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Sezione a cura di Mario Volpi
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Stranieri da gustare

Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
In questa Società, molti bambini pensano che il supermercato sia una fabbrica dove si "costruiscono" le cose da mangiare, è la quasi totalità degli adulti, da per scontato che molti ortaggi oggi comuni, lo siano sempre stati. Ma è davvero così?

Alcuni giorni fa mi trovavo in un grazioso paesino della Lunigiana, dove per attirare turisti durante il periodo estivo, si svolgeva una rievocazione medievale tra le antiche viuzze del paese. Devo dire che l’atmosfera era suggestiva. La fioca e ballonzolante luce delle torce, disegnava arabeschi in chiaroscuro sulle antiche mura, mentre una splendida luna piena gettava una cascata d’argento negli anfratti più bui. In una casa avevano ricostruito una cucina “del III secolo” come spiegava un cartello affisso sulla porta in caratteri gotici. All’interno vi era un tavolo di legno massiccio, una panca dello stesso materiale, alcune stoviglie attaccate al muro, e sulla travatura centrale, facevano bella mostra di se, diversi mazzi di pannocchie di mais, legate a coppie con le loro brattee. A me è scappato un sorriso, ma non ho avuto il coraggio di dire all’orgogliosa fanciulla che impersonava una contadina medievale, l’enorme errore storico che avevano commesso. In effetti, molte persone credono che alcuni alimenti, che oggi sono di uso quotidiano, lo siano sempre stati, non sapendo che molti di loro sono degli “stranieri”. Uno di questi è proprio il mais, arrivato in Europa solo dopo che Cristoforo Colombo aveva scoperto l’America ossia dopo il 1492. Nell’Italia medievale, non erano molti i cereali disponibili, oltre al frumento erano coltivati per il consumo umano e animale, l’orzo, la segale, il panìco, il miglio, il riso, la spelta, il sorgo, e il farro. Le classi agiate potevano permettersi il pane di frumento, mentre quelle indigenti dovevano accontentarsi di prodotti fatti con le farine, spesso mischiate, di questi cereali. Con l’avvento del mais, si credette di avere finalmente sconfitto, l’atavica fame delle classi più povere della Società. Facile da coltivare, e di grande resa, la “torta di mais” (la polenta) divenne in breve tempo la base della dieta dei contadini, spesso l’unico alimento. Ben presto però insorse una terribile malattia, sconosciuta fino a quel momento. I sintomi caratteristici erano la pelle che diventava ruvida, si squamava e cadeva, perdita di peso e di appetito, stato ansioso, dovuto ai danni neurologici della malattia, che se non curata portava alla morte. Storpiando il dialetto lombardo, questa malattia fu chiamata Pellagra. Ora sappiamo che era causata dalla mancanza delle vitamine del gruppo B e PP ma solo agli inizi del XX secolo questa verità sarà svelata. Anche alcune specialità tipiche di specifici luoghi, sono divenute tali grazie a ingredienti ”alieni,” che prima non esistevano. Esempio nostrale i famosi “tajarin ‘nti fasoli” (taglierini nei fagioli) che hanno sfamato intere generazioni di carrarini. Questo è stato possibile dopo la scoperta del Nuovo Continente, perché fagioli e fagiolini in Europa, e di conseguenza in Italia, non esistevano. Altro piatto tipico carrarino è “ ‘l stocafiss al sug” (stoccafisso al sugo). Questa vera e propria leccornia è arrivata a noi a causa di un disastro. Nel 1430, un mercante veneziano fece naufragio al largo della Norvegia. Salvato da pescatori locali, vide questo strano pesce, il merluzzo, assente nel Mediterraneo, messo a seccare alla gelida aria del Nord che lo faceva diventare duro come il legno. Usato da secoli dai norvegesi come scorta alimentare per i marinai, da buon commerciante capì subito l’affare, e cominciò a importarlo, dapprima a Venezia, da dove si diffuse rapidamente in tutta Italia. Anche il vanto di Napoli, la pizza, non esisterebbe se Cortes non fosse rimasto colpito dalle bacche rosse di questa pianta durante la sua spedizione in Mexico e Perù. La storia del pomodoro, è assai curiosa. Ritenuta addirittura velenosa, questa pianta era donata in vaso, alle dame da facoltosi uomini, come pegno d’amore, ed era presente in pozioni magiche di streghe e alchimisti. Solo alla fine del settecento, si crede in Campania, fu usata a scopo alimentare e di conseguenza si cominciò a coltivarla. Altro ortaggio divenuto quasi un simbolo della Calabria e delle regioni meridionali è il peperone. Chiamato un tempo “pepe d’india” proprio perché proveniva dalle Americhe, era usato principalmente essiccato e macinato come surrogato del vero pepe, spezia al tempo costosissima. Solo dopo quasi un secolo, e dopo varie selezioni, alcune spontanee altre volute, ci si accorse che era possibile usarlo come un vero e proprio alimento, questo decretò l’aumento della sua produzione, diventando in estate, il cardine delle diete delle famiglie più abbienti. La melanzana invece fu introdotta dagli arabi. Originaria si pensa dalla Cina, questo gustoso ortaggio fu demonizzato per secoli, forse a causa del suo colore viola-bruno, era considerato un “malo frutto, o mela insana” da cui probabilmente ebbe origine il suo nome. Le melanzane alla parmigiana, sono uno dei piatti, che insieme alla pizza, e agli spaghetti al pomodoro, rappresentano la cucina italiana nel mondo, cardine di quella famosa “dieta mediterranea” che tutti ci invidiano. L’invasione degli alieni comunque non si è arrestata, l’ultimo straniero, si è installato in Italia solamente negli anni sessanta, e oggi, fa parte di quei prodotti che fanno crescere la bilancia dell’export italiano; il kiwi. Nelle regioni meridionali, soprattutto in Puglia dove la xylella ha azzerato la produzione di olio d’oliva, si sta sperimentando l’espianto degli alberi malati sostituiti con piantagioni di Avogadro, e Papaia. Dunque anche se immettere organismi estranei in un ambiente che non sia il loro, è sempre un danno, la Natura nella sua immensa saggezza, nel corso dei secoli, riesce a riequilibrare le cose, permettendo a noi umani, una delle speci più invasive e dannose, di sopravvivere e prosperare, ma fino a quando?
Mario Volpi
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