Affari d'uovo - carraraonline.com

Sezione a cura di Mario Volpi
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Affari d'uovo

Racconti
Affari d’uovo, liberamente tratto da una storia vera.
Oggi vi raccontiamo un aneddoto accaduto nella nostra Marina negli anni cinquanta.  

La seconda guerra mondiale era appena finita, ci lasciò una dolorosa scia di lutti, e miseria. Erano tempi difficili e bisognava arrangiarsi per mettere assieme il pranzo e la cena. Così c’era chi si era inventato di fare il brodo con l’ombra delle Apuane e chi la zuppetta  con le alghe portate dalla mareggiata e così via...Le due sorelle Anna e Maria facevano parte di una numerosa famiglia abitante nel rione San Giuseppe, composta da madre, padre e sette figli. Anna, sette anni era la più piccola, portava capelli neri e lisci fin lungo la schiena, dal padre  aveva ereditato gli occhi verdi, magra e smilza portava ai piedi zoccoli di un paio di misure più grandi, ricevuti in dote sicuramente  dalla sorella maggiore. Quelle calzature di legno e cuoio facevano sembrare ancora più magre le sue gambette a tal punto di farle assomigliare alle zampe di un grillo salterino. Maria invece aveva dodici anni, di carnagione bianca come la madre era bassa e paffutella, aveva capelli come una selva ricciuta scomposta che gli scendevano fin sulle spalle facendola assomigliare ad un bignè stracolmo di crema. In quegli anni il bene per la famiglia era molto sentito e tutti si adoperavano come potevano per quel fine, grandi e piccini compresi. Il padre aveva un piccolo gozzo di legno, “La Provvidenza”; già la scelta di quel nome la dice lunga, e assieme ai figli maschi si dedicava alla pesca, la madre si occupava della casa, mentre due figlie maggiorenni prestavano servizio in casa di alcune famiglie benestanti nell’avenzino e un’altra ancora sbarcava il lunario tra orli e ricami. Le protagoniste del racconto erano le più piccole della nidiata, Anna era sotto la tutela di Maria che essendo più grande faceva le veci della madre, troppo impegnata a star dietro a tutta la famiglia e tra l’altro malata di cuore. La scuola era finita da pochi giorni, le giornate lunghe e belle portavano a star fuori dall’uscio famigliare le due bambine per molte ore. A quel tempo per Marina come del resto in tutt’Italia si poteva girare senza essere investi da auto e soprattutto senza far brutti incontri. Tutti si conoscevano e si portavano rispetto, aiutandosi come potevano gli uni con gli altri. Di soldi ne giravo pochi e così era di “moda” lo scambio, e i pesci pescati da Virgì quello era il nome del loro padre erano un’ottima merce di scambio. Il dottore veniva pagato con un bel ragno fresco, le seppie si scambiavano per gli ortaggi del contadino, i muggini per la farina e così via. Riempire  18 piatti al giorno non era cosa semplice e far tacere le pance ancora di più. Così la maggior parte degli scambi veniva nella fattoria di Giusè dove si barattava il pescato giornaliero con uova, ortaggi e farina adatta per polenta e polentone. Il casolare si trovava tra il viale XX Settembre e via Bertoloni, proprio dove oggi passa l’autostrada. Alle due bambine piaceva molto seguire la madre e assistere a quello scambio. Per loro era anche l’occasione di vedere gli animali e il contadino mungere la vacca. L’uomo, ormai abituato alla loro presenza nella stalla con la coda dell’occhio le vedeva giungere e facendo finta di trafficare le ignorava fin quando non gli erano a tiro di puppa e all’improvviso zac, uno schizzo di latte caldo gli lavava il muso, e poi leccandosi i baffi ridevano a crepapelle. Col passare del tempo erano diventate di casa in quella tenuta e vi ci si recavano anche quando per il mare grosso non si poteva uscire a pesca. Il fattore, era un omone alto e robusto sulla settantina con due spalle larghe come un armadio e una pancia talmente grossa che con la stoffa della sua camicia ci si poteva foderare due divani. Proprio per il fatto di rendersi utili anche loro alla famiglia, in accordo con il buon uomo, la mattina si recavano alla tenuta e  lui consegnava un cesto in vimini con venti uova da vendere per le vie del pase. Giusè anche se era una pasta di grano, incuteva in loro un pò di soggezione, cosa su cui lui perfidamente contava, per soggiogare anche psicologicamente le piccole, mettendosi al riparo da ogni loro disobbedienza “mangereccia”. La fame che attanagliava i loro giovani stomaci, era terribile, come lo era altrettanto la voglia irresistibile di berne uno, ma sapevano che ciò era impossibile. I patti tra di loro erano ben precisi, non si poteva “fregare nulla”, la sera il numero di uova vendute doveva corrispondere ai denari in borsa, quindi nulla da fare. Un uovo, doveva essere venduto a venti lire e a loro sarebbero andate cinque lire di compenso come concordato sulla vendita di ogni uovo. Semplice no!? Certo, patti chiari e amicizia lunga e la cosa funzionava per entrambi…….
Come ben sappiamo, le uova non hanno tutte lo stesso colore, ciò dipende dalla razza delle galline e da cosa hanno mangiato e via dicendo, così anche nel cestino delle due bambine le uova non avevano colori diversi. Nella mente della piccola Maria cominciò a formarsi un’idea, che nella sua semplicità era geniale. Posato a terra il cestino in un angolo appartato, al riparo da occhi indiscreti, divise le uova per colore, le bianche da una parte e quelle più scure dall’altra, poi ripresero il giro tra la Ruga, il Cantinone, giù fino all’Ardenza richiamando con le loro vocine l’attenzione di chi volesse comprare uova fresche. Così, alla richiesta dell’uovo fresco da portare alla “mnina” malata da parte di un paesano Maria proponeva l’uovo bianco che non era fresco, ma freschissimo, appena raccolto dal grinel. Ovviamente come si sa la qualità ha un prezzo maggiore e per quell’uovo “ancora caldo” bisognava sborsare trenta lire anzi che venti. Beh, le dieci lire di differenza non si potevano risparmiare davvero per un uovo extra fresco se poi per giunta destinato alla mnina malata. Prima del rientro le due ragazzine si fermavano nei pressi del forte di Macalè e contavano le uova rimanenti nel cestino e in base alla vendita preparavo i soldi per il fattore tenendosi ovviamente la differenza per se. Di ritorno alla fattoria dopo aver contato le uova e i soldi, il buon Giusè come concordato lasciava la mancia ad Anna e Maria, che contente del guadagno ricevuto s’incamminavano verso casa.
Ma …….. come detto all’inizio Maria era furba, molto furba e prima di rincasare assieme alla sorella spendevano il guadagno extra dal castagnaccino e rientravano a casa con la pancia piena. I conti con il fattore tornavano sempre, con il loro piccolo contributo aiutavano la famiglia e tutti erano felici e contenti,  e con quel segreto innocente gli affari d’uovo durarono nel tempo.
La Redazione
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