Tra erbe e Magia - carraraonline.com

Sezione a cura di Mario Volpi
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Tra erbe e Magia

Una Volta Invece

Spetta/Le Redazione 20 agosto 2013

Secondo alcuni sociologi, la malattia più comune in Italia è l’ipocondria.
Le migliorate condizioni di vita, assieme ad una pubblicità martellante, hanno trasformato milioni di italiani, perfettamente sani, in un esercito di medicine-dipendenti. Si usano pillole e sciroppi per qualsiasi cosa, dall’emicrania, alla cellulite, spesso senza alcun risultato, se non quello di intossicarsi l’organismo. Nella Carrara di cinquanta anni fa, la tubercolosi, e il tifo erano endemici e si ripresentavano ciclicamente in mini epidemie, mentre la polmonite, e le gastroenteriti, erano all’ordine del giorno. Per difendersi da queste terribili malattie, la gente poteva fare poco o nulla, se non cercare un rimedio... tra erbe e magia.

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Basta accendere la televisione su qualsiasi canale, che, dopo pochi minuti, scatta lo Spot. Riguardano i medicinali così detti da banco, ovvero di libera vendita senza ricetta. La pubblicità instilla nella mente della gente, che sono assolutamente indispensabili, e che addirittura, grazie ad essi, si può anche eccedere in alcune cattive abitudini, come nel mangiare troppo, perché dopo, con una pillolina, tutto torna a posto. Vi sono creme per lenire ogni tipo di malattie o presunte tali, addirittura per dimagrire, o per eliminare la cellulite, e assolutamente impensabile affrontare un banale raffreddore, o un mal di gola, senza la pasticca, o lo sciroppo “miracoloso.”
Sarebbe folle, negare i benefici effetti che hanno prodotto sulla salute delle persone, i balzi tecnologici che la Chimica, e la Medicina, hanno fatto in poco più di cinquanta  anni, ma da questo ha esserne schiavi, ce ne corre!
Senza voler andare troppo indietro nel tempo, basterebbe dire che fino a tutti gli anni quaranta, a Carrara di polmonite, tubercolosi, e tifo, si moriva nella quasi totalità dei casi, anche una semplice infezione causata da una ferita, magari alle cave, o un ascesso a un dente, poteva causare la morte. Dal dopoguerra in poi, con l’avvento della Penicillina, portata dalle truppe alleate, la situazione migliorò nettamente, ma questo solo per le malattie più “gravi”. La Società carrarina era ancora in prevalenza rurale, ed era restia ad abbandonare rimedi millenari per una “modernità” che ancora in pochi capivano.
Non era affatto raro che ai rimedi di erboristeria, venissero affiancati quelli di stregoneria. Quando la malattia non rispondeva a nessun tipo di cura tradizionale, molto probabilmente, il malato, era stato oggetto di un malocchio lanciato da qualcuno che voleva il suo male, perciò si andava da una “Strolga” (Strega) che gli “segnava la paura”, ossia, faceva un rito di magia bianca, per accertare, se, è quanto potentemente, fosse stato colpito, ed eventualmente esorcizzarlo. Le malattie più comuni nella Carrara di quegli anni erano di due tipi, gastrointestinali, e polmonari, oltre naturalmente a ferite più o meno gravi, causate dal lavoro alle cave svolto, al tempo, senza le più elementari norme di sicurezza. Gli indumenti in lana erano una rarità, le case erano piene di spifferi, e malamente riscaldate da camini, o da stufe, posizionate di solito nella cucina, ne conseguiva che lo sbalzo termico tra questa, e la camera da letto fosse notevole, il soggiornare poi, per tutta la notte, in un ambiente gelido, ed in promiscuità con molti individui, generava spesso malattie a l’albero respiratorio. I bambini erano i più colpiti, e specialmente nei neonati la mortalità era molto alta. Le malattie intestinali erano frequenti per le scarse norme igieniche del tempo. Le case erano prive di gabinetto, che si trovava nell’aia, questo era a prelievo, e in comune con tutto il vicinato.  Lo scarico dei lavabi delle cucine avveniva in fogne a cielo aperto, che nei mesi estivi favorivano l’insorgere di infezioni. Il bagno personale era effettuato nel “concon” ( Grosso contenitore di terracotta) ogni quindici giorni, e spesso la stessa acqua calda era usata da più famigliari. L’acqua da bere era prelevata da pozzi, posti nei cortili, e poi messa in casa nel “bazil” (bacile in rame stagnato all’interno) dove era facile la contaminazione da agenti patogeni, dato che tutti i componenti della famiglia, e gli eventuali ospiti, vi bevevano usando un mestolo, e ributtandovi dentro l’acqua che avanzava. L’altra  importante causa delle malattie intestinali era la conservazione dei cibi, che lasciava molto a desiderare. I frigoriferi non erano ancora stati inventati, e in casa per i cibi deperibili come burro, latte, e carne, si ricorreva, alla “moschiera.” Questa era una specie di pensile in legno, rivestita da una retina, in modo che il cibo all’interno fosse areato, ma al riparo da mosche, e topi, non infrequenti nelle abitazioni del tempo, ma poco o nulla si poteva contro la proliferazione batterica dovuta alla temperatura. Nei mesi invernali, si ovviava a questo inconveniente mettendo il cibo deperibile sui davanzali delle finestre, alla “serenella”. Alcuni comportamenti erano codificati, qualsiasi fosse la malattia presente. La credenza più accreditata voleva che le piante o le erbe,  più assomigliavano a un organo umano, più potere curativo avessero sullo stesso, addirittura anche il sapore, e il colore erano importanti per l’erboristeria del tempo, così:

Il giallo con il sapore dolce, curava la Milza
Il rosso con il sapore amaro, curava il Cuore
Il verde con il sapore acido era ottimo per il Fegato
Il nero con il salato era un toccasana per i Polmoni.

La depositaria per eccellenza di questo sapere secolare, era la matriarca, era lei che si occupava non solo di somministrare, ma anche di raccogliere e fare seccare quando necessario, le erbe medicinali.
Così per cistiti, o infiammazioni del tratto urinario si usava “’l pissa’nlet” (Tarasacco) e le foglie del “marmotl” (Corbezzolo), l’Aglio era usato per la pressione arteriosa, e come disinfettante intestinale. Nei neonati e nei bambini contro la crosta lattea, molto comune al tempo, si usavano gli impacchi di Bardana, usata anche per lenire il morbillo, e la rosalia. Per le ferite alle cave, o nei campi, era d’obbligo un impiastro “d’erba d San Giovanni” (Iperico), mentre per gli stati ansiosi era somministrato “’l fior dla pasion” (Passiflora).
Per un eventuale ferita infetta invece, si ricorreva alla scottatura, che consisteva nell’ immergere la parte ammalata in un recipiente contenente acqua e sale, con una temperatura al limite della sopportazione. Una pezzuola bagnata nell’aceto e stretta attorno al capo, era un toccasana per il mal di testa. Vi erano poi i rimedi “magici,” come fare ripetutamente il segno della croce sulla parte dolente con la verga d’oro del marito, o della moglie, mormorando una preghiera rituale, o come per curare l’orzaiolo, guardare dall’imboccatura dentro una bottiglia d’olio, e poi passare ripetutamente sull’occhio un filo per cucire. Contro la puntura di vespa o calabrone, bisognava premere sulla ferita la chiave della stalla, o della cantina, mentre per una storta si fasciava stretta la caviglia con la fascia del neonato di casa imbevuta del bianco d’uovo e della sua urina. L’ustione veniva curata con l’applicazione di lardo o strutto, o olio d’oliva e bianco d’uovo, e poi fasciata strettamente. Molti rimedi erano forse peggio del male, come per il bruciore di stomaco, che imponeva di ingoiare una lumaca viva priva del guscio, perché si credeva che la bava lasciata fosse curativa. E’ indubbio però, che forse per il cosiddetto effetto placebo, molti di questi rimedi funzionassero.
Chiamare il medico, sopratutto per ragioni economiche, era considerato l’ultima spiaggia, come il ricorso al ricovero Ospedaliero, che spesso avveniva quando ormai era troppo tardi.
La malattia veniva preventivata come possibile, e quindi accettata con una sorta di rassegnazione, un intoppo nel corso della vita, che però poteva accadere, e che prima o poi sarebbe passata. Certo questo era anche dovuto al basso livello culturale della popolazione del tempo, ma certamente aiutava a non acuire il senso di sconforto nel malato.
Si è così giunti a un paradosso; mentre cinquanta anni fa, si rischiava la vita per scarsa fiducia nella medicina, oggi succede la stessa cosa, ma per la ragione opposta. Si è portati a credere che i farmaci siano una panacea assoluta, un rimedio senza rischi, e di conseguenza, complice anche una certa non disinteressata pubblicità, si è portati ad abusarne, magari per disturbi banali.
Si assumono così, con leggerezza, massicce dosi di vitamine, prodotti “naturali” per dimagrire, integratori di varia natura, calmanti per ogni dolore, fino ad arrivare alle pozioni per far ricrescere i capelli. A prescindere dall’efficacia di questi prodotti, e bene sapere che l’introduzione nell’organismo di sostanze chimiche, anche soltanto a livello epidermico, innesca dei processi metabolici differenti da individuo, a individuo, difficilmente stimabili, che possono portare, in alcuni casi, a conseguenze molto gravi per la salute. E di questo ne sono ben consci i produttori, che, obbligati dalla legge, fanno passare nella pubblicità, a velocità incomprensibile, le controindicazioni del prodotto.

Volpi Mario

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