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Sezione a cura di Mario Volpi
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Garibà

Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Nel primo dopoguerra, l'Italia intera, ma sopratutto le genti Apuane, erano assediate dalla miseria più nera, con la maggior parte della popolazione provata da lutti e distruzioni, causate da ben due guerre mondiali,  e un dispotico regime. Nonostante ciò, grazie all'ingegno autarchico, si riusciva ancora ad assaporare i piaceri della vita, magari, costituiti solo da una boccata di fumo in una tiepida stalla, in una fredda giornata invernale.
Garibà
Quando andavo in prima elementare, Garibà, era già molto anziano, ma forse era solo la mia impressione, per via dei lunghi capelli bianchi, che, assieme alla folta barba che gli incorniciava il volto, e agli imponenti baffi, lo facevano rassomigliare moltissimo all’eroe dei due mondi, da qui il sopranome. Era il padre del fattore, e nell’aia era famoso oltre per il suo aspetto, anche perché era raro vederlo senza il mezzo toscano in bocca. A me faceva molta impressione, la tecnica che usava per fumare. Quando stava chino, per fare i solchi con la zappa, il fumo gli dava noia agli occhi, allora lui si metteva il sigaro in bocca dalla parte della brace, e continuava imperterrito a lavorare. La sua passione segreta però era la pipa. Il sigaro diceva, è per lavorare, per riposare, o pensare, ci vuole la pipa. Così, spesso, nelle fredde e piovose giornate invernali, io e i miei amichetti, lo potevamo incontrare nella stalla, era un tipo alla mano, al contrario dei nonni del suo tempo, che erano burberi e scostanti, lui amava la compagnia dei nipoti, e dei bambini del vicinato. Seduto sul banchetto per la mungitura, con noi seduti in cerchio attorno a lui, dopo aver riempito con gesti lenti e misurati, la fida pipa, con il tabacco coltivato e aromatizzato in proprio, ci raccontava qualche storia, spesso sempre la stessa, ma a noi non importava, perché era bello sentire il suono della sua voce, calma e profonda. Mentre parlava, ogni tanto si fermava, aspirava una boccata di fumo azzurrino, e dopo averlo assaporato in bocca con gli occhi socchiusi, lo soffiava fuori, quindi con il fido coltello da innesti, riprendeva a intagliare il pezzo “d cioca d stipa” (radice di Erica) per realizzare una pipa, perché le sue pipe, se le costruiva personalmente, e rigorosamente a coltello. Andava a prendere le radici di Erica al “Cast’dar,” (Castellaio) una collinetta completamente ricoperta dalla macchia mediterranea, a luna buona, e di novembre, perché diceva che “adè tut ferm” (è tutto fermo) intendendo con questo il sistema vegetativo della pianta. Arrivato a casa, con il segaccio a mano, tagliava la radice in pezzi più piccoli, poi con il “violino,” (una sorta di trapano a mano) praticava il foro che sarebbe diventato il fornello, quindi le bolliva. Quest’operazione, ora so che serviva a eliminare i tannini, e le sostanze minerali che avrebbero alterato il sapore del tabacco. La bollitura durava un intero giorno, aggiungendo ogni tanto dell’acqua, tra le imprecazioni del figlio per la legna, a suo avviso, sprecata, ma lui non intendeva ragione, e quando giudicava che fossero pronte, le metteva ad asciugare e stagionare sulla soffitta del granaio. Ho saputo che alla sua morte, il figlio ha trovato oltre duecento pezzi di legno, pronti per essere trasformati in pipe, oltre a diversi barattoli pieni di tabacco “del so” (del suo) aromatizzato con miele e grappa. A quei tempi erano parecchi i fumatori di pipa, soprattutto per una ragione economica, perché, così, si poteva fumare il tabacco, che molti coltivavano “d scosson” (di nascosto), in barba ai Monopoli di Stato, anche se a uso strettamente personale. Com’è noto il tabacco fu importato in Europa, dopo la scoperta dell’America, fatta da Cristoforo Colombo nel 1492, agli inizi usato solo come “spezia da fiuto.” Negli anni successivi, però, fu introdotta in Europa anche la pipa, questo strano arnese, che i nativi “americani” usavano da secoli. I primi a farne un oggetto di largo consumo, furono gli olandesi, che inventarono un sistema a stampo, molto efficiente ed economico per costruirle in argilla. La pipa si diffuse così rapidamente, che nella sola Francia in meno di dieci anni si calcolò che ne furono prodotte e vendute, più di 200 milioni di esemplari. Al tempo il tabacco era ancora relativamente costoso, così, il fornello era molto piccolo, ma forse proprio per accentuare di più la percezione di qualcosa di prezioso, si cominciarono a produrre delle pipe, con i materiali più disparati, dall’Ottone, all’Argento, dal Palissandro, al Ciliegio. L’uso di pipe costose assunse una tale diffusione che nel Parlamento inglese, si vararono delle leggi per limitarne la vendita. Agli inizi dell’ottocento, fu trovato un materiale che rivoluzionò per sempre il mondo dei fumatori di pipa; la schiuma di mare. In realtà questa materia così liscia e candida, è composta di Silicato di Magnesio, che nulla ha a che vedere con il mare, poiché si trova solo in qualche miniera della Turchia, più precisamente nell’Anatolia, ma la sua virginea bellezza, assieme all’estrema leggerezza, danno proprio la sensazione di fumare con una pipa di bianca spuma. Costosissime, e molto fragili, oggi, sono fumate da veri appassionati, ma soprattutto tenute come oggetti da collezione. Austria, Olanda, e Francia, furono per quasi due secoli i principali produttori di pipe, costruite con i materiali, e nelle fogge più varie, ma il loro monopolio fu bruscamente interrotto sul finire del milleottocento, da un certo Sig. Ferdinando Rossi, ovviamente italiano. Intuendo la potenzialità dell’articolo, Ferdinando, poco più che adolescente si recò in Francia per imparare il mestiere, e ben presto si poté affermare che l’allievo superò il maestro. Tornato in Patria, convinse alcuni artigiani a unirsi a lui, quindi fondò la Fabbrica f.lli Rossi a Barasso (Varese), e in poco più di un decennio riuscì a dare lavoro a 800 operai, e a sfornare ben 50.000 pipe in radica di Erica il giorno, record assoluto, ancora oggi imbattuto. Dopo la guerra, la produzione subì un forte calo, costringendo la fabbrica alla chiusura. A Barasso è rimasto un Museo a loro dedicato, e la Ditta Paronelli, che vende ancora pipe, ma non di sua produzione. La pipa è fatta per la meditazione, la calma, e la solennità dei gesti quasi rituali, purtroppo poco compatibile con il frenetico vivere quotidiano di oggi, così, sono rimasti pochissimi i fumatori di pipa. Il saggio Garibà, lo aveva già capito oltre sessanta anni fa, e nella penombra della stalla, assaporava, oltre al fragrante aroma del suo tabacco, anche questa sensazione di libertà spirituale.  

Mario Volpi
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