Contadino un mestiere perduto - carraraonline.com

Sezione a cura di Mario Volpi
Vai ai contenuti

Contadino un mestiere perduto

Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Chiamare "contadino" qualcuno oggi, è considerato quasi un insulto, ignorando che proprio grazie a i contadini l'umanità ha potuto crescere ed evolvere.
A Carrara vi è un antico adagio che recita così; contadino scarpe grosse e cervello fino. E per secoli questa è stata una verità inconfutabile, a dispetto della convinzione popolare che voleva perfino l’aggettivo “contadino” sinonimo di persona gretta, rozza e ignorante. Il contadino, era uno dei mestieri più difficili, che aveva bisogno di anni di apprendistato per essere eseguito in modo efficace, anche perché da questo “mestiere,” dipendeva la vita o la morte di famiglie intere, spesso numerosissime. Certo, nel passato era pressoché analfabeta, perché leggere e scrivere non gli serviva a molto, ma aveva nozioni basiche di zootecnia, agraria, genetica, e botanica. A riprova di ciò, la totalità di razze zoologiche o vegetali autoctone di un certo luogo o ambiente, sono state selezionate nel corso dei secoli da questi “addetti ai lavori,” che a ogni raccolto, o da ogni nuovo nato sceglievano e lasciavano per “sementa” i migliori. Nei miei ricordi di bambino, ho ancora ben presente alcune di queste abitudini, che al tempo non capivo, ma che erano basilari per la sopravvivenza della famiglia. Ad esempio anche se oggi appare crudele, l’intera covata di gattini a sei mesi era presa e chiusa nel granaio per una settimana, solo chi riusciva a catturare i topi, superava indenne questa terribile prova. Oggi, l’agricoltura moderna, oltre a un salto tecnologico enorme, ha incrementato in modo esponenziale, per motivi puramente commerciali, il cosiddetto “orto fai da te,” dove in ogni Consorzio Agrario, è possibile acquistare per pochi Euro, piantine già pronte al trapianto di una serie pressoché infinita di specie, ma la vera agricoltura non è certamente questa. Un tempo tutto nasceva da seme, e la selezione degli stessi era fondamentale per la buona riuscita del raccolto dell’anno dopo. Prendiamo per esempio uno degli ortaggi più facili da coltivare, e più diffusi; il pomodoro. Pensate che le varietà di quest’ortaggio nel mondo sono più di settantamila di cui in Italia ne vengono coltivate solo circa trecento. Un tempo il contadino sceglieva con cura i frutti da seme. Dovevano essere presi dal primo palco, fruttificante della pianta, ossia la fioritura più vicina alle radici, perché si credeva che le future piante nate da quel seme, cominciassero a fruttificare a quell’altezza, producendo così più palchi e di conseguenza più frutti. I pomodori più belli, senza difetti e grossi, erano lasciati maturare sulla pianta fino quasi allo spappolamento, quindi erano schiacciati, il succo e la polpa usati per la pastasciutta, mentre i semi accuratamente puliti erano stesi ad asciugare al sole su una carta gialla, ossia fatta con la paglia, perché non fossero contaminati dall’inchiostro, presente nei fogli di riviste e giornali. Stessa attenzione era riservata ai semi di zucchine, melanzane, e peperoni. Discorso a parte erano i fagioli ceci e piselli. Anche questi fatti seccare sulla pianta erano attentamente vagliati per scartare i chicchi non perfetti, poi dopo essere stati stesi al sole per tre o quattro giorni, venivano chiusi ermeticamente in un’albanella di vetro e riposti al buio in granaio. Certamente gli antichi contadini non sapevano dell’esistenza del PH del suolo, e naturalmente non sapevano neppure misurarlo, ma capivano subito quando c’era qualcosa di sbagliato nel terreno, che interferiva con lo sviluppo delle piante. Pensando magari che fosse a causa di qualche malattia, aggiungevano calce spenta in polvere, per “dis’nftar” (per disinfettare) come si diceva in dialetto carrarino, mentre in realtà correggevano il PH, migliorando sensibilmente la produzione e la qualità degli ortaggi. La calce era anche usata per “pitturare” i tronchi degli alberi da frutto, per proteggerli da parassiti e insetti dannosi, e mescolata al verderame serviva per fare la famosa Poltiglia Bordolese, efficacissima anche oggi contro un gran numero di funghi e spore dannose. Nell’eterna lotta contro insetti dannosi, ci si serviva anche di sistemi naturali, in alcuni casi, curiosi, ma molto efficaci. Un esempio era la preparazione del terreno per la semina delle patate. L’aratura grossolana, era fatta negli anni sessanta dai primi giganteschi trattori Fiat, ma l’erpicatura, per risparmiare, era ancora fatta con le mucche aggiogate all’erpice. Durante quest’operazione, che avveniva a metà febbraio, si provvedeva ad avere al seguito un vero e proprio plotone di giovani pollastri, che inseguivano e divoravano avidamente gli insetti che l’erpice stanava,, compresi i famelici grillotalpa, così dannosi per le coltivazioni di questi tuberi. Anche se certamente ne ignoravano la ragione scientifica, i contadini, per tradizione in occasioni della festa del Santo Patrono degli animali, differente in ogni paese, si scambiavano un maschio di diverse specie, come conigli, galli, e anche capre e arieti. Questo impediva la consanguineità, rinforzando la specie, evitando malformazioni e malattie. Vi erano poi i contadini-artisti, che avevano una sensibilità particolare nel fare gli innesti. Mi ricordo che quando era ancora bambino, al mio paese vi era un “inestin” (un innestatore) che si chiamava Ubà, che si diceva che aveva un successo di oltre il 90% sugli innesti che eseguiva. Il contadino un tempo era importantissimo nella Società, tanto che quelli più bravi erano richiestissimi dai “padroni” dei latifondi, che per accaparrarseli non esitavano a promuoverli a Fattore, grado equivalente come importanza e retribuzione, a un dirigente odierno. Quindi, quando oggi mangiamo un’insalata, o gustiamo una mela, non dimentichiamo che possiamo farlo, grazie alla sapienza, alla determinazione, e agli immensi sacrifici di questi antichi e vilipesi mestieranti.
Mario Volpi 18.6.22
Racconti di questa rubrica
CarraraOnline.com
CarraraOnline.com
Torna ai contenuti