Il costo della bellezza - carraraonline.com

Sezione a cura di Mario Volpi
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Il costo della bellezza

Attualità
Il Bel Paese sarebbe in grado di vivere solo di turismo, essendo in possesso della maggioranza dei Beni Culturali mondiali, invece per scelte politiche più che discutibili, questo settore è sempre in deficit, e "succhia" risorse come un buco nero.

E’ ormai assodato che oltre l’ottanta per cento del patrimonio artistico mondiale si trova in Italia. A mio avviso però, questa affermazione è abbondantemente sottostimata, in quanto migliaia di monumenti “minori” praticamente sconosciuti al grande pubblico, perché situati in luoghi poco accessibili o non pubblicizzati, ma esistono, e il loro mantenimento è spesso un grosso onore finanziario per il Comune ospitante. In Italia ogni tre Comuni uno possiede qualcosa di artisticamente rilevante, come mostre permanenti, parchi archeologici, o musei. I musei italiani sono 4.908, affiancati da 630, monumenti importanti, senza contare un numero immenso di Chiese che contengono, spesso opere d’arte meravigliose. Nel 2022, in Italia vi sono stati oltre 120 milioni di visitatori, per la maggior parte nei musei, con oltre la metà straniera. Nonostante ciò, i musei italiani hanno sempre e costantemente le finanze “in profondo rosso.” Noi, come Paese con il più alto numero d’opere d’arte a livello mondiale, dobbiamo purtroppo registrare che fra i dieci musei più visitati al mondo, non ne figuri neppure uno italiano. E c’è di più, il museo francese del Louvre, fa registrare in un anno un numero di visitatori uguale a quello di tutti i musei italiani. Come si spiega un simile fenomeno? Evidentemente nella gestione del nostro patrimonio artistico vi è qualcosa di sbagliato. Non a caso un Decreto del Consiglio dei Ministri recita così «I musei, i parchi archeologici, le aree archeologiche e gli altri luoghi della cultura di appartenenza statale sono istituzioni permanenti, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo. Sono aperti al pubblico e compiono ricerche che riguardano le testimonianze materiali e immateriali dell'umanità e del suo ambiente; le acquisiscono, le conservano, le comunicano e le espongono a fini di studio, educazione e diletto, promuovendone la conoscenza presso il pubblico e la comunità scientifica». In altri Paesi della Comunità Europea. Invece, un museo, o un qualsiasi luogo che “venda” cultura tramite un biglietto d’ingresso, è amministrato come un’ attività commerciale, e di conseguenza deve produrre un utile, che ovviamente in caso di musei o parchi archeologici, sarà rinvestito nell’acquisizione di nuove opere, oltre al miglioramento per rendere più belle e accoglienti le strutture esistenti. A tal proposito voglio raccontare le mia prima visita a un museo non ben specificato nelle vicinanze della città di Firenze, avvenuta nei primi anni sessanta. Una nota Azienda che produceva matite colorate, promosse un concorso di disegno in cui potevano partecipare le scuole Medie e dell’antico Avviamento di Carrara. La nostra classe risultò la vincitrice, e così in una splendida giornata di maggio, ci caricarono su una “corriera” come al tempo si chiamavano i bus, e con pranzo al sacco portato da casa, ci dirigemmo verso Firenze. Ricordo vagamente che non arrivammo in città, ma ci fermammo in periferia, e dopo poco, tutti in fila, ci portarono in un palazzotto male in arnese. Dopo aver salito un numero infinito di scale ripide, semibuie e strette, arrivammo all’ingresso del “museo.” Sulla porta a doppia anta spalancata, vi era un piccolo tavolinetto di legno, con seduto dietro un signore con una spolverina stazzonata color grigio fumo, con la manica destra vuota, appuntata alla spalla con una spilla da balia. Questi, stava leggendo un quotidiano che sfogliava distrattamente con la mano rimasta, e al nostro arrivo, non alzò neppure la testa. Quando entrammo, ci accolse uno sgradevole tanfo di chiuso, assieme a una penombra che delle fioche e polverose lampadine nude che penzolavano dal soffitto, tentavano inutilmente di contrastare. Una parete dello stanzone era interamente occupata da tappetti appesi in verticale che solo dopo ci spiegarono che erano arazzi antichi. La mostra continuava con qualche decina di quadri con le cornici dorate e una grossa teca di vetro contenente libri antichi. Le “opere” erano protette da alcuni piantoni in legno con attaccata una grossa corda rossa. Il tutto trasmetteva una sensazione di ratazzonato abbandono. La visita per fortuna durò poco, e dopo ci condussero in un bel parco verde pieno di alberi e fontane, per consumare il pasto, e questo è l’unico bel ricordo che mi è rimasto di quella disastrosa, gita culturale. Oggi fortunatamente non è più così, ma i musei italiani, forse proprio a causa di pastoie burocratiche e volontà politiche borboniche, invece di produrre utile, sono un pozzo senza fondo che ingoiano risorse finanziarie che potrebbero essere impiegate meglio. In altri Paesi, all’interno dei musei si svolgono anche attività diverse, come sfilate di moda, magari attinenti a ciò che viene mostrato, ma anche altri eventi, che oltre a pubblicizzare il museo, producono un utile. Un museo degno di tale nome, oltre alla struttura, e alle opere che contiene, da lavoro a parecchi dipendenti, alcuni anche d’istruzione superiore, che vanno giustamente retribuiti, ed è quindi naturale che debba per lo meno autofinanziarsi, invece di essere un costo per la collettività. Un Paese come il nostro, dovrebbe trarre dall’immenso patrimonio culturale che possiede una percentuale significativa del P.I.L nazionale, invece di rappresentare un costo per la collettività. Quindi soprattutto la classe politica è chiamata a modernizzare le farraginose regole ottocentesche che regolano i Beni Culturali, e a fare sì che il costo della bellezza, sia impiegato per acquisirne sempre di più, e non trasformarsi in un’altra gabella sulla gobba dei poveri cittadini.
 
Mario Volpi4 8 23
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