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Sezione a cura di Mario Volpi
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La prestoria dell' elletronica

Una Volta Invece

Spetta/Le Redazione
5 ott 2013

Per i giovani d'oggi, il mandare un messaggino, scattare una foto, o chattare sul computer, è una cosa così naturale che sicuramente pensano che sia sempre stato possibile. Eppure appena quaranta anni fa tutto ciò era inimmaginabile, si pensi che i telefoni negli anni sessanta a Carrara erano meno di 200, e per fare una telefonata serviva l'ausilio delle "signorine" della allora Teti, che dal centralino mettevano in comunicazione i vari utenti.
Volpi Mario

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La preistoria dell’elettronica

Chi di noi non ha mai fantasticato di vedere le reazioni di un uomo del seicento portato di colpo nella nostra epoca? Ecco, questo grosso modo e come si sentono quelli della mia generazione, che spesso non riescono neppure intellettualmente, a stare al passo con il progresso tecnologico di oggi.
Alcuni giorni fa, ho portato il nipotino ai giardinetti, e lui immediatamente si è avvicinato ad altri due bambini più o meno della sua stessa età, che giocavano con un grosso autocarro di plastica colorata. Questi erano attentamente sorvegliati da due giovani madri, che presumibilmente erano anche amiche perché parlavano animatamente tra di loro, ad un tratto una delle due puntò il telefonino e fece una foto ai bambini poi, accostando il telefono toccò quello identico dell’amica, che, dopo aver guardato la foto, disse, “bellissima la mando subito a mio padre a Roma!”
Solo pochi decenni fa, una  scena così, con un trasferimento d’immagine così eccezionale, non sarebbe stata immaginabile neppure nella serie televisiva fantascientifica Star Trek, che al tempo andava per la maggiore.
Millenovecentosettantuno. Parafrasando un passo della Genesi, si potrebbe tranquillamente affermare: prima era il nulla.
E’ infatti in quegli anni, relativamente recenti, che i primi congegni elettronici fecero lo loro timida comparsa sulla scena Italiana. Prima di quel periodo tutto era meccanico, e attivato manualmente. In quasi tutte le case vi era la macchina per cucire, come l’americana Singer, rigorosamente meccanica, azionata con i piedi dalla sarta, che tramite una pedana basculante trasmetteva il moto con una cinghia di cuoio alla spoletta del filo e a l’ago. O l’italiana Necchi, azionata con una manovella posta sul volano, già al tempo con moltissimi programmi di cucito. Nel salotto buono delle famiglie più abbienti troneggiava l’orologio a pendola, dotato di carica settimanale, con un tic, tac tanto forte, da rischiare la sordità, mentre in quelle più modeste, era immancabile l’orologio a cucù con i due contrappesi per la carica a forma di pigna, oppure la ancora più proletaria sveglia a carica manuale, dotata di una soneria così potente da provocare il rischio d’infarto ogni mattina.
Nelle prime e rare stazioni di servizio, le pompe erano composte di due recipienti cilindrici di vetro dalla capacità di un litro affiancati l’uno all’altro. Con una leva da azionare manualmente posta sul retro della colonnina, il benzinaio pompando, riempiva il primo, e quando era pieno, girando una piccola manovella si svuotava, e la benzina fluiva con una gomma dentro il serbatoio dell’auto, mentre il secondo si riempiva, permettendo così a un contatore meccanico di contare i  litri. I congegni a più alta tecnologia del tempo erano le rare telescriventi, con le quali era possibile spedire un testo, in qualsiasi parte del mondo, ma erano prerogativa degli apparati dello Stato, o di grosse testate giornalistiche, o potenti gruppi industriali. Erano ancora abbastanza inaffidabili, tanto che per testarne l’efficienza, era stato inventato una specie di codice chiamato Pangramma. Questo consisteva nello spedire la seguente frase, a prima vista priva di senso, ma che aveva al suo interno tutte le lettere dell’alfabeto, MA LA VOLPE COL SUO BALZO HA RAGGIUNTO IL QUIETO FIDO.
Nei negozi di generi alimentari, le grosse affettatrici a volano Bizerba, erano meccaniche e manuali, così come le bilance, mentre negli uffici, le dattilografe riuscivano tranquillamente a fare trecento battute il minuto, su macchine per scrivere Olivetti o Lexington, azionando manualmente il carrello, così come manuale era anche la leva che faceva funzionare le enormi calcolatrici meccaniche.
I primi oggetti a modernizzarsi furono gli orologi. La Bulova mise sul mercato alla fine degli anni sessanta un orologio denominato Bulova Accutron, aveva il movimento completamente a vista e le lancette erano fatte girare da un meccanismo ancora meccanico, ma azionato da una piccola batteria che, inducendo elettricamente delle vibrazioni in un diapason, prometteva una precisione di circa un secondo il mese. Anche se abbastanza costoso ebbe subito un enorme successo, spinto anche da una sapiente campagna pubblicitaria che ne esaltava l’unicità.
Fu solo nel millenovecentosettantadue, che apparvero i primi veri orologi elettronici a LED. Erano interamente in plastica, e avevano il quadrante completamente nero. Premendo un pulsante apparivano le ore e i minuti, al tempo solamente rossi. La novità spinse la gente a comprarne migliaia, tanto che in pochissimo tempo ne vennero prodotte due versioni, ambedue, con la stessa tecnologia, ma quelli a buon mercato, con la cassa e il cinturino in plastica, mentre quelli di alta gamma, addirittura placati in oro, da sfoggiare come un vero gioiello. Venne poi l’era delle calcolatrici elettroniche, la prima portatile fu immessa sul mercato dalla Sharp agli inizi del 1972, aveva le batterie ricaricabili, un display a LED,  e pesava circa 500 g.  costava  800.000 Lire, si pensi che una Fiat 500 di Lire ne costava 650.000.
Anche nel settore del divertimento cominciò a entrare l’elettronica, e accanto al Flipper elettromeccanico, apparvero i primi videogiochi elettronici. In principio queste erano delle gigantesche consolle in legno colorato, dotate di grossi monitor verdi, dove era possibile giocare una partita di tennis molto approssimativa, che consisteva nel respingere con una lineetta luminosa che simulava una racchetta, un’altra lineetta, che era la palla.
Sempre in quegli anni, importato dagli Stati Uniti, fece la sua prima comparsa, anticipato da una martellante campagna pubblicitaria, il primo vero personal computer, denominato Vic 20, e costruito dalla Commodore. La sua potenza era ridicola, aveva solo 5,5 Kb, di cui due servivano per il sistema operativo, e costava “appena” 199.000 Lire. Era costituito da una semplice tastiera con un lettore di audiocassette incorporato, e un’altro alloggiamento per l’inserimento di una cartuccia ROM in linguaggio macchina per i giochi. Si collegava al televisore di casa, ed era possibile la sua programmazione con il BASIC. Fu un enorme successo, tanto che in pochissimo tempo la casa costruttrice né vendette oltre un milione di pezzi. I programmi, copiati da enormi “manuali d’istruzione” potevano essere  scritti su una normale cassetta musicale, e dopo il loro caricamento era possibile, non solo fare dei piccoli giochi, ma anche simulare il suono di diversi strumenti musicali, e addirittura di comporre la musica. La Olivetti, che nell’anno 1965 aveva già presentato alla fiera di New York un calcolatore elettronico denominato Programma 101, senza particolare successo, rispose con un modello tutto italiano, il PC 128 Prodest, dotato anche di una penna ottica e di un programma di grafica in cartuccia ROM denominato Colorpaint, ma che, pur essendo molto più potente, non ebbe successo per la totale assenza di programmi. Come scarso successo ebbe un modello della Atari che venne lanciato sul mercato nel 1981.
Il primato di vendita in assoluto, lo ottenne ancora la Commodore, nel 1982, con l’uscita del nuovo modello denominato Commodore 64, riuscendo a distribuirne nel mondo oltre diciassette milioni di pezzi.
Complice del suo successo fu sicuramente l’idea di metterlo in vendita anche nei neonati grandi magazzini e nei negozi di giocattoli, oltre ovviamente a dotarlo di accessori come un floppy, e addirittura una delle prime stampanti ad aghi dedicata. Questo permise di usarlo anche per il lavoro d’ufficio, ma la formula del suo straordinario successo fu senza dubbio la vastissima gamma di programmi per il gioco, alcuni dei quali sono diventati leggenda, come PAC, o l’idraulico italiano Mario Bross. La Commodore, a causa di scelte commerciali errate, dichiarerà bancarotta nel 1994, mentre la Olivetti pur essendo stata per decenni leader nel campo dell’informatica, non riuscirà in alcun modo a inserirsi in questo ricco mercato, e anch’essa chiuderà i battenti pochi anni dopo.


Volpi Mario

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