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Sezione a cura di Mario Volpi
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Servi d'acciaio

Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione

Quando  ero bambino vi era un giocattolo robot, che dandogli la carica con la  chiavetta, faceva dei passi strusciando i piedi muniti di rotelline e  ogni tanto imitava il fuoco di una mitragliatrice che usciva da uno  sportellino che si apriva sul petto, facendo scintille con una pietrina  da accendino. Ora questo giocattolo sarebbe giudicato più che ingenuo,  visto dove è davvero arrivata la robotica...

Nella natura umana dalla sua comparsa sul pianeta, è sempre stata presente la voglia di sottomettere il prossimo per adibirlo ai lavori più noiosi o pesanti. I potenti si circondavano di servi, spesso presi tra i soggetti più in basso nella scala sociale. E’ però nella natura umana non accontentarsi mai, così si passò a una forma ancora più radicale di servitù; lo schiavismo. Spesso in antichità i conflitti erano fatti proprio per trovare manodopera a costo zero, e chi meglio di un prigioniero di guerra poteva incarnare tale figura? Con il progredire delle civiltà, questa barbarie divenne sempre più fonte di reddito per chi faceva commercio di carne umana, vendendo schiavi, e per chi li acquistava. Con la capacità di costruire navi robuste e capaci, in grado di compiere traversate, furono i turchi,   dal basso Medioevo fino alla battaglia di Lepanto che li sconfisse, a  compiere periodiche scorrerie  depredando, e rendendo schiave le popolazioni dei Paesi che si affacciavano sulle sponde del Mediterraneo. Una delle più grandi deportazioni di schiavi fu certamente quella effettuata dai coloni europei. Con la complicità di popolazioni locali, per la quale la schiavitù era una pratica legale, deportarono milioni di africani, da quella parte dell’Africa bagnata dall’Atlantico, che si estendeva dal Niger fino altre il Sudan, che non ha caso prese il nome di Costa degli schiavi, per farli lavorare nelle immense piantagioni di cotone, tabacco, e canna da zucchero nelle due Americhe appena scoperte. L’ultimo paese ad abolire quest’aberrante pratica coercitiva fu il Brasile solamente alla fine del 1800. Il lavoro di questi poveretti, però, contribuì in modo significativo allo sviluppo socio-economico delle colonie, anche se la successiva guerra di secessione Americana fece ripiombare l’intero continente nel caos. La schiavitù dopo quel terribile periodo oltre ad essere abolita e messa fuorilegge, è stata considerata dalle Società mondiali un vero e proprio crimine contro l’umanità, ma la necessità di manodopera a basso costo era più che mai impellente, quindi come risolvere questo problema? Nel periodo a cavallo tra il 1760, e il 1870, dapprima in Inghilterra, per poi estendersi in tutti i grandi Paesi europei, si assistette a quel fenomeno che sarà chiamato “rivoluzione industriale.” Operai, e non più schiavi concentrati in grandi fabbriche costruivano con l’aiuto di macchine a vapore, oggetti che rivoluzionano per sempre il modo di vivere delle popolazioni del Vecchio Continente. Pur conducendo una vita al limite della sopravvivenza, questa forma di “lavoro per tutti,” fece si che le popolazione europee avessero un’esplosione demografica mai vista fino a quel momento. Con l’aumento della popolazione crebbe anche la richiesta di cibo, ma soprattutto di beni di prima necessità a basso costo. I grandi capitalisti si accorsero, che il posto degli schiavi di un tempo, poteva essere preso dalle macchine, ma come dotarle di una forma di quasi intelligenza? I primi tentativi di “automatizzazione,” furono deludenti, ma poi dettero buoni risultati. Le macchine potevano fare alcuni lavori, più velocemente di un essere umano, con più precisione, e sopratutto senza stancarsi, ma erano movimenti sempre uguali, e che necessitavano comunque del controllo umano. Verso gli anni settanta del novecento però, tutto cambia. Una nuova scienza entra prepotentemente nel mondo industriale; l’elettronica. S’inventano dispositivi, che svolgono più azioni contemporaneamente, anche se ripetitive, ma che si dimostrano vincenti nell’assemblaggio, verniciatura, e saldature delle auto. Qualcuno plasma per loro un nome “Robot.” Tale parola sembra derivi da una parola “slava” Rabota che significa servitù, quindi azzeccata. Da quel momento fino ai nostri giorni, i robot sono diventati sempre più sofisticati, ma soprattutto sono cresciuti di numero in modo esponenziale. Oggi l’informatica sta tentando di dotare i robot della cosiddetta ”intelligenza artificiale” ossia inserire nel cervello elettronico di queste macchine un software, capace di fargli compiere ragionamenti o azioni simili a un essere umano. Alcuni di essi, sono da anni all’interno delle nostre case, come gli aspirapolveri robotizzati, capaci di muoversi con sicurezza all’interno dell’appartamento, mappandolo con gli infrarossi, e tornando alla base in modo autonomo quando scarichi. In avanzato stato di sperimentazione sono le auto a guida autonoma, così come sono già operativi, anche se solo in campo militare, i droni volanti, capaci di stare in volo per giorni e attaccare obiettivi prestabiliti in modo autonomo. Le fabbriche automatiche, ossia senza neppure un essere umano, sono ormai una realtà. A molti di questi “servi d’acciaio” basta impartire un ordine vocale, o semplicemente fare un gesto, per vedere eseguita una particolare azione. L’ultima frontiera dell’intelligenza artificiale, è quella di fare “imparare” alla macchina, e quindi evolversi con l’esperienza, proprio come fanno da millenni gli esseri umani. Siamo ad un passo da questa realtà, ma un dubbio mi frulla in testa da qualche tempo. Quando i robot “intelligenti” capiranno che possono tranquillamente fare a meno di noi, non sarà che diventeremo noi schiavi…dei servi d’acciaio?
 
 
Mario Volpi
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