La morte nel bicchiere - carraraonline.com

Sezione a cura di Mario Volpi
Vai ai contenuti

La morte nel bicchiere

Una Volta Invece

Spetta/Le Redazione
24 sett 2013

Troppo spesso, la notte del sabato è funestata da spaventosi incidenti stradali, che causano un elevato numero di  morti e feriti. E' ancora più terribile il fatto che le vittime siano tutte giovani, spesso addirittura giovanissime, e il colpevole di questa vera e proprio guerra occulta è uno solo; l'alcool. A poco servono le Campagne mediatiche che mettono in guardia dal suo uso smodato, ne servirebbe, come è stato ampiamente dimostrato negli Stati Uniti negli anni 30, il divieto di vendita e consumo, servirebbe solo un po di buon senso, ma sopratutto il "volersi bene" qualità che purtroppo pare sia totalmente scomparsa nelle giovani generazioni. Volpi Mario

File Audio del Racconto
Non Bruciare la tua vita
La morte … Nel bicchiere

E’ purtroppo notizia recente! Si è consumata l’ennesima tragedia! Quattro giovanissimi, d’età compresa da diciotto a ventiquattro anni, sono morti, sabato notte, mentre tornavano da una serata in Discoteca. Dai primi accertamenti pare, che il conducente, abbia perso il controllo della vettura a causa dell’altissimo tasso alcoolico presente nel suo sangue, in pratica era ubriaco fradicio.
Io non cercherò, come di solito succede in questi casi, di addossare la responsabilità dell’accaduto, a questa Società, o al cosiddetto disagio giovanile, e non farò discorsi filosofici, non è questo il luogo adatto, e probabilmente non ne sarei neppure capace. Mi limiterò come è nello spirito di questa rubrica, a confrontare i due modi di compiere lo stesso gesto, cioè bere una sostanza alcolica a distanza di sessanta anni. Sarà poi compito di ognuno di noi,  trarne le dovute conclusioni.
Negli primi anni cinquanta, i bar, come li intendiamo adesso, erano ancora da venire, i locali che effettuavano mescita di sostanze alcoliche, quasi esclusivamente vino, erano le Cantine.
Era venduto sfuso, con delle misure di vetro, molto simili a bottiglie, ma con la bocca svasata ad imbuto per facilitarne il riempimento. Le capacità erano:
due litri, un litro, mezzo litro, e il quarto di litro.
A tutela del consumatore queste misure erano controllate da un apposito Ufficio Capacità, presente in ogni Comune, che vi apponeva un piombo di garanzia. I bicchieri invece avevano due misure, ed erano conosciuti con i nomi di  Francesino e Cavalleria. Il primo era circa un ventesimo di litro, mentre il secondo conteneva un quarto.
I liquori del tempo erano prevalentemente due, il Marsala, nelle due versioni all’uovo e normale, e il Vermouth, bianco o rosso. Per poter vendere altre bevande alcoliche, tra l’altro quasi inesistenti, era necessaria la licenza per superalcolici.
Le cantine erano frequentate esclusivamente da uomini. Alle donne, di solito le povere mogli, era consentito solo affacciarsi sulla porta, per chiamare il marito, mentre ai minori era tassativamente vietato l’ingresso. L’ora di chiusura era intorno alle ventidue, e fatta rigorosamente rispettare dalla pattuglia dei carabinieri appiedata, che effettuava la ronda notturna. Nei giorni di paga dei cavatori, non era raro vedere qualcuno barcollare pesantemente, procedendo verso casa, mentre verso sera, era facile veder passare un barroccio senza guida, essendo il carrettiere ubriaco perso, addormentato a cassetta, o seduto a ciondoloni su una stanga. Questo non era certamente uno spettacolo edificante, ma a loro scusante bisogna dire che molto spesso, l’ubriacatura derivava non tanto dalla quantità di vino ingerita, quanto dal fatto che questo, era stato ingurgitato a stomaco pressoché vuoto, e non perché gli interessati fossero a dieta, ma solo perché non vi erano i mezzi economici per riempirlo, e il “bicchieretto” era un modo facile ed economico per placare i morsi della fame.
In questo contesto è facile capire che gli incidenti, che accadevano anche allora, erano infinitamente meno gravi degli attuali, si limitavano a qualche rovinosa caduta in un fossato, o in” ‘nt’una mazera” (siepe spinosa), o alla peggio con la ruota di un barroccio contro un paracarro.
Ma nei primi anni sessanta, in pieno boom economico, le cose cambiarono in modo significativo. I bar come si intendono attualmente, cominciarono a nascere e a moltiplicarsi a dismisura, mentre si abbassava l’età degli avventori. Il primo motivo di questo cambiamento fu certamente l’avvento della televisione. In ogni bar, vi era un apparecchio televisivo, e dalle cinque del pomeriggio, iniziava la programmazione con la seguitissima “ TV dei ragazzi.” Per seguirla, anche per i più piccoli era necessaria la consumazione, si trattasse di un bicchiere di spuma, o magari di una gassosa, da bere in quattro o cinque. Discorso diverso era alla sera, dove gli spettacoli televisivi  come il mitico Lascia o Raddoppia, richiamavano tutta la famiglia. Proprio per soddisfare queste nuove abitudini, l’industria cominciò a sfornare i primi digestivi amari “per famiglia.” Lanciati da una pubblicità cinematografica e televisiva martellante, il Fernet, il Cynar, e l’Averna furono i primi amari digestivi alcoolici per il dopocena degli italiani. Un capitolo a parte meriterebbero i cosiddetti brandy italiani di quel periodo. Fino a quel momento esistevano solo i Cognac Francesi, di gran pregio, ma costosissimi, e non adatti ad un pubblico ancora in ristrettezze economiche, allora ecco l’inventiva italiana, con alcool, aromi, e coloranti, si crea un liquore autarchico, ma di buona qualità, e gli si da un nome importante, ma di fantasia, nasce così il brandy “Tre stelle.” Ottimo per correggere il caffè fatto con le prime macchine da bar a leva, inventate  dal sig. Achille Gaggia, questo brandy si può considerare il capostipite dei futuri superalcoolici italiani. Verso la metà degli anni settanta le abitudini degli italiani cambiarono ancora, i giovani, cominciarono ad avere più possibilità economiche, e scoprirono la voglia di aggregazione, questo avveniva prevalentemente nei bar, usati come punto di ritrovo, e naturalmente si cominciò a consumare più alcoolici. Complice anche un certo tipo di film, vennero importati da altri paesi nuovi tipi di liquori, come il Whisky, il Rum, la Vodka, e la Tequila. Agli inizi queste novità erano costosissime, tanto che per ovviare a questo inconveniente, si poteva ordinare un “baby” ossia una mezza porzione, che ovviamente costava la metà, poi via, via, divennero sempre più accessibili. Anche la più nostrana Grappa, un tempo conosciuta e consumata prevalentemente nelle valli alpine, face il suo ingresso nel mondo delle bevande alcooliche da bar, subito seguita, da bevande con nomi esotici, di tutti i colori, ma tutte a contenuto alcoolico. Gli adolescenti cominciarono a bere sempre di più, qualcuno smodatamente, ma stranamente al tempo, chi esagerava veniva additato come “ubriacone”, quindi poco gradito dal gruppo, perché inaffidabile, perciò emarginato. Oggi invece, succede tutto il contrario; quello che vuole sballare a tutti i costi, viene molto spesso giudicato un “ganzo”, ovvero uno che ci sa fare! Purtroppo, i numeri dei morti, e dei dipendenti da questo vizio, e i costi per la comunità sono spaventosi. Si parla di circa 20.000 morti l’anno, per cirrosi epatica, o altre patologie legate all’alcool, e di un milione e mezzo di alcoolisti, la maggior parte dei quali giovani, con un costo per la collettività, per assenteismo, servizi sanitari, e sociali di quasi 53 miliardi di Euro. Eppure molte persone uscite con molta fatica dal tunnel dell’alcool, sostengono che dopo un certo numero di bicchieri, non si prova più nessun gusto a bere, anzi in molti casi, bisogna farsi una sorta di violenza fisica per continuare. Ora io vorrei porre una domanda, senza alcuna retorica o moralismi: e lecito mettere a rischio la propria vita e quella degli altri, solo per la voglia di trasgressione? E soprattutto a quale scopo?


Volpi Mario

Racconti di questa rubrica
Lascia un commento


Nessun commento
CarraraOnline.com
CarraraOnline.com
Torna ai contenuti