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Sezione a cura di Mario Volpi
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Un fumoso divieto

Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Io penso che la salvaguardia del Pianeta sia una priorità assoluta, ma per farlo spesso si sconfina in provvedimenti al limite della farsa!

I ricordi più vivi della mia infanzia, sono legati soprattutto agli animali che ai miei tempi erano i veri protagonisti della vita quotidiana. Un posto speciale lo occupano sicuramente la Catè con il suo “mic sardignol” ( asino sardo) Ciro. Vestita perennemente di nero, con i capelli bianchi giallastri racchiusi sulla nuca in un grosso “pitocco,” aveva le mani scheletriche e nodose simili ad artigli rattrappiti, perennemente del colore uguale a ciò che vendeva. Abitava a Castelpoggio, e due volte a settimana scendeva, con il fido Ciro carico di carbone, al “piano,” per venderlo. Legava l’asinello all’arco del pozzo, e specialmente in estate, attingeva un secchio d’acqua e lo versava nell’abbeveratoio lì vicino, per dissetare l’animale. Io restavo incantato da questo piccolo asinello, che era alto più o meno quanto me, e mi stupivo di come potesse trasportare sul basto quei due grossi cestoni conici che arrivavano quasi a sfiorare il terreno pieni zeppi di carbone di legna. Spesso mi avvicinavo e dopo avergli accarezzato il muso, gli porgevo qualche foglia, di “orecchie d’asino,” erba che al tempo nasceva spontanea in gran quantità. Nella mia ingenuità infantile, pensavo che essendo un’orecchia d’asino dovesse piacergli per forza. L’asinello invece, molto più saggio di me, dopo averle annusate le rifiutava, forse sapendo delle proprietà astringenti di questa pianta officinale. La Catè intanto usando una “ramina” (secchio in ferro zincato) come misura, vendeva il carbone alle donne che si avvicinavano, che ne approfittavano per fare due  chiacchere e spettegolare sulla gente del borgo. Il carbone al tempo era indispensabile perché era l’unico combustibile che si usava per alimentare i fornelli di casa, indispensabili per cuocere i cibi. Le massaie erano molto attente nel suo acquisto, soprattutto sulla sua pezzatura e in particolar modo se “suonava,” quando, messo nel sacco era percosso con un bastone. Il suono assicurava che il carbone “i fus matur,” (fosse maturo) ma soprattutto che non fosse stato bagnato per aumentarne il peso. Mia madre teneva il carbone in una cesta di vimini con un foglio di giornale sul fondo per non sporcare il pavimento con la polvere, ma era una battaglia persa in partenza. Quando accendeva il fuoco, per ravvivarlo vi soffiava sopra, e immancabilmente un nebbiolina nerastra si levava per adagiarsi prima sul pavimento, e poi sulle piastrelle bianche che circondavano il fornello. In inverno invece ci si riscaldava con il camino, o quelli più benestanti con la “stufa economica.” La legna per stufe e camini era portata da Virgì con i suoi tre muli. Anche lui abitava verso Castelpoggio, e era il mezzadro di un ricco proprietario di boschi che si diceva abitasse nello Spezzino. La legna era portata della lunghezza “del basto,” ossia che poteva essere caricata su due appositi ganci fissati al basto dei muli. Ogni mulo trasportava un quintale, quindi poteva portare tre quintali alla volta, e spesso poteva servire anche tre clienti. Al tempo, infatti, le disponibilità economiche erano tutt’altro che floride, e spesso anche la legna era comperata “ ad aspetto” ossia a rate. La legna doveva venire tagliata, a metà per chi aveva il camino, mentre per la stufa il lavoro era molto più faticoso. Per cercare di faticare il meno possibile si cominciava nel piantare nell’aia quattro paletti a formare un cavalletto dalla forma di una “X:” Quindi vi si ponevano i tronchi da tagliare uno per volta in modo che almeno stessero fermi, e con una grossa sega a due uomini si procedeva alla segagione, sapendo in partenza che per fare la misura da stufa erano necessari cinque tagli. Una antico adagio carrarese dice che “ la legna a t scalda do volte, a taiarla e a brusarla” ( la legna ti scalda due volte a tagliarla, e a bruciarla.) Ma le spese non finivano lì. Almeno ogni due anni, secondo quanto lo si usava, la canna fumaria del camino doveva essere fatta pulire da uno spazzacamino, e più era lunga più il costo aumentava. Con l’avanzare del benessere economico negli anni sessanta e settanta, molte case sono state ristrutturate, o costruite ex novo, spesso con sacrifici finanziari importanti, e in molte di queste è stato mantenuto, o costruito un caminetto. In alcuni di questi, sono state inserite quelle che al tempo erano vere e proprie novità tecnologiche quasi fantascientifiche, ossia delle condutture per portare l’aria calda in diversi ambienti, o un sistema di tubi per sostituire o integrare la caldaia dei termosifoni. Con l’avanzare del progresso, il camino è diventato sempre più bello e tecnologicamente avanzato, arrivando ad essere un vero e proprio pezzo fondamentale sia per l’arredo, che per il riscaldamento di una casa. Oggi però, una vera e propria furia ecologica normativa, si è abbattuta sul suo utilizzo vietandone di fatto l’uso, almeno che non sia il solo mezzo di riscaldamento della casa, o che sia a norma contrassegnata dalle quattro “A.” Per i camini di vecchia costruzione questo è pressoché impossibile, mentre anche per quelli nuovissimi, è necessario la certificazione di un professionista qualificato, ossia uno “spazzacamino certificato” oggi introvabile. E’ curioso che in una città come Carrara, si tollerino i Paesi a Monte totalmente privi di fognature, e che di conseguenza scaricano i liquami nei fiumi senza depurazione, mentre si è intransigenti su un provvedimento al limite della farsa. Così per un presunto beneficio ecologico più che discutibile, si proibisce, proprio in un momento di crisi energetica importante, un sistema di riscaldamento millenario. Anche perché, se siamo al mondo ancora adesso dopo secoli di uso quotidiano significa che il fuoco di legna così inquinante …forse non lo è
 
Mario Volpi 20.11.22
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