Cronaca di un giorno di scuola anni 50 - carraraonline.com

Sezione a cura di Mario Volpi
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Cronaca di un giorno di scuola anni 50

Racconti

1° Ottobre 1953, "San Rumedi"


Era una splendida mattina, per essere di ottobre, l'aria era chiara e frizzante, per la mano a mia madre, impaurito e imbronciato, mi facevo quasi trascinare, mentre lindo nel mio grembiulino nero, con il colletto bianco inamidato, e il fiocco azzurro, ci dirigevamo verso la scuola. Non si poteva certo dire che San Remigio, mi avesse fatto un regalo, perché, il primo ottobre, non solo era il mio primo giorno di scuola, ma per un complicato calcolo sulla mia data di nascita, con cinque anni e mezzo, ero uno degli alunni più giovani, primato di cui avrei fatto volentieri a meno. Davanti al portone della scuola, una marea nera si muoveva vociante, solo il fiocco, azzurro per i maschi, e rosa per le femmine, rompeva la monocromaticità, spettacolo che contributi a impressionarmi ancora di più. A quel tempo, il calo demografico non era ancora avvenuto, anzi, il numero dei bambini era in piena espansione, creando non pochi problemi alle Autorità scolastiche, per la penuria di scuole agibili, essendo la maggior parte ancora diroccate dai bombardamenti. Per cercare di ovviare a questa situazione, i Direttori didattici, formavano classi di oltre trentacinque bambini, e allestivano delle vere e proprie scuole di fortuna, in vecchi magazzini, o addirittura in scantinati, umidi e semibui, ma non vi era altra scelta. Quando sentì chiamare il mio nome, da prima non mi mossi, poi, dopo una vigorosa spinta da parte di mia madre, mi diressi verso il gruppo che sarebbe diventato la mia classe; guidati da una signora, che a me parve molto anziana, ci dirigemmo in aula. La signora era vestita in modo elegante ma severo, con un grande uso di trine e merletti che ornavano il colletto e i polsini della sua camicetta di un bianco immacolato, i capelli, pettinati in modo elaborato, erano trattenuti da una sottilissima retina. Ci disse che era la nostra maestra, che si chiamava Clara, poi assegnò ad ognuno di noi il proprio posto. L'aula era uno stanzone immenso, colorato fino a metà altezza di grigio, col soffitto di un bianco sporco e scrostato, in cui l'infiltrazione d'acqua aveva disegnato strani arabeschi, aveva un aspetto lugubre, almeno così parve ai miei occhi di bambino.  Nonostante mi sforzassi per non darlo a vedere, i miei occhi si stavano velando di pianto, mentre l'angoscia mi stringeva lo stomaco in una morsa dolorosa. Due altissime finestre ad arco, con alcuni vetri  sostituiti da fogli di cartone, occupavano un'intera parete, mentre l'altra era occupata da una carta geografica mezza strappata, e da due o tre fogli di carta con dei disegni, e dei segni che non conoscevo. Ma il pezzo forte erano i banchi; a due posti, disposti su tre file, erano di legno, dipinti di un colore grigio topo, escluso il piano inclinato dove si doveva scrivere, che era invece nero, tutto rovinato da tagli e scheggiature. I sedili erano basculanti, così come il piano inclinato, per permettere di riporre al di sotto la cartella, uno spazio piano, di circa quattro dita sul bordo superiore, conteneva un calamaio di vetro a incasso, e una scanalatura che permetteva di poggiare in orizzontale la penna. La maestra stava dietro una monumentale scrivania, dello stesso colore dei banchi, poggiata su un'alta pedana di legno, che ci sovrastava di un buon mezzo metro. Ci insegnò a rispondere a l'appello, e a dire la preghiera, poi ci ordinò di aprire le cartelle per vederne il contenuto. Soltanto dopo capii appieno il significato di quella manovra. A quel tempo, erano moltissime le famiglie indigenti, anche nella nostra classe vi erano tre orfani di guerra, che vivevano in un collegio gestito da religiosi. La maestra, diplomaticamente, vedendo il nostro"corredo"  annotava chi aveva necessità di aiuto da parte del"Patronato"nome che al tempo si dava a l'Ente Assistenziale, che forniva a giorni alterni, anche un bicchiere di latte condensato ai più bisognosi. La cartella era costituita da un parallelepipedo di un materiale simile al cartone pressato, munita di una maniglia centrale, e di una tracolla, che invariabilmente si rompeva il secondo giorno, i più "ricchi" avevano anche un astuccio di legno con il coperchio che si apriva scorrendo all'indietro, contenente una matita, lapis, per noi, e una gomma, solo alcuni possedevano anche un temperamatite di alluminio o "punta lapis". Il primo anno il quaderno era solo a quadretti, con la foderina nera, uguale per tutti, ma che tornava utilissima, come avrei scoperto più tardi, per ritagliare maschere per carnevale, e rondini da attaccare ai vetri delle finestre. Il primi mesi si passavano a fare le "stanghette," dritte e inclinate, e a cercare di non fare le "orecchie" al quaderno, poi si passava a pagine intere di singole vocali, infine ai primi suoni composti. Questa procedura, che oggi sarebbe considerata troppo lenta, era dettata dal fatto, che la maggioranza dei bambini, non avevano mai visto una matita, o un foglio, prima di allora, e che moltissimi di loro, non potessero neppure contare su l'aiuto dei genitori, in quanto analfabeti. In seconda classe si poteva cominciare ad usare la penna col pennino, di questi ve ne erano una grande varietà, capaci ognuno di un segno diverso, ma a noi interessava soltanto che avessero una punta acuminata, per poterlo usare come mini giavellotto da piantare sul banco. L'inchiostro, soltanto nero, veniva portato con un fiasco dal bidello, che ne versava un poco nel calamaio, con il risultato che alla fine della mattina, avevamo le mani da buttare, da quanto erano nere. La disciplina era ferrea, il ceffone, o la vergata sulle dita  erano frequenti, anche se la punizione più tremenda era l'essere mandati in classe "dalle femmine," cosa equivalente alla morte sociale nella scala gerarchica. Anche se le punizioni corporali, e quelle psicologiche erano frequenti, a nessuno dei nostri genitori sarebbe mai venuto in mente di contestarne l'applicazione, perché considerati metodi necessari per il percorso formativo dell'alunno. La maggior parte degli edifici scolastici erano privi di riscaldamento, a cui  la maestra suppliva con l'uso massiccio della mantellina, e dello "scaldino." Questo attrezzo era costituito da un piccolo secchiello di lamiera, con un manico fisso a semicupola, riempito di carbonella accesa, e posto sotto la cattedra, regalava, ma solo a lei, un dolce tepore. A quei tempi non era contemplato l'uso di cappotti o piumini, questi ultimi poi, aldilà da venire, ci si vestiva a strati, con largo uso di indumenti di lana grezza, che le nostre mamme, o nonne, ci confezionavano con i ferri, escluso però i calzoni, quelli erano rigorosamente corti, o al massimo alla zuava. Pochissimi avevano le scarpe di cuoio, la maggior parte calzava gli zoccoli, ma non quelli che si usano oggi per il mare, questi avevano una tomaia in pelle che arrivava dalla punta fino a coprire tutta la fiocca del piede, lasciando libero soltanto il calcagno. Questa forma obbligava molte madri a cucire un pezzo di elastico che passava dietro il calcagno, per tenere fermo il piede dentro lo zoccolo, evitando così il trascinamento dello stesso, ma soprattutto limitandone di molto il consumo. Anche se oggi fortunatamente scomparsa, una grave malattia era i'incubo di quei tempi. La Poliomielite. Questa terribile malattia molto contagiosa, chiamata anche Paralisi Infantile, si propagava  facilmente per le pessime condizioni igieniche in cui la maggior parte della gente era costretta a vivere. Troppi individui in promiscuità, in ambienti piccolissimi, spessissimo senza acqua corrente e con il gabinetto in comune con tutto il vicinato. Questa situazione favoriva anche l'insorgere di malattie respiratorie, come Tonsilliti, Faringiti, Laringiti, oltre a quelle gastroenteriche, e parassitarie, come il terribile tifo petecchiale. Specialmente per i primi due anni, la scuola era vista da molti bambini come una sorta di prigione, abituati a vivere quasi sempre a l'aperto, la lunga immobilità, la disciplina, i colori non certo allegri, portavano a frequenti crisi di pianto senza apparente motivo, che però erano molto contagiosi, tanto da costringere la maestra, a inventare espedienti come il canto per rompere la tensione. In questo contesto, era molto gradito a noi bambini, qualsiasi avvenimento che rompesse la monotonia quotidiana, come la visita del "carabiniere." A quei tempi, i residuati bellici erano ancora molto frequenti, e il loro ritrovamento accidentale provocava parecchi morti e feriti, specialmente tra i bambini, tanto da costringere le Autorità Governative a massicce campagne d'informazione. Una della più efficaci, ma certamente più macabra, utilizzava una foto su di un manifesto, che raffigurava un bambino con i moncherini fasciati da bende insanguinate, che piangeva disperato, con attorno le riproduzioni di bombe e mine con la scritta, Se le trovate non toccatele. Il carabiniere, girava per le scuole con un campionario di ordigni, per farli vedere, e per descriverci i loro effetti devastanti. Erano sicuramente tempi duri, i metodi di insegnamento certamente un pò ruvidi, ma a noi bambini insegnavano il rispetto delle persone, e delle Istituzioni. Un episodio di bullismo odierno, a quel tempo, sarebbe risultato impensabile, e anche l'aspetto nozionistico non era certamente trascurabile, un bambino di terza elementare sapeva a memoria tutte le tabelline, provate oggi a chiederle, magari a un maturando!   

Volpi Mario


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