La febbre del gioco - carraraonline.com

Sezione a cura di Mario Volpi
Vai ai contenuti

La febbre del gioco

Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Sicuramente anche a ridosso delle feste natalizia, i "malati" del gioco, non smetteranno di rovinarsi economicamente continuando ad assumere questa vera e propria "droga," privando magari i propri cari del minino indispensabile per passare un sereno Natale.
Gli antropologi sono concordi nell’affermare che il ”vizio del gioco” sia vecchio quanto l’uomo. Quindi in tutte le Società, da quelle più primitive, per arrivare a quelle più avanzate, il singolo individuo, il regnante, o lo Stato, hanno, da sempre cercato di trarre un vantaggio economico da questa debolezza umana. Spesso, questa passione è stata sfruttata a fini ludici, ma anche qui lo scopo era, e rimane, prettamente commerciale. L’esempio più eclatante in Italia fu certamente la trasmissione televisiva denominata “Lascia o Raddoppia, ” condotta da un grande presentatore italo americano; Mike Buongiorno. La prima puntata fu messa in onda in Italia nel novembre del 1955. Il numero degli abbonati su tutto il territorio nazionale era di appena ottantamila unità, ciò nonostante questa trasmissione ebbe un successo epocale, che cambiò perfino il modo di divertirsi degli italiani. Infatti, le prime puntate del gioco a quiz, erano messe in onda di sabato, ma i gestori dei cinema, e sale da ballo, protestarono perché avevano visto quasi azzerarsi la propria clientela, così la trasmissione fu spostata il giovedì. A parte la novità della televisione, questo gioco ebbe questo enorme successo perché faceva sognare la gente, elargendo somme di denaro per quei tempi, favolose. Il gioco consisteva in una serie di quiz che il presentatore rivolgeva a un concorrente chiuso in una cabina. A ogni risposta esatta il premio era di 2.500 Lire, in gettoni d’oro, che a scelta del concorrente potevano raddoppiare, di domanda in domanda, fino ad arrivare alla fantastica somma di 5.120.000 lire. Se sbagliava alla terza e alla quinta domanda, perdeva tutto ma come premio di consolazione gli era regalato una Fiat 600, o una Fiat 1400, chiaramente uno degli sponsor della trasmissione. Se si pensa che in quel periodo un operaio specializzato percepiva uno stipendio medio di, 15.000 lire mensili, si capisce come la fantasia delle persone galoppasse pensando a cosa avrebbe fatto con quel mare di quattrini. In Italia fino dai primi del 1900, il gioco per antonomasia era il Lotto. Questo era strettamente legato alla superstizione, alle credenze popolari, e soprattutto ai sogni. Come si sa questa lotteria consiste nell’indovinare i primi cinque numeri estratti su una particolare “ruota” così in gergo sono chiamate le dieci citta in cui si eseguono le estrazioni. Per la scelta dei numeri, e per sapere su quale ruota giocarli, la superstizione popolare usava la “smorfia” una specie di manuale, per cui a un sogno, o a una particolare situazione corrisponde un numero. Anche se nel Lotto si vince anche con un solo numero, si dice che non sia un gioco equo, e che “vinca sempre solo il Governo, ” perché la vincita, spesso a causa dell’alto numero di vincitori, è pari, o addirittura inferiore alla somma giocata. Questo gioco, aveva una sola estrazione settimanale, e mancava completamente di quella spettacolarità necessaria per attrarre le persone. Appena dopo la fine della seconda guerra mondiale, tre giornalisti sportivi inventarono un gioco legato al calcio. Consisteva nell’indovinare i risultati di dodici partite, svolte su tutto il territorio nazionale, con la possibilità di vincere una certa somma di denaro, calcolata in percentuale sul totale ricavato da tutte le giocate. Questo gioco fu chiamato Sisal, un acronimo della società privata che ne era la proprietaria. Nel 1951, a questa società subentrò il CONI, il gioco fu chiamato Totocalcio, furono istituite due colonne per il pronostico, fissando il costo della giocata a 30 Lire. Questo per decenni fu il gioco preferito degli italiani regalando settimanalmente una valanga di quattrini ai fortunati vincitori, e incassi stratosferici al CONI, e di conseguenza allo Stato. Per finanziare trasferte olimpiche, dopo pochi anni la giocata sarà alzata a 50 Lire, e sarà aggiunta una casella, portando così a tredici i pronostici da indovinare. Per questo gioco però, dopo aver raggiunto la massima diffusione negli anni 2000, con oltre ottocento milioni di Euro di giocate, è iniziato un lento ma inesorabile declino, per toccare meno di 11 milioni di Euro nel 2017, soppiantato da altri giochi giudicati più moderni e convenienti. Oggi la Ludopatia, ossia quella volgarmente chiamata “la febbre del gioco” è una malattia, riconosciuta. Associata, e curata, alla stregua di una tossicodipendenza in centri specializzati, questa patologia è stata negli ultimi anni la causa di gravi tragedie familiari. La colpa di questa vera e propria emergenza sociale, è da imputarsi all’invenzione delle slot machine. Queste infernali macchinette elettroniche “mangiasoldi” permettono di giocare a ritmo continuato denari veri, con la speranza di un’effimera vincita che non avverrà mai. Spesso gestite in modo clandestino dalla malavita, sono installate a migliaia, in bar, ristoranti, o in apposite sale. Da notare che se gestite in modo legale, questi infernali aggeggi fruttano allo Stato una tassa sui loro guadagni superiore al 16%. Anche i Casinò virtuali sono molto attivi, basta avere un PC o uno Smart phon, e il gioco è fatto, e anche qui si giocano (e si perdono) soldi veri, e anche qui lo Stato ricava fior di quattrini.
Una volta tutto questo era impossibile e soprattutto impensabile. Il gioco d’azzardo più diffuso quando ero bambino, era fatto sotto le feste pasquali, o natalizie, di solito nei negozi di generi alimentari. Il gestore riempiva un grosso cesto di leccornie, e organizzava una lotteria, dal costo di poche lire, con vincente, il primo numero estratto sulla ruota di Firenze, ricavando, se vendeva tutti numeri, un modesto guadagno. Questa riffa casalinga, aveva più che altro lo scopo di invogliare i “morosi” a mettere un numero, non prima però, per non morire di vergogna, di aver saldato la lista. Nelle cantine c’era la “pesca”. Questa consisteva in minuscoli biglietti infilati in un tabellone. Per sfilarne uno si doveva pagare 20 Lire e si potevano vincere cioccolate, caramelle, bottiglie di vino, o com’era scritto “l’ultimo numero, ” il premio finale. Io nella mia infantile ingenuità speravo sempre di estrarre il fatidico “ultimo numero” non capendo che voleva dire che solo l’ultimo biglietto aveva diritto a quel premio. Anche i bar facevano la riffa natalizia, mettendo sul bancone due grosse pile di boeri al liquore. Il costo per “pescarne” uno era di 20 Lire, e spesso il barista ti offriva di estrarre un boero al posto del resto. Il premio consisteva in 1,2, e 5 boeri gratis. Ora questa ingenuità fa sorridere, ma la scarica di adrenalina, e la felicità, di quando trovavi la scritta “hai vinto un boero”, era certamente immensamente superiore a quella che prova oggi un giocatore compulsivo vincendo tre gettoni a una slot.
 
Mario Volpi
Racconti di questa rubrica
CarraraOnline.com
CarraraOnline.com
Torna ai contenuti