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Sezione a cura di Mario Volpi
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Scomparsa misteriosa

Medioevo carrarino

Spett/le Redazione
Questo racconto è uno spaccato della vita vissuta dalla gente comune, nella Vicinia più a sud di Carrara, al tempo ancora coperta da malsane paludi e popolata da pochissime persone,  sottoposte alla prepotenza del potere e alla severità della Natura. Solo il frequente passaggio di pellegrini sulla Francigena e dei commerci via mare  ha impedito il definitivo abbandono di Lavenza da parte di una popolazione afflitta dalla Malaria e dai frequenti attacchi dei pirati.

Scomparsa misteriosa

Ormai la primavera era alle porte. Le cannelle della palude ondeggiavano lievemente alla dolce brezza mattutina, mentre il sole sorgeva lentamente da dietro le bianche montagne. Le rane dopo il concerto notturno, si rintanavano sotto l'acqua limacciosa per non diventare il pasto dei numerosi aironi che arrivavano in gran numero. Sciami d'insetti ronzanti, attiravano rondini e rondoni, che compivano spericolate acrobazie a pelo d'acqua per catturarli, le passere cannaiole con il loro canto salutavano il sole ormai alto. Nel "chiaro" l'acqua era immobile, e rifletteva come un immenso specchio la luce del sole, vicino alla sponda sinistra, appena fuori dal fitto canneto, alcune sagome di germano galleggiavano pigramente tanto immobili da sembrare finte. Uno stormo proveniente dal mare passò a pochi metri d'altezza, un richiamo li fece compiere una brusca virata per poi posarsi vicino alle sagome ferme sull'acqua. Si udì un sibilo quasi impercettibile, e un grosso maschio dal capo verde iridescente, fu trapassato da una freccia, tentò disperatamente di levarsi in volo, ma il suo tentativo fallì in un disordinato sbattere d'ali. Prima che gli altri membri del branco si rendessero conto del pericolo e volassero via, un'altra femmina di germano fu colpita, e ora galleggiava dibattendosi debolmente negli spasmi della morte. Dal folto del canneto uscì un giovane, era in piedi su una barchetta fatta con fasci di cannelle di palude legati strettamente tra loro con rami di salice, avanzava manovrando una lunga pertica che puntava sul fondo, era coperto da pantaloni di pelle di coniglio tenuti stretti in vita da una cintura di cuoio, da cui pendeva una faretra con numerose frecce piumate, anche il corto mantello con cappuccio era fatto dallo stesso materiale. Si chinò per raccogliere le due prede, e dopo avere imbarcato le sagome di legno dei richiami, si diresse verso il centro del chiaro. Era un ragazzo di circa venti anni, anche se i lunghi capelli e la folta barba bionda, lo facevano sembrare più vecchio, si chiamava Tancredi. Dopo poco fermò l'imbarcazione e prese in mano un pezzo di legno che galleggiava sull'acqua, legato all'estremità di una corda di canapa. Cominciò a tirare, e dopo poco apparve una nassa fatta di giunchi, con  all'interno alcuni pesci argentei che si dibattevano disperatamente, la aprì e scaricò i pesci sul fondo della barca, quindi, dopo averla ributtata in acqua, si diresse a riva. Arrivato sulla sponda, scese, e tirò in secco la leggerissima imbarcazione ficcò in una grossa bisaccia le sue prede, prese l'arco e si diresse verso casa. Abitava sulla riva sinistra dell'Aventia, a una lega da Lavenza. La capanna era alta da terra, solidamente costruita su robusti pali di carpino, al sicuro dai frequenti capricci del fiume, e ancor più dalla curiosità di fiere come orsi e lupi, l'aveva costruita il padre, e lui vi era nato. Vi si accedeva con una scala che Tancredi toglieva quando si allontanava, e riposizionava al suo ritorno, l'interno era composto di un unico locale con al centro una grossa pietra concava, dove ardevano alcuni braci, un giaciglio composto da un saccone pieno di erba palustre, e una coperta fatta con pelli di capra cucite insieme, era posto contro la parete esposta a levante. Una grossa anfora di terracotta fungeva da riserva d'acqua, mentre una parte del tetto fatto di cannelle, era sollevata per permettere al fumo di uscire. Su di una rozza mensola vi erano alcuni vasi di terracotta, e una fiasca di pelle piena a metà d'idromele *. Il ragazzo gettò alcune foglie secche sul fuoco che si ravvivò, poi dopo avervi gettato alcuni pezzi di legno, prese un pesce dalla bisaccia e dopo averlo eviscerato con un coltello d'osso, lo infilzò su un bastoncino di salice e lo mise ad arrostire. Dopo essersi saziato, infilò le branchie dei pesci rimasti in un sottile ramo di salice a mo di collana, quindi prese la bisaccia con i germani e si mise in cammino in direzione del Borgo di Lavenza, era ansioso di rivedere Romilda, la figlia della Treccola*. Appena fu in vista delle quattro alte torri della Rocca, senti un rumore di cavalli al galoppo, istintivamente si nascose nel bosco, erano i soldati del Duca Gian Galeazzo Visconti, che pattugliavano la strada. Gli tornò alla mente quella tragica notte ormai lontana quando gli armigeri del Duca irruppero nella sua casa per arruolare a forza suo padre e i suoi tre fratelli più grandi, egli sfuggì solo perché ancora troppo piccolo per maneggiare una picca, ma sua madre nel tentativo di bloccare i soldati prese da uno di essi un calcio in pieno petto, così violento che poco dopo morì, da quel giorno lui era terrorizzato alla vista dei soldati. I suoi famigliari caddero combattendo contro Firenze, sanguinosa battaglia fortemente voluta dal Conte di Virtù come era chiamato dalla gente il Signore del Borgo, visse da solo per quasi un anno, fino a quando incontrò il "monaco", come ancora adesso lo chiamava. Anche quel giorno era primavera, e il bosco era in pieno rigoglio, gli uccelli in amore cinguettavano senza posa, l'aria era piena del profumo dei fiori, e i pioppi spargevano ovunque i propri semi come una nevicata. Mentre egli era intento a tendere archetti con le camole per insidiare i merli, udì un ruggito seguito da urla altissime. Corse da quella parte e vide un grosso orso, nero come il demonio, che stava dilaniando un uomo che tentava disperatamente di difendersi. Urlando gli scagliò una freccia che lo colpì al ventre, ruggendo di dolore, l'orso tentò dapprima di aggredirlo, ma poi si diede alla fuga. Trasportò faticosamente l'uomo ferito nella capanna e lo distese sul letto, le sue condizioni erano spaventose, la gamba destra era spolpata fino a scoprire le ossa, mentre nella spalla sinistra una profonda ferita sanguinava copiosamente. L'uomo con un filo di voce gli disse di tirare fuori dalla bisaccia che aveva a tracolla alcune erbe, e di porle sulle ferite, quindi di fasciarle strettamente, poi di fare bollire della corteccia che era custodita in un sacchetto di lino, e di fargliela bere per tutto il giorno, quindi svenne. Rimase più di una settimana tra la vita e la morte, con la febbre altissima, mentre lui gli cambiava le fasciature e le erbe, e continuava a dargli il decotto, infine un pomeriggio aprì gli occhi, e da quel giorno il suo miglioramento fu incredibile. Ci volle comunque un anno intero perché fosse in grado di muoversi di nuovo con sicurezza. Conosceva il segreto delle erbe e lo insegnò anche a Tancredi, gli fece piantare alcune bacche * che custodiva gelosamente, e quando la pianta spuntò gli disse di coltivarla con cura, fino a quando avesse prodotto altre bacche, solo allora avrebbe potuto prelevare la sua corteccia, e fare un decotto. Era amarissimo, ma con quella pozione, la febbre terzana delle paludi non avrebbe potuto colpirlo. Gli insegnò l'arte di confondere la sua scia odorosa, * spargendo al suolo una misteriosa "acqua" ottenuta dalle radici di una pianta, così potente che nessuna fiera avrebbe potuto seguire il suo odore. Gli insegnò anche a bollire il salice,* per ottenere una potente medicina contro la febbre e i dolori. Gli parlò poi di una terra lontana, aldilà del mare, dove era sempre primavera, e dove uomini e donne vivevano nudi, e si nutrivano di frutta squisita. Prima di andare via gli consegnò un ciondolo con un simbolo che lui non aveva mai visto, gli disse che se avesse avuto bisogno di lui, sarebbe bastato presentarlo a un convento nella vicina Genova. I soldati erano passati e lui entrò nel Borgo, vide subito il banchetto della Treccola, posto come al solito sotto la torre a base quadra della Rocca, le vendette la selvaggina e i pesci, per quattro baiocchi, Romilda era poco distante, con gli splendidi occhi verdi bagnati di pianto. Gli narrò che il vecchio Siniscalco *di Corte si era invaghito di lei, e che i suoi genitori, onorati, e tentati da una ricca dote, avevano deciso di concedergli la sua mano, le nozze sarebbero avvenute la prima domenica di aprile.
Dopo due giorni tutto il Borgo era in agitazione, una pulzella di nome Romilda era misteriosamente scomparsa mentre prendeva l'acqua dall'Aventia, solo la sua cuffietta insanguinata era stata trovata più a valle, ma i mastini portati sul posto non erano riusciti a seguire il suo odore, forse era stata interamente divorata da una fiera. Un denso fumo nero si levava dalla sponda del fiume, e quando la gente arrivò sul posto, vide che della capanna di Tancredi rimanevano solo poche rovine fumanti, forse il focolare aveva incendiato la casa, e il giovane, sorpreso nel sonno, era stato consumato dalle fiamme, perché di lui non vi erano tracce.
La prima domenica di aprile il curato celebrò una solenne messa di requiem per i due sfortunati giovani, spariti così misteriosamente, senza che nessuno sapesse più nulla della loro sorte.


Volpi Mario

Note:
bacche  *         La pianta della China, portata in Europa da un padre gesuita nel 1632 e di cui quest'ordine religioso mantenne il monopolio per secoli.
odorosa *         L'albero della canfora, da cui per distillazione si otteneva la canfora
il salice *         Le proprietà curative del salice erano note da secoli nei conventi pur ignorandone il principio attivo
Siniscalco *         Funzionario addetto alla mensa di corte
Idromele *         Bevanda alcolica ottenuta dalla fermentazione del miele
Treccola *         Venditrice in epoca medievale di generi alimentari vari, tra cui la selvaggina, pollame, formaggi ecc.

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