Umbè l’mbianchin - carraraonline.com

Sezione a cura di Mario Volpi
Vai ai contenuti

Umbè l’mbianchin

Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Uno dei tanti mestieri quasi scomparsi, è certamente quello dell'imbianchino. Pensare che un tempo, a quest'artigiano era affidata la salubrità della nostra casa !!
Quando ero bambino, e non andavo ancora a scuola, erano due gli avvenimenti che mi segnalavano l’arrivo della bella stagione. Il gioioso garrire delle rondini affaccendate a riparare i vecchi nidi nella stalla, e l’imbiancatura della casa. Tutto cominciava la sera, quando babbo e mamma, spesso aiutati dai vicini, “trasferivano, ” buona parte dei mobili della camera in cucina, e viceversa. Rimanevano solo le reti appoggiate per terra, che la mattina dopo di buonora erano rimosse, quando arrivava Umbè l’mbianchin (Umberto l’imbianchino.) Questo signore, che a me pareva vecchissimo, era alto e allampanato, con una gran massa di capelli brizzolati di bianco, e un’imponente paio di baffi dello stesso colore. Aveva una bici, “Bianchi Lusso, ” da uomo, che un tempo doveva essere stata di colore nero, con due “latte, ” attaccate di fianco alla ruota posteriore, che servivano da contenitori per alcuni grossi pennelli tondi, alcuni piatti, e soprattutto per lo stantuffo. Quest’ attrezzo era determinante per la sua professione, insieme alla due lunghe canne d’india che erano fissate in senso longitudinale al cannone della bici. Io lo ricordo sempre vestito con una tuta di colore indefinibile, che oggi si potrebbe definire mimetica, visto le decine di macchie di colore diverso che la macchiavano. In testa portava perennemente una “bustina, ” fatta artigianalmente con la carta di giornale, nel cui “risvolto, ” trovava sempre posto un pezzo di tabacco per “ciccare.” L’imbiancatura al tempo era eseguita solo ed esclusivamente con la calce, che l’imbianchino ricavava dalla “calce viva” che provvedeva a” spegnere” giorni prima con abbondante acqua, in una fossa nel terreno, situata in cortile. In un “lattone, ” si metteva una grossa quantità di calce molto liquida, e tramite lo stantuffo, pompato da un famigliare, s’inviava la miscela all’ugello, che Umbè aveva piazzato sulla cima di una delle due canne d’india.  Dopo avere regolato il diametro e la portata della “rosa, ” dello spruzzo, s’imbiancava il soffitto. Si scendeva poi anche sulle pareti fino ad arrivare a una trentina di centimetri da terra, dove ci si fermava. Lascio alla vostra immaginazione in quali condizioni fosse il pavimento dopo un simile trattamento, cosa che non ci preoccupava, perché anche quello era dipinto con “l’olio rosso, ” essendo fatto di semplici mattoni. Con un piccolo sovraprezzo si otteneva un vero e proprio tocco di lusso, che consisteva in una passata su tutte le pareti dopo l’asciugatura, con uno speciale rullo di gomma che riproduceva figure geometriche, o di animali, che erano stampati sulle pareti nel colore che si preferiva. Lo zoccoletto in fondo alla parete era invece invariabilmente “terra di Siena” ossia marrone scuro. Questo trattamento era fatto annualmente per ragioni pratiche, e non certamente per vanità. I soffitti erano usati come latrina dalle mosche, che nelle sere estive, a migliaia, vi passavano la notte, con la calce si cercava di disinfettare le pareti, e tenere lontani dalle travi di legno, tarli e soprattutto i topi. Altra cosa invece erano le “rinfrescature, ” com’erano pomposamente chiamate fatte nelle case dei ricchi. Nelle ricche magioni, andava di gran moda la “carta da parati, ” Questa era una vera e propria carta più o meno pregiata, avvolta in rotoli di dieci metri di lunghezza, e di cinquantadue centimetri di larghezza, riproducente figure geometriche, o disegni, che andava incollata al muro dopo un’accurata preparazione. Era proprio questa preparazione che rendeva l’applicazione molto costosa. Si doveva rendere più liscia possibile la parete rasandola con un gesso speciale, che non induriva subito per avere il tempo di stenderlo adeguatamente. Questo gesso si chiamava gesso Meudon, o bianco di Spagna, e dopo la prima mano si passava alla carteggiatura, per ripetere l’operazione fino a un massimo di quattro volte. Quando la parete era liscia, si stendeva la colla, di solito di pesce, e si passava ad avvicinare i due bordi del rotolo con un attrezzo particolare composto da due piccole ruote. Il tutto poi, veniva rifinito con cornici in legno dorato, insieme a un rosone in gesso elaborato, da dove usciva il lampadario. Era assai laboriosa anche l’eventuale estirpazione delle vecchia carta per mettere quella nuova. Intorno agli anni sessanta però, grazie al boom economico, tutto cambiò. La Montecatini, gigante chimico italiano divenuta poi Montedison, aveva “inventato,” un nuovo tipo di vernice per interni, in diversi colori, e addirittura lavabile, chiamata Ducotone. Nei Caroselli del tempo, un giovanissimo Gino Bramieri affermava che “una parete oggi, una domani, con Ducotone la mia casa farà un figurone.” Questa nuova vernice rivoluzionò letteralmente il mondo delle pitture sia per interni, che per esterni. Da lì cominciarono a comparire anche le prime “tempere,” che però “spolveravano,” tingendo di bianco chiunque si appoggiasse alla parete. Oggi la varietà delle vernici è pressoché infinita, per formulazioni, usi e colori, e la loro applicazione è così semplice, che il mestiere dell’imbianchino e quasi scomparso. Per nostra fortuna, le case odierne non sono neppure lontanamente paragonabili a quelle di un tempo, ma quei ricordi, in quelli della mia generazione, non possono che generare un sottile filo di nostalgia, per quel periodo un po ingenuo, dove solo un pò di calce spruzzate sul muro, bastava per riempirci l’animo di gratitudine verso la vita.
Mario Volpi
Racconti di questa rubrica
CarraraOnline.com
CarraraOnline.com
Torna ai contenuti