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Sezione a cura di Mario Volpi
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‘L sangu dla tera

Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
A Carrara le cantine, erano una vera e propria istituzione, oggi  totalmente scomparse. Per nostra fortuna il vino di oggi, è molto  diverso da quello che loro mescevano, e che consideravano 'l sangu dla tera.

I vecchi cavatori carrarini, tenevano il vino in così grande considerazione da affermare che questo era sicuramente “’l sangu dla tera.” Il vino, da millenni, è molto importante per tutte e tre le religioni monoteiste che si affacciano sul Mediterraneo. Per la religione cristiana, poi il vino simboleggia addirittura il sangue di Cristo. Al contrario di oggi, per gli islamisti, prima dell’avvento di Maometto, il consumo, e la produzione di vino, non era proibito, anzi, specialmente in Palestina esistevano grandi vigneti, i cui proprietari erano considerati grandi intenditori, dei veri e propri sommelier dell’antichità. Nell’ebraismo, il vino simboleggia, tutti i doni che Dio ha fatto agli uomini, quindi molto importante. Aldilà delle considerazioni religiose, per Carrara il vino ha rappresentato per secoli un bene prezioso, costoso, squisito, ma purtroppo non alla portata di tutti. Per il consumo in famiglia ci si presentava alla “bottega” di generi alimentari, con una bottiglia magari da litro, ma si chiedeva all’esercente di riempirne “un quartino,” che era gelosamente consumato a pasto in base all’età, e alla gerarchia, ovviamente partendo dai genitori. Merita invece un discorso a parte quello che rappresentava il consumo di vino nelle “cantine.” Tappa obbligata per i cavatori, quando distrutti dal lavoro, tornavano a casa verso le quattordici, magari dopo aver consumato per “pranzo” solo un tozzo di pane con un pezzetto di lardo. Oltre che un piccolo piacere, il “biceret” (il bicchieretto) era un vero e proprio rinforzino, come diceva il compianto Ugo Tognazzi nel suo “Amici Miei” a quei pasti più che frugali. Purtroppo spesso qualcuno esagerava, arrivando a consumare in appena tre ore anche quindici “cavallerie” (un quarto) riducendosi in condizioni pietose, sia fisiche che finanziarie. In quei tempi ogni cantiniere si riforniva di vino da contadini di fiducia, badando più al prezzo che alla qualità, tanto che in alcune cantine si vendeva un’infame bevanda che del vino aveva solo il colore. Questo vero e proprio Far West, andò avanti fino agli inizi degli anni sessanta quando anche in Italia si cominciò a vendere il vino non solo imbottigliato in modo industriale, ma soprattutto con il ” suo nome” ben specificato. Così Chianti, Nebbiolo, Lambrusco, Barbera, e via dicendo, cominciavano ad aver un senso per gran parte dei nuovi consumatori. Nacquero enormi cantine industriali, come la Ferrari di Cremona. Quest’ azienda arrivò ad avere oltre mille dipendenti, e perfino uno spot sul famosissimo Carosello. Era il 1967, in pieno boom economico gli Italiani si erano accorti che ci si poteva concedere a pasto una buona bottiglia di vino, e gli affari per i nuovi cantinieri andavano a gonfie vele. Ma purtroppo in quegli anni, era in pieno sviluppo anche la nuova chimica, e qualcuno scoprì che sofisticare il vino, oltre che facile, era anche redditizio. Non si seppe mai se le Cantine Ferrari coinvolte pesantemente nell’ inchiesta condotta dal neo istituito Carabinieri del NAS, furono artefici o vittime della truffa, si sa solo che chiusero, lasciando sul lastrico tante famiglie di lavoratori. Ben più grave fu invece la sofisticazione che avvenne nel1986 in una cantina a Cuneo. In quegli anni il Metanolo, subì un forte calo di prezzo, così i titolari della cantina, pensarono di alzare il livello alcolico del loro vino di pessima qualità aggiungendolo in modo scellerato. Forse non sapevano che il Metanolo ad alti dosaggi, è un potente veleno, che causò la morte di ventitré persone e l’inabilità grave, con perdita della vista per decine di altre. Questo scandalo ebbe ripercussioni anche all’estero, e le esportazioni del vino italiano furono addirittura bloccate, causando una perdita economica devastante per i produttori onesti del settore. Per molto tempo, nonostante tutto, in quegli anni si continuò a trovare nei supermercati più economici, “bottiglioni” di vino, bianco o rosso da un litro e mezzo al costo di mille Lire. Ricordo ancora che in una delle innumerevoli trasmissioni televisive che al tempo trattavano di questa tragedia, vi fu una donna intervistata da un inviato che sfoggiò l’arguzia e la praticità delle casalinghe di un tempo. Questa signora a proposito del prezzo di questi bottiglioni, disse ”scusi ma se un kg di uva costa quattrocento lire, e per fare un litro e mezzo di vino c’è ne vogliono almeno due, mi spiega come possono venderlo a quel prezzo?” Oggi per fortuna i controlli sono molto più accurati, ma soprattutto è cambiato la mentalità dei produttori che sanno benissimo che l’accusa di frode oltre ad avere pesanti ripercussioni penali, comporterebbe la fine certa della loro azienda. Gli stessi grandi Consorzi, controllano attentamente i loro soci, perché, come diceva un vecchio bottegaio, ” per fare un cliente ci vuole un anno, per perderlo un secondo.” Quindi, mi piace pensare, che in Italia ancora per qualche millennio il vino sia ancora considerato il “sangue della terra.”
 
Mario Volpi 17.7.22
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