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Sezione a cura di Mario Volpi
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I cibi della nonna

Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Oggi è particolarmente di moda la voglia di tornare all'antico. Questo  avviene in tutti i settori ma in particolar modo in quello alimentare.  Ma se fosse possibile sarebbe un bene?

Non passa giorno, che in televisione, in una delle ormai innumerevoli trasmissioni di cucina, qualche cuoco più o meno stellato, ci racconti come lui voglia tornare alle origini, con le pietanze sane e gustose di una volta. Sulla gustosità della cucina contadina di un tempo, non ci sono dubbi, mentre per quello che riguarda la sua salubrità, qualche riserva, è giustificata.
Secondo me, questa voglia di tornare all’antica, nasce da persone che il vero “antico” non l’hanno mai provato, magari per ragioni anagrafiche, o che pensano che il tenore di vita di una volta fosse uguale a quello attuale. Innanzi tutto bisogna dire che gran parte della popolazione italiana, almeno fino alla metà degli anni sessanta, viveva con quello che ricavava dall’agricoltura, e dall’allevamento del bestiame: quindi, la produzione, e di conseguenza la qualità, e quantità del cibo, era pesantemente influenzata dalla stagionalità meteorologica, e dalle patologie e parassitosi animali e vegetali. La maggior parte dei contadini e pastori italiani del tempo, era totalmente, o parzialmente analfabeta, e portavano avanti il loro mestiere, solo con la pratica, spesso pesantemente influenzata da credenze, e superstizioni millenarie, ma totalmente prive di una qualche valenza scientifica. Questa “ignoranza scientifica” portava in qualche caso a danni anche gravi alla salute di chi consumava i cibi che erano preparati con le materie prime inconsapevolmente contaminate.
Prendiamo ad esempio uno dei maggiori e più diffusi alimenti: il latte. Devo confessare che quando ero molto piccolo, quasi quotidianamente assistevo alla mungitura delle vacche, al tempo alimentate in estate con erba fresca, e in inverno con fieno e crusca. Orbene, il fattore si divertiva a spruzzarmi direttamente in bocca, lo schizzo di latte dalla mammella, ed io posso garantirvi, che il gusto di quel latte, oltre a essere ben presente nella mia memoria da oltre sessanta anni, non è neppure paragonabile a quello del miglior latte in vendita oggi. Devo però ringraziare il cielo, per non avere contratto una delle numerose e gravi patologie derivanti dal consumo di latte crudo. Nelle fattorie del tempo, era comune il consumo di latte senza bollirlo, perché indubbiamente ne guadagnava il gusto, così come la produzione di formaggio con latte appena intiepidito sufficiente per far agire il caglio. I microbi sono invisibili, perciò la loro esistenza era semi-sconosciuta alla stragrande maggioranza degli allevatori del tempo, che si limitavano a mettere in atto norme igieniche elementari. Anche le malattie degli animali, almeno che non ne causassero la morte, o gravi invalidità, erano sconosciute, così, gravi patologie come la “febbre maltese,” provocata dal batterio della Brucellosi, presente nel latte, colpivano spesso chi mangiava il formaggio, o beveva il latte contaminato. Anche la terribile Tbc era in qualche caso provocata dal consumo di latte contaminato da capi ammalati. I contadini accudivano agli animali nelle stalle, infestate da nugoli di mosche manipolando il foraggio, e calpestando il letame, e poi con gli stessi abiti e le stesse scarpe, spesso senza lavarsi le mani, entravano in casa, magari a pranzo, cosi i microbi avevano gioco facile nel diffondersi. Il più comune era il batterio della Salmonella, colpiva spesso l’intera famiglia, e non solo. La vacca contaminata, nutrendo il vitello, gli trasmetteva l’infezione, che spesso, se non lo uccideva, lo trasformava in portatore sano che continuava a infettare con le feci tutta la stalla, dove di solito razzolavano tranquillamente polli, e piccioni, diventando a loro volta portatori del virus. I salumi e la carne del maiale, anche se considerati delle vere leccornie, per la loro scarsità, non erano da meno. Gli insaccati erano spesso i portatori della Taenia Solium, detto volgarmente Verme Solitario. Questo parassita è presente come ospite intermedio, sotto forma di minuscole uova, nella carne del maiale, che una volta ingerita cruda (insaccati) dall’uomo, si trasforma nel suo intestino in un verme lungo anche 10 metri che produce continuamente uova, e che provoca il dimagramento nell’ospite. Se invece le uova sono assunte dopo la loro espulsione, esempio su insalata contaminata, esse una volta schiuse, possono raggiungere anche il sistema nervoso centrale, causando gravi crisi epilettiche. Altra gravissima contaminazione era quella causata ai cereali, da un fungo microscopico dal nome impronunciabile, che i contadini del tempo chiamava Ergot. Quest’organismo parassita era il responsabile della famosa segale cornuta. La spora, assolutamente invisibile, resiste anche alle alte temperature della cottura, e una volte ingerita, attacca il sistema nervoso centrale, provocando in alcuni casi il dolorosissimo “fuoco di S. Antonio, ” mentre in altri, dopo aver provocato visioni e allucinazioni, la morte dell’individuo. Nel 1951 in un paesino rurale francese, tutta la popolazione venne infettata da queste micidiali spore. Si registrarono allucinazioni collettive, attacchi ai vicini, decessi, e innumerevoli tentativi di suicidio dovuti alle terrificanti visioni. Un’altra infezione abbastanza comune a quei tempi, che si finiva sempre con esiti fatali, era il Botulino. Questo è un batterio anaerobico, ossia che vive senza ossigeno, era trasmesso da alimenti conservati sott’olio, come la verdura messa da parte in contenitori di vetro sigillati per l’inverno. Per renderci conto della pericolosità di questo microbo, si pensi che un grammo delle sue spore è in grado di uccidere dieci milioni di persone. Il batterio colpisce i muscoli adibiti alla respirazione provocandone la paralisi, e quindi la morte del soggetto per asfissia. Febbri tifoidi, ed Epatite A, erano endemiche. Causate dall’utilizzo di fosse biologiche superficiali “ a perdere, ” che spesso contaminavano i pozzi in cui si attingeva l’acqua potabile, o dall’abitudine di fertilizzare con escrementi umani, spesso infetti, le culture, come insalate, carote, rapanelli che erano consumati crudi.
A ben vedere dunque,” l’antico,” non era proprio il massimo della vita. Quindi, le moderne tecniche di allevamento, i controlli sulla produzione agricola, e i nuovi metodi di conservazione, come la Pastorizzazione, o la Sterilizzazione, anche se tolgono un pò di gusto all’alimento, ci privano però del rischio di contrarre queste terribili patologie.
 
Mario Volpi
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