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Sezione a cura di Mario Volpi
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Andrè ‘l gat

Genetiche Mutazioni

Marì, (Maria) era appena salita sullo scaleo per raccogliere i cachi, che facevano bella mostra di se in quella rigida mattinata di novembre. Martina la figlia più piccola, sotto l’albero, le porgeva il “capagno” ossia quel cestino di vimini intrecciati tipico delle genti apuane, quando accadde. A Marì, si “ruppero le acque,” come si dice in dialetto, ossia si stava preparando per partorire il suo secondo genito. Con calma per non spaventare la figlia, scese dalla scala, e a passo spedito si diresse verso casa. Arrivata sull’aia, incontrò le vicine, e quasi con noncuranza annunciò in dialetto” ai sian!” (ci siamo.) A quei tempi il vicinato era un vero e proprio sistema sociale di mutuo soccorso, così in un baleno tre donne tra le più esperte, si precipitarono in casa della partoriente, che nel frattempo cominciava a sentire sempre più forte il dolore delle doglie. Mentre la figlia era spedita in casa di una vicina, le donne fecero bollire un “parol” (paiolo) d’acqua sul camino, e cominciarono ad aiutare Marì. Prima del Vespro, mentre il sole stava calando incendiando di un rosso fuoco il cielo, un vagito annunciò a tutti la nascita di un bel maschietto, che in onore del giorno della festa di S. Andrea, la madre com’era logico, chiamò Andrea. Il bambino cresceva bene, e quando compì un anno di età, tutto il vicinato volle festeggiare il compleanno del bimbo, nato appena dopo la fine della guerra, per dimenticare per sempre quei tragici momenti. Andrea aveva i capelli di un biondo quasi dorato, un colore atipico, tanto da essere particolare, cosa non comune nella “stirpe” dei genitori, dove il nero corvino dominava incontrastato. Ciò che maggiormente colpiva nel suo aspetto però, erano gli occhi. Erano di un colore indefinibile, tendente al giallo, ma avevano una caratteristica che si notava subito. Le pupille erano talmente scure che risaltavano come due perle nere, rendendo il suo sguardo magnetico, quasi inquietante. Il nonno paterno quando lo vide per la prima volta, appena nato, dopo averlo preso in braccio disse in dialetto” che bei oci!!I par un gat” (che begli occhi sembra un gatto) nomignolo che si porterà dietro per tutta la vita Il primo giorno di scuola, come per tutti i bambini di quei tempi, era stato traumatico, costellato da pianti isterici, e strattoni alla mano della madre per non entrare in classe. Piano piano, però tutto si appianò, e la madre, credendo che ormai il figlio si fosse abituato alla scuola, tirò un sospiro di sollievo. Ma questa convinzione fu di breve durata. Un giorno la bidella riportò a casa Andrea, poco dopo le dieci del mattino, dicendo alla madre che la maestra voleva vederla. La povera Marì chiese spiegazioni al figlio di cosa fosse successo, ma lui piangendo disse che non lo sapeva. Così piuttosto preoccupata, il mattino dopo si recò a scuola con l’imbronciato Andrea al seguito. Appena la vide la maestra la pregò di seguirla e dopo averla portata in un’aula vuota, le disse. “ Signora, anche a me piacciono gli animali, ma non è permesso portare i cani a scuola, oltretutto suo figlio ha terrorizzato un suo compagno aizzandogli contro il suo cane lupo!” Stupita la Marì rispose che loro non possedevano alcun cane lupo, e che quindi era impossibile che Andrea ne avesse aizzato uno verso il compagno!” La maestra disse che il compagno di Andrea era tanto spaventato che se l’era letteralmente fatta addosso, e che lei avendolo pulito era certa del fatto. La Marì da buona carrarina era una che quando le saltava la mosca al naso non aveva paura di nessuno, e rispose per le rime alla maestra dicendogli di stare più attenta a incolpare persone senza essere sicura. Appena Andrea torno a casa da scuola, la madre disse che aveva bisogno di lui per raccogliere della verdura, in realtà voleva andare in fondo alla faccenda. Quando furono soli la madre si sedette su un poggiolo e preso il bambino amorevolmente tra le braccia gli chiese di raccontare l’accaduto. Andrea da prima si schernì dicendo che non era successo nulla, ma poi, alle insistenze della madre spiegò il fatto. Durante la ricreazione un bambino della terza elementare, forse per fare il bullo davanti agli altri, lo affrontò dicendogli di consegnargli il pezzo di pane e burro che Andrea si era portato da casa. Al suo rifiuto aveva cominciato a spintonarlo.  Andrea gli disse di smetterla altrimenti lo avrebbe farro mordere dal suo cane lupo. Il bambino scoppio a ridere e gli dette uno spintone più forte. Subito dopo però, il bulletto cominciò a urlare, scappando e saltando tutto attorno, tanto terrorizzato da farsela addosso. La madre stupita gli chiese di chi era il cane, e Andrea con noncuranza disse” mio, è mio amico e basta che lo chiamo e lui mi difende!” “davvero?” disse la madre “ puoi farmelo vedere?” “ se non ti spaventi anche tu si” rispose con naturalezza il bambino. Quindi, fissò un attimo la madre negli occhi e immediatamente a Maria parve di vedere un gigantesco cane lupo, che la fissava immobile con le zanne scoperte in un ghigno feroce. Spaventata, scattò in piedi ma il figlio disse” non aver paura a te non farà nulla e ora lo mando via!” Ci volle un pò a Marì per accettare il potere ipnotico del figlio, così potente che in età adulta dopo essersi laureato in medicina, grazie a una borsa di studio regalata da un mecenate del marmo, diventò un vero e proprio luminare nello studio delle proprietà terapeutiche dell’ipnosi, tanto da riuscire a operare senza anestesia. Tutto questo grazie a un bulletto, e a un pezzo di pane imburrato.
PS. A tre anni esatti dalla scomparsa, ho voluto ricordare il mio amico fraterno “profesor Gat” come lo chiamavo da sempre. Valente scienziato, ma soprattutto uomo generoso, nei lunghi anni in cui ha svolto l’attività di Primario in vari nosocomi italiani, ha sempre anteposto i valori umani ai quattrini, e alla carriera, per questo è da tutti ricordato con affetto. Ciao Gat.
Bentley Parker
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