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Un misterioso saluto

Racconti
Spetta/Le Redazione
Io sono da sempre molto scettico su storie e avvenimenti che trattano del paranormale, ma questa volta...

Quando eravamo bambini, io, Marcello, Paolo e Giuseppe, ci chiamavano i quattro moschettieri, perché eravamo sempre insieme. Avevamo tutti e quattro la stessa età, e abbiamo frequentato insieme anche le scuole elementari. Ci siamo divisi solo durante l’adolescenza, ma in realtà fu una divisione all’acqua di rose, perché ci vedevamo quasi tutti i giorni al Bar “da Robè,” da sempre nostro punto di ritrovo. Entrammo nel mondo del lavoro, tutti nello stesso periodo, escluso Giuseppe, che non riusciva a trovare un “mestiere” che gli piacesse. Era lui, da sempre il più anticonformista del gruppo. Fu il primo a sfoggiare il capello lungo, sfidando le ire dei genitori, e gli sfottò dei conoscenti, ma la sua perseveranza fece sì, che tutti e quattro, diventassimo dei capelloni “teddyboys,” come erano chiamati i “cattivi ragazzi” nel 1960. Mentre noi ci impiegammo in imprese locali, Giuseppe, volle provare a entrare come apprendista in una ditta multinazionale che stava costruendo una delle primissime piattaforme petrolifere della Saipem a Marina di Carrara, la ”Perro Negro.” Dopo il varo, Giuseppe ne seguì il destino. Per oltre un decennio non ne sapemmo più nulla, poi un’estate, ricevetti una telefonata dal barista del Bar da Robè, che mi comunicava che Giuseppe era tornato a Carrara, e avrebbe voluto vederci, ma non aveva più i nostri recapiti. La rimpatriata fu emozionante, quasi commovente. Ci disse che era diventato capo equipaggio di piattaforme petrolifere, sparse in tutto il mondo. Era sempre all’estero, guadagnava molto bene, anche se non aveva il tempo di spenderli, perché sempre in mezzo al mare. Dopo avere ripreso i contatti, quasi ogni anno, tornava a Carrara, alcune volte in occasione delle feste Natalizie, altre, in estate. Noi tre, ormai sposati, lo ospitavamo volentieri nelle nostre famiglie durante i suoi soggiorni, ovviamente solo per i pasti, perché le nostre case erano più che modeste, e non avevano la stanza per gli ospiti. Era talmente benvoluto dai nostri figli, che lo chiamavano zio Giuseppe, e lo aspettavano con trepidazione, anche per i magnifici e costosi giocattoli che portava loro. In una delle sue permanenze in città, mi confessò che gli sarebbe piaciuto comprarsi una casetta a Carrara, per avere un posto dove andare, non solo per le ferie, ma anche per l’ancora lontana pensione. Ci mettemmo a cercare, e nel 1992, Marcello, da sempre suo amico del cuore, trovò un vero e proprio affare a Fossola. La casa era stata messa in vendita per la morte del proprietario, era di sole tre stanze, ma per lui era l’ideale. Giuseppe la comprò all’istante, e dopo alcuni piccoli lavori di ristrutturazione, ci invitò tutti a casa sua per l’inaugurazione. Fu una festa memorabile. Le nostre mogli prepararono una montagna di cose buone, annaffiate con sei bottiglie di ottimo e costosissimo Champagne francese ovviamente, “custom duty” (franco dogana) portato da Giuseppe. Negli anni seguenti, noi tre “stanziali,” che quasi ogni mese ci si ritrovava a casa di uno o dell’altro, per una cena, e  per stare un poco assieme, a causa l’insorgere di mille problemi, molti causati dai figli diventati ormai grandi, ma anche dai vari acciacchi dovuti all’età, abbiamo di fatto diradato di molto le visite, sostituite magari con una telefonata. Un mese fa purtroppo, la tragedia. Improvvisamente Marcello è venuto a mancare, stroncato nel sonno da un infarto. Io, prima del funerale, cercai varie volte di comunicare la triste notizia a Giuseppe, ma il numero di cellulare che mi aveva dato, era “irraggiungibile.” A due mesi dal funerale, tre giorni fa, ricevetti una telefonata di Giuseppe, che mi pregava di annunciare a tutti il suo definitivo ritorno a Carrara, e ci invitava a casa sua per festeggiare la sua “andata in pensione,” anche se ritardata per volontà dell’interessato. Colto alla sprovvista, non ebbi il coraggio di comunicargli la morte di Marcello, così, con Paolo, prima di salire in casa sua, ci mettemmo d’accordo per dirglielo con gradualità, durante la serata. Eravamo andati di proposito senza le mogli, concordando la scusa che fossero impegnate nella preparazione di una festa parrocchiale. Ci accolse come sempre con un sorriso smagliante, abbracci, e pacche sulle spalle, poi ci fece accomodare in cucina dove sul tavolo, erano già pronte delle bottiglie “importanti, “ quindi come un fiume in piena, iniziò a raccontarci della sua decisione di andare in pensione. Anche volendo, non saremo riusciti a fermare quel diluvio di parole. Tutto in lui esprimeva gioia, e felicità, e noi, pur con la morte nel cuore cercavamo di assecondarlo, aspettando il momento propizio per dargli quella terribile mazzata. Sempre parlando si avvicinò a un cassetto, da dove estrasse un grosso cavatappi, quindi aprì un pensile, e prese quattro grossi bicchieri “balloon” di cristallo, dicendo che quel tiratardi di Marcello certamente sarebbe venuto al brindisi in ritardo, perché pochi minuti prima, lo aveva visto dalla finestra ancora vestito con la tuta da lavoro, che lo salutava.

Mario Volpi 10.8.2020
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