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Sezione a cura di Mario Volpi
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Materassi e sacconi

Racconti

Gentile Redazione
Alcuni giorni fa mi trovavo in una scuola cittadina, e mi sono accorto di quanto i miei racconti risultassero inverosimili per i bambini, eppure raccontavo il modo di vivere della maggior parte della popolazione carrarina di appena cinquanta anni fa. Questo racconto troverà certamente un riscontro in quelli della mia generazione, anche se molti non usano il computer, ma la mia speranza è che sia letto dai giovani, perché sappiano come era difficile la vita dei loro padri, e la raffrontino con la loro, e che ne sappiano trarre le giuste considerazioni. Saluti Mario

Accade sempre più spesso, quando vado a raccontare ai ragazzi delle scuole primarie o delle medie, come si vivesse in Italia subito dopo la guerra, che questi mi ascoltino con un misto d'incredulità, che molto spesso li porta a pensare che io sia una sorta di bugiardo, che desidera solamente fare colpo su di loro, tanto, ai loro occhi, sembrano incredibili le mie storie. Eppure non faccio altro che descrivere il vivere quotidiano del tempo, con le sue privazioni e tribolazioni, le rinunce che però al tempo non ci parevano neppure tali, ma anche i momenti di gioia e di serenità, spesso causati da avvenimenti che oggi sarebbero considerati addirittura banali.
Questo se da un lato ovviamente mi rattrista, dall'altro mi rende felice, perché vuol dire che la società moderna si è talmente evoluta in termine di benessere, da trovare addirittura incredibile o impossibile, il modo di vivere dei nonni.
Un tipico caso è accaduto pochi giorni fa, in una scuola cittadina, dove mi ero recato per parlare di dialetto, e di storia locale.
Durante la narrazione, il discorso cadde casualmente su l'elevato numero di figli, tipico del periodo post bellico, e come per le famiglie numerose fosse difficile, non solo dare loro il sostentamento quotidiano, ma addirittura il provvedere alle loro necessità di alloggio e vestiario. Spiegai loro che non era una rarità, che un figlio, anche grandicello, si sistemasse per dormire nel letto matrimoniale, in mezzo ai genitori, mentre un altro dormiva da piedi dello stesso letto, o che la culla di un neonato fosse ricavata da un cassetto del comò tenuto aperto. A questa mia affermazione mi accorsi che due dei ragazzini seduti nelle prime file, dopo essersi guardati con intenzione, cominciarono a ridacchiare tra loro, capì così che questa verità era troppo incredibile per loro, allora decisi di fare loro alcune domande.
Cominciai con il chiedere dove dormissero alla sera, e com'era composto il loro letto. Dopo un momento di stupore per l'insolita domanda, cominciarono a elencare le qualità dei loro giacigli, dotati tutti di materassi a molle, con trapunte e piumoni termici, cuscini anatomici, e via dicendo, quindi, dopo che si erano sfogati nelle descrizioni gli chiesi a bruciapelo " sapete dirmi cosa sono le brattee?"
Presi tutti in contropiede, compreso l'insegnante, che mi guardò come se temesse che fossi di colpo impazzito, ma io imperturbabile continuai "allora ve lo dirò in dialetto, cos ien i cartozi?" Questa volta, il professore capì, e cercò di aiutare i ragazzi suggerendo loro di pensare a come fosse fatta una pannocchia di granoturco.
Finalmente certo della loro attenzione, dissi che gli avrei raccontato come fosse fatto e come si manutenzionava un materasso del tempo, ma soprattutto che quello che avrebbero sentito da li ha poco, era la pura e sacrosanta verità, avendo io stesso fatto uso di quel tipo di materasso. A quei tempi il lattice e la gommapiuma, erano ancora da divenire, ed erano solo tre i componenti che si usavano per l'imbottitura dei materassi, o "sacon" come qualche anziano li chiamava.
Premesso che la stoffa era uguale per tutti, e molto somigliante per le caratteristiche righe verticali, al vestito che nei film indossano i carcerati, i più ricchi per l'imbottitura, usavano la lana grezza.
Si comprava a chili, presso i pastori che al tempo erano molto numerosi, la lana era grigia e nera, con rari ciuffi biancastri, tipica delle pecore di razza "massese." Il materasso fatto con questo materiale, aveva però un grosso difetto, oltre ad essere abbastanza costoso, tendeva a compattarsi con l'uso, ad a essere rifugio ideale per "ospiti" poco graditi, ma molto comuni al tempo, come pulci e pidocchi, così, con cadenza più o meno biennale, si doveva "far 'l mat'araz" operazione che avveniva così:
Prima di tutto i mesi deputati erano maggio o giugno, perché il tutto avveniva nell'aia, ed era compito della "mat'razaia." Questa, dopo avere tolto i punti di spago che tenevano in forma il materasso, toglieva tutta la lana e dopo averla sistemata nel "concon", vi versava sopra acqua bollente per eliminare i parassiti che vi si annidavano, quindi dopo una sommaria strizzata, era stesa sull'aia al sole per almeno tre giorni per farla asciugare bene. Per "sfarla" ossia cardarla e farla tornare morbida e vaporosa, vi erano sostanzialmente due soli sistemi, il primo era quello più comune ed economico, che consisteva da farsi aiutare dalle vicine di cortile e cardarla a mano, cogliendo l'occasione per fare "salotto," oppure si poteva scegliere il metodo più professionale della materassaia. Questa aveva una macchina che assomigliava in modo impressionante a un'antica macchina di tortura, era di legno, montata su una specie di carriola per essere semovente, e consisteva in una sorta di altalena con il sedile pieno di chiodi con le punte volte verso il basso, dove vi era un'altra selva di punte metalliche. La lana era qui posta, un po' alla volta, e quasi strappata dalle punte aguzze dal movimento manuale dell'altalena, ridandogli una consistenza vaporosa. Per i meno abbienti l'imbottitura era fatta con "l'erba" (Erba zolfina). Si comprava confezionata in grosse trecce di colore grigio-verde, con la forma e la consistenza molto simile al crine animale, anche questa necessitava della cardatura manuale, era meno morbida della lana, ma molto più fresca nei mesi estivi, e soprattutto non era adatta a ospitare parassiti. Per i bambini invece era diffusissimo l'uso dei "cartozi" (brattee) del granoturco, era molto divertente sentire il proprio corpo quasi sprofondare dentro il materasso, accompagnato a ogni minimo movimento, dal tipico fruscio dei cartocci. Il mais era una pianta fondamentale per il sostentamento delle famiglie, era chiamata il "maiale vegetale" perché di lei non si gettava nulla, il fusto usato come letto per il bestiame, i chicchi per la farina, i cartocci per le imbottiture, e il tutolo (pitor'zl) per accendere il camino, ma soprattutto, come carta igienica, nei "luoghi comodi" comuni.


Volpi Mario

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