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Sezione a cura di Mario Volpi
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Ricordi … balneari!

Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Oggi  per noi, abitanti di Carrara, andare al mare è una cosa normalissima,  che nella bella stagione porta moltissime persone sulla riva del nostro  splendido mare. Ma un tempo questo era un lusso per pochi, o  per...qualche fortunato portoghese!

La costa di Marina di Carrara, è senza tema di smentite, una delle più belle d’Italia. Con la sua ampia spiaggia, di sabbia finissima, che degrada dolcemente fin dentro a un mare di cobalto, non ha nulla da invidiare alle più blasonate spiagge Versiliane, a pochi chilometri di distanza. Non ha caso, già da diversi anni, il nostro litorale si può fregiare dell’ambita Bandiera Blu, che segnala ambiente e servizi eccellenti, Oggi, i numerosi stabilimenti balneari, fanno a gara nell’offrire alla loro clientela servizi sempre più sofisticati ed esclusivi, che vanno dal parcheggio personale, all’uso gratuito di Internet, piuttosto che alla ristorazione su terrazze sul mare, o a bordo di splendide piscine. Ma quando io ero bambino, tutto questo era aldilà da venire. Gli stabilimenti balneari erano solo cinque, con le poche “cabine” in legno poste su palafitte a circa cinquanta centimetri dalla sabbia. Questo vero e proprio lusso però, era riservato solo alla madia borghesia carrarina, o a facoltosi “bagnanti” che arrivavano dalla ricca Emilia. Io avevo la fortuna di essere nipote del falegname che si occupava della manutenzione di uno stabilimento, così, grazie a un piccolo sconto praticato sui lavori annuali, poteva usufruire, assieme alla sua famiglia, di una specie di magazzino-dispensa, come cabina per spogliarsi, e dell’ombrellone destinato al bagnino proprio sulla riva. Perciò io, con meno di dieci anni, facevo già il “portoghese” al seguito di mia zia, e dei miei cugini. E’ pacifico che la frequenza di queste gite al mare, non fosse giornaliera come oggi, ma se andava bene, e il tempo era clemente, poteva avvenire una volta a settimana, di solito, il sabato. Questo non era un capriccio, ma la necessità di poter sfruttare l’occasione della “corsa operaia” sul filobus. Dalle ore sei, fino alle nove del mattino, di tutti i giorni feriali, era possibile acquistare il biglietto, (grosso come un tovagliolo) della corsa operaia, con il costo leggermente superiore a quella di sola andata, ma che ti dava il diritto di ritornare alla sera gratuitamente, previo “buco” del bigliettaio che lo annullava. A quel tempo, spostarsi da Carrara fino a Marina, era considerato oltre che oneroso, anche un vero e proprio “viaggio”, così si restava al mare tutto il giorno. Qualche giovanotto, esibiva quella che al tempo era considerato un vero e proprio pezzo di lusso: una camera d’aria di camion, con cui si poteva” navigare” tra le onde, suscitando l’invidia di noi “piccoli.” Proprio perché piccoli, eravamo sorvegliati a vista, non solo dai genitori, ma anche dal bagnino. Appena uno di noi si allontanava di pochi passi dalla riva, lo richiamava, affermando che proprio lì vi era, oltre a una mostruosa buca, anche una fortissima corrente. Io non ho mai visto né l’una, né l’altra, ma nessun bambino è mai affogato. Ogni stabilimento balneare, oltre a quello verniciato di rosso con scritto in bianco “SALVATAGGIO,” aveva almeno due pattini. Queste imbarcazioni, rigorosamente in legno pesavano quanto una portaerei, verniciati di bianco, portavano a prora il nome del bagno cui appartenevano, e hanno avuto il merito di aver favorito più di un matrimonio tra i giovanotti marinelli e la “forestiera” di turno. Si potevano noleggiare a tempo per poche lire, e portando al largo la propria bella, ci si poteva “appartare” tentando l’approccio, magari con un maldestro bacio, sfuggendo per un poco, all’occhio vigile della madre, e alle lingue taglienti della gente. Era sempre il bagnino, che preparava la buca per le sabbiature. Giudicata una vera manna per i reumatismi, era in realtà una vera e propria forma di tortura, cui spesso noi piccoli eravamo chiamati a collaborare. Dopo aver preparato la buca, si attendeva mezzogiorno perché il sole arroventasse ben bene la sabbia, poi il malcapitato vi si sdraiava dentro, e noi con sadica gioia, lo ricoprivamo con altra sabbia arroventata, gioendo delle sue grida di dolore. Per noi, erano altri i desideri, che la maggior delle volte però, restavano irrealizzati. Erano frequenti sulle spiagge di allora, i venditori ambulanti di dolciumi. Allo stentoreo grido di “pizza, bomboloni, fior di pesco, ” questi ambulanti percorrevano incessantemente la spiaggia, incuranti della canicola, con una gigantesca cesta di vimini tenuta appesa tra spalla e collo da una robusta cinghia di cuoio. Per solo cinquanta lire, potevi gustare una di queste leccornie, ma spesso i cinquanta lire erano serviti proprio per la corsa operaia. All’interno riposti in un sacchettino di carta bianca unta e bisunta, i prodotti erano sistemati con ordine, ma esposti alla polvere sollevata dalla gente, e alle gocce…del sudore del venditore, ma al tempo, non erano certamente le norme igieniche in cima alla lista dei nostri pensieri. Dopo il bagno delle undici, a mezzogiorno si tornava all’ombra, dove la mamma o la zia, ci servivano in una grossa zuppiera portata da casa, il pranzo a pasto unico, composto di riso freddo, con pomodori dell’orto, olive di Monteverde, e, se fortunati, mezz’etto di tonno sott’olio, comperato sfuso alla bottega. Verso le quattordici, “passavano i pisani” come diceva la mamma, e il nostro calo della palpebra era agevolato dall’asciugamano steso sulla sabbia, dietro uno sdraio per riparare il vento. Al risveglio, attorno alle tre, si attendevano con ansia le quattro per il bagno, per poi ritornare a casa. Erano tempi duri, ma quell’atmosfera quasi d’avventura, saziava il nostro ingenuo spirito in modo così forte, che dopo oltre mezzo secolo, la ricordo con indicibile nostalgia.
Mario Volpi
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