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Sezione a cura di Mario Volpi
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Dalla parte degli animali

Una Volta Invece

Spetta/Le Redazione
1 marzo 2014

Cara Redazione
Molte signore che si indignano a vedere sul banco del macellaio un coniglio fatto a pezzi, non sanno che magari il mascara o il rossetto che usano normalmente è stato testato, in dosi crescenti proprio su dei conigli tenuti fermi in gabbie costrittive, per scoprire a che livelli possa essere letale, o che migliaia di piccole cavie sono morte per testare le loro ultime "pasticche dimagranti". Bisogna arrivare al punto di capire che anche gli animali, come noi sono, solo passeggeri su questa "palla vagante nel cielo" e che non siamo noi gli arbitri della loro vita

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Dalla parte degli animali

L’altro giorno, mentre passeggiavo per via Roma, ho assistito ad una scena a metà strada tra il ridicolo, e il patetico.

Una coppia di anziani, sicuramente marito e moglie, portavano al guinzaglio un Carlino, così obeso che camminava appena, tutto infagottato in un vestitino di tessuto scozzese, con tanto di pellicciotto attorno al collo, le zampe erano infilate in una sorta di scarpine del medesimo colore, con un collarino tempestato di brillanti. Io capisco l’amore per gli animali, ma questa umanizzazione spinta all’estremo, oltre a renderli ridicoli, secondo me non giova neppure al loro benessere fisico. Così, mentre un tempo gli animali soffrivano per il nostro sfruttamento esasperato, ma dettato dal bisogno, oggi soffrono per il troppo amore, dato nel modo sbagliato. Un tempo gli animali dovevano fare il loro mestiere, erano tenuti soltanto per lavorare, o come risorsa alimentare, era impensabile avere un animale da compagnia. Restò famosa la risposta che un fattore di mia conoscenza dette al figlio che gli aveva chiesto se poteva tenersi un cucciolo di cane  “si, se i fa i ovi!” (si, se fa le uova!)
Negli anni cinquanta, la paga mensile di un cavatore era di circa 18.000 lire, mentre un kg. di carne ne costava 800, va da se che qualunque cosa, camminasse, strisciasse, o volasse, era considerata buona da mangiare.
Erano in uso dei comportamenti verso gli animali, davvero inumani, ma che al tempo erano considerati normali, in quanto vecchi di secoli. Di seguito andrò ad elencarne alcuni, non per senso del macabro, ma semplicemente per far capire al lettore quanto sia cambiata l’attenzione nei confronti degli animali, complice anche il migliorato tenore di vita, e sopratutto un maggiore bagaglio culturale dell’attuale Società. L’animale principe per l’alimentazione umana, era il maiale, considerato anche come una discarica vivente, per la sua capacità di divorare qualunque tipo di rifiuto. Era di solito allevato allo stato brado, o insieme alle pecore. Per impedire che il suo eterno grufolare potesse arrecare danni ai campi, si passava un filo di ferro attraverso le narici, a formare una sorta di anello, e lo si stringeva con le pinze. E’ chiaro che ad ogni tentativo di usare il grugno, il dolore lancinante lo facesse desistere. Ma era la sua uccisione, che, per l’assenza di modi migliori, e per credenze ataviche, era di una crudeltà inaudita. Questa veniva effettuata mediante l’inserimento di una specie di punteruolo lungo circa quaranta centimetri detto “coratella” nel cuore. Per effettuare questa operazione erano necessari quattro uomini, più il macellaio, che era quello che usava l’attrezzo; dopo aver preso l’animale lo si coricava a forza, su di un fianco, e mentre uno gli teneva la zampa anteriore sinistra aperta, il macellaio inseriva la coratella dove più o meno doveva trovarsi il cuore, se non lo centrava alla prima, ruotava l’attrezzo all’interno per cercarlo. Le urla della povera bestia erano udibili per chilometri, ma questo, nella credenza popolare si pensava che potesse far diventare la carne più bianca. Quando perdeva le forze, ma era ancora vivo, lo si appendeva per i piedi a testa in giù, su una scala a pioli, e dopo aver tolto la coratella, per evitare che il sangue, utile per fare il “sanguinaccio,” potesse uscire dalla ferita, la si cauterizzava con le molle da camino rese incandescenti, quindi si sgozzava raccogliendo il sangue in un catino. Per i vitelli  si usava un colpo di mazza in testa per tramortirli, e dopo averli appesi, si sgozzavano, così anche i conigli in modo che le carni risultassero più bianche, mentre i piccioni si affogavano. Anche l’allevamento di alcune specie era veramente barbaro, come l’usanza di inchiodare le zampe alle oche su una tavola, per impedirne il movimento, e poi ingozzarle a forza tramite un imbuto, per provocarne l’ingrossamento del fegato, e la formazione del grasso, usato per friggere, o lubrificare scarpe e attrezzi vari. Ma era con gli animali selvatici che si compivano inconsapevolmente le più grandi barbarie. Al tempo era ancora permesso l’uso delle reti per l’uccellagione. Queste erano di diversi tipi, ma tutte per funzionare alla perfezione avevano bisogno di richiami vivi. Alcuni servivano per attirare con il loro canto i loro simili, altri detti “zimbelli”erano posizionati, e fatti muovere, per simulare un branco di uccelli posato a terra. Per ottenere un canto irresistibile, come quello che avveniva in primavera ma evidentemente fuori stagione, si ricorreva alla pratica, poi vietata, dell’accecamento. Questa vera e propria tortura veniva effettuata con un ago arroventato nel momento in qui il canto era la suo massimo, l’animale, se sopravviveva, continuava a cantare la “primavera” anche in autunno. Altra pratica comune era “l’accodamento”. Consisteva nel legare a l’uccello, di solito storni, o pavoncelle, uno spago sul codrione, lasciando che questo formasse una specie di callo, dopo di che era possibile legare l’uccello per le penne della coda senza che queste si strappassero. Poi si attaccava assieme a molti altri ad un filo, con un capo legato a una specie di leva fissata al suolo, e l’altro in mano al cacciatore, quando questi avvistava un branco in volo, tirava il filo provocando lo svolazzamento dei zimbelli, che attiravano i selvatici al centro della rete dove avveniva la cattura. Da notare però, che questa attività non era svolta a scopo di divertimento, ma esclusivamente per lucro, in quanto gli uccelli catturati venivano venduti. Voi vi chiederete dove andassero a finire le centinaia di uccelli catturati in quel modo. Finivano tutti nelle varie osterie, dove la polenta con gli uccelli era il piatto principale, i più sfortunati però, prima di finirvi, dovevano sopportare una sorte ancora più terribile, il tiro a volo.
Questa pratica davvero senza senso, è rimasta in uso fino ai primi anni ottanta, nonostante le proteste delle varie Associazioni per la protezione degli animali, che nulla potevano contro le potenti lobbie degli armieri. Era considerato uno sport di elite, perché molto costoso, anche se a mio avviso di sportivo aveva ben poco. Si praticava nei campi di tiro al piattello, e ogni manifestazione attirava un gran numero di ricchi appassionati. Funzionava così: davanti ad un tiratore armato di doppietta, erano posizionate a semicerchio cinque cassette di metallo, che un meccanismo comandato a distanza faceva aprire completamente, in ognuna di queste vi era posizionato un uccello vivo, a cui si era preventivamente strappato la coda per rendere il volo irregolare. Al comando vocale del tiratore una di questa si apriva, e questi doveva colpire  il volatile  prima possibile, per farlo cadere entro una linea di venticinque metri di distanza, segnata da una bassa reticella, pena la perdita del punto. E’ pacifico che, anche se al tiratore non veniva assegnato il punto, il volatile in ogni caso perdeva la vita, era infatti rarissimo che qualcuno potesse sfuggire al piombo. A volte i poveri uccelli malamente feriti, agonizzavano a terra per ore, prima che una mano impietosa schiacciasse loro la testa, le specie usate erano passeri, storni, e piccioni, questi ultimi allevati apposta per questo scopo. A onor del vero bisogna dire che questa attività era davvero l’unica, volta al solo divertimento, oltretutto di pochi privilegiati. Altre, anche se altrettanto cruente e distruttive per l’ambiente, erano invece dettate dal bisogno di procurarsi proteine a costo zero, come la raccolta dei nidiacei, la pesca nei fiumi e laghetti con il verderame, la raccolta indiscriminata di chiocciole e rane, la tesa di trappole e archetti a piccoli uccelli di passo come i pettirossi, o l’avvelenamento con fumi di zolfo sotto i posatoi notturni di passeri, e storni. Queste pratiche erano vecchie di secoli e la cultura del tempo non le considerava per nulla disdicevoli. Non sono più tollerabili invece, le scuse usate oggi per coprire pratiche aberranti e assolutamente inutili, fatte solo per gli interessi economici di qualcuno, come la vivisezione, o la caccia alle balene, in nome di una ricerca “scientifica” che di scientifico ha soltanto la comprovata malafede, e l’imbecillità di chi lo afferma. Non è più tollerabile neppure l’importazione illegale di animali esotici, per il solo gusto di possedere l’animale raro, o pericoloso, contribuendo all’estinzione di molte specie, salvo poi abbandonarlo nell’ambiente, dove o muore, o determina uno squilibrio naturale catastrofico, vedi nutrie, tartarughe californiane, scoiattoli americani, gamberi killer ecc. Anche il protezionismo spinto all’estremo però, è deleterio, prova ne è l’incremento indiscriminato del numero di storni, gabbiani, cornacchie, e piccioni, che stanno rischiando di fare estinguere altri uccelli meno adattabili, ma non per questo meno utili a l’ecosistema.  


Volpi Mario

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