferito, e tutto questo sarebbe finito per sempre a soli ventitré anni per l’avidità di sua madre che lo aveva spinto a fare scelte sbagliate. Arrivarono in un cortile interno, dove su un palco due uomini, con il volto nascosto da un cappuccio nero, lo attendevano, uno di essi era appoggiato al manico di una grossa ascia ricurva che alla luce dell’alba mandava sinistri riflessi. Un frate gli si fece incontro con un crocefisso che egli baciò devotamente, poi uno degli incappucciati lo fece inginocchiare con fermezza, ma senza brutalità, facendogli appoggiare la testa su di un ceppo. Egli pensò che stranamente quel legno odorava di pino, e per un secondo ripensò alla giovane sposa in quella pinet.....


Volpi Mario

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