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Sezione a cura di Mario Volpi
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A caccia col “cannone”

Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Sempre più persone si stanno avvicinando alla foto naturalistica, che la moderna tecnologia rende relativamente facile, ma una volta ...

Senza ombra di dubbio, sono stati gli anni ottanta quelli più deleteri per l’ambiente in Italia. Soprattutto l’avifauna era pesantemente depauperata dalla caccia, esercitata da quasi due milioni di cacciatori, regolati da leggi vecchie e non più attuali. Queste stesse normative, permettevano ancora l’uso di strumenti di cattura estremamente distruttivi, come le reti lunghe chilometri, tese sui passi alpini, chiamate “ragnaie,” che catturavano indiscriminatamente ogni tipo di uccello, dalla rondine, al falco. Era consentito ancora l’uso dei richiami vivi sugli stessi passi, e l’allestimento dei “roccoli.” In quegli anni poi, grazie a quello che gli economisti chiamano, “il secondo boom economico,” il tasso di benessere degli italiani crebbe, consentendo a molti seguaci di Sant’Uberto, l’acquisto dei modernissimi fucili semiautomatici a cinque colpi, con la possibilità di portarli a sette. Era ancora attuale la pratica del tiro a volo, con passeri, e storni, prelevati in Natura. Questo sfruttamento intensivo, causò un drastico calo dell’avifauna, in alcuni casi portando sull’orlo dell’estinzione molte specie, come ad esempio il Crociere e il Frosone, oggi per fortuna non più in pericolo. La scarsità di prede, le nuove regole abbastanza restrittive sulla caccia, l’alto costo dei vari permessi, e soprattutto, una nuova visione ambientalista delle nuove generazioni, portarono a una drastica riduzione dei cacciatori scesi sotto il mezzo milione, e soprattutto a una voglia di cacciare non più con il fucile, ma con la macchina fotografica. La pratica del birdwatching, ossia l’osservazione, e la fotografia in Natura degli uccelli, nacque in Inghilterra, attorno alla fine dell’ottocento, e oggi si stima che sia praticata da oltre due milioni di persone. In Italia attualmente siamo attorno a poco meno di diecimila, ma con un tasso di crescita di oltre il dieci per cento annui. Negli anni novanta però, quest’attività, non era né facile, né tantomeno economica. In quei tempi, in Italia la fotografia si stava affermando soprattutto per la proliferazione di fotocamere a basso costo, di produzione giapponese, per pellicola da 24 X 35 mm. Per invogliarne la diffusione si misero in commercio macchine fotografiche compatte, motorizzate, autofocus, dotate perfino di flash automatico TTL, per scattare foto praticamente “a prova di errore,” come recitava una famosa pubblicità del tempo. La stampa della foto poi, rigorosamente in formato 10X15 cm, costava poche decine di Lire a copia, ma era di qualità approssimativa, ossia come usciva dopo essere stata sviluppata, e stampata in automatico, nelle nuove macchine compatte chiamate Mini Lab. E’ evidente che per un fotografo naturalista, era ben altra l’attrezzatura necessaria per fare la sua attività. Tanto per cominciare doveva dotarsi di una macchina fotografica Reflex, con ottica intercambiabile, cosa al tempo molto costosa. Le ancora rare marche disponibili con questa importante caratteristica erano la Nikon, la Yashica, o particolarmente costose come la Contax, perché montava ottiche Carl Zeiss, al tempo giudicate al top. E’ chiaro che la qualità non è mai a buon mercato, e questi apparecchi non facevano eccezione. Per scattare foto naturalistiche decenti poi, era necessario che il fotografo fosse ben nascosto, spesso anche a centinaia di metri dal soggetto da fotografare, ecco la necessita di dotarsi di un teleobiettivo con focali per lo meno da 600 o 1200 mm. Questi “cannoni” come si chiamavano in gergo i grossi teleobiettivi, erano talmente costosi, che in quegli anni nacquero delle Società, che li noleggiavano giornalmente, anche a fotografi sportivi professionisti. In quegli anni chi praticava birdwatching, doveva essere necessariamente quello che si chiamava un “dilettante evoluto,” ossia, non proprio un professionista ma un provetto fotografo, che sapesse destreggiarsi tra tempi di otturazione, gli ASA della pellicola da usare, e soprattutto sapere ben padroneggiare lo “sfocato,” tramite l’apertura del diaframma. Un tempo l’autofocus e gli scatti motorizzati erano aldilà da venire, quindi, se era relativamente facile, inquadrare, mettere a fuoco, e scattare una foto a un uccello fermo su di un ramo, tutt’altra cosa era prendere ad esempio l’atterraggio o il decollo dall’acqua di un’anatra con un singolo scatto. Ecco perché i fotografi cercavano di inquadrare il soggetto in volo, e “diaframmare” al massimo, ossia aprire il diaframma il più possibile, giocando sui tempi di scatto, al tempo raramente superiori a 1/250mo, per ottenere quell’effetto di “mosso artistico,” chiamato sfocato, che metteva però in risalto il soggetto in primo piano. Un cannone pesava oltre 4 kg, e necessitava di un treppiede robusto per poterlo tener fermo, quindi, non era possibile fare come si diceva in gergo “la caccia vagante,” ma ci si doveva appostare magari riparati da un telo mimetico e aspettare per ore lo scatto buono. Lo stampa poi, era fatta per “contatto,” ossia si facevano dei provini di com’era venuta la foto, sovrapponendo il rullino appena sviluppato alla casta fotosensibile, per evitare di stampare quelle non perfette. Anche se a “buon mercato” anche questi inutili provini dovevano essere pagati. Una foto naturalistica poi, era per lo meno in formato 25x30 cm, perciò relativamente costosa, oltre a dover aspettare almeno una settimana per averla. Oggi, con l’avvento dell’elettronica, tutto questo è retaggio del passato. Le Reflex moderne, almeno quelle un po’ più professionali, possiedono un solo obiettivo digitale, che spazia dal grandangolo spinto 24mm, al tele da 600mm, con tempi di otturazione fino a 1/8000mo di sec. si ha la possibilità di controllare subito la foto se tenerla o eliminarla, mentre, proprio per l’assenza della pellicola, si possono fare sequenze impressionanti, da 7 a 10 scatti il secondo. Non ci sono “rullini” da cambiare, perciò, con la stessa scheda di memoria, è possibile scattare migliaia di foto, e si ha la possibilità di poterle ritoccare al computer, mentre il sensore di movimento incorporato impedisce il “mosso accidentale,” cosa quasi inevitabile con i cannoni di un tempo. Alcune fotocamere più sofisticate, poi, possono spedire la foto appena fatta all’altro capo del mondo. Questi “miracoli,” sono possibili grazie alla tecnologia digitale, che ha raggiunto livelli eccelsi negli ultimi dieci anni. E pensare che quando racconto che io, trenta anni fa, sono stato il primo a usare il “digitale,” nessuno mi crede. Per risparmiare, e sviluppare solo le foto fatte senza usare tutto il rullino, tagliavo la parte ancora vergine al buio totale della camera da letto, con le mani coperte da un grosso drappo nero, tagliando con le forbici il negativo a filo del dito pollice; più digitale di così!
Mario Volpi 17.4.22
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