L'uomo con il canino - carraraonline.com

Sezione a cura di Mario Volpi
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L'uomo con il canino

Racconti
L’uomo col canino ( piccolo cane )
Un poeta recitava, tu chiamale se vuoi emozioni (L. Battisti )
Liberamente tratto da una storia vera

Come mia consuetudine, dal lunedì al venerdì tra le sette e le sette e un quarto dalla primavera all’autunno attraversavo la piazza di Marina con il mio scooter per andare al lavoro. Ed è proprio sul viale XX Settembre all’altezza della chiesa che incontrai l’uomo che ciondola.
Prima di diventare l’uomo col canino, l’uomo col canino è stato l’uomo che ciondola.
Lo vedevo sempre di spalle perché ci muovevamo nella stessa direzione, io nei dieci chilometri tra casa mia e il lavoro, lui nei duecento metri tra San Giuseppe  e il giornalaio dove comprava “La Nazione” per Leonardo, l’ottantenne barbiere di Marina  del quale eravamo tutti e due clienti.
Leonardo era di origini toscane e precisamente proveniva da San Casciano, un piccolo borgo sopra le colline fiorentine. Fin da bambino con i genitori veniva nelle vacanze estive al mare qua da noi. Un anno al padre, che era un dirigente della Montecatini, diagnosticarono un tumore alla gola e, dopo l’intervento di tracheotomia, i medici dell’ospedale di Careggi gli consigliarono di andare a vivere in una località di mare, così comprarono casa a Marina. Leonardo da sempre aveva avuto la passione di fare il barbiere e, nonostante il genitori fossero contrari, iniziò a fare  l’apprendista nella bottega del vecchio Riccà.
Il locale arredato in un modo austero, semplice e pratico, era ubicato tra il biciclettaio Danilo e la pizzeria Tonino.
Dopo qualche anno l’anziano barbiere morì e Leonardo rilevò la bottega.
Sulla ottantina, robusto e massiccio senza essere grasso, l’uomo che ciondola aveva un’andatura dondolante, il busto e la testa che si muovevano lateralmente seguendone i passi e i pensieri, un giorno dopo l’altro, con un'andatura che mi ricordava Olio, il famoso compagno di Stanlio, come l'ha descritto lo scrittore argentino Soriano nel suo libro “triste, solitario y final”. La figura di questo vecchio mi dava l' input per ragionare e divagare sulla condizione paradossale dei vecchi, che hanno tanto tempo a disposizione e non hanno quasi più nulla da fare o spesso non hanno più interesse per nulla al di fuori dalla routine del giorno dopo giorno, costretti dall’insonnia senile ad alzarsi a ore incongrue per sbrigare futilissime faccende, come quella di andare dal giornalaio a prendere il quotidiano per conto del barbiere che avrebbe potuto benissimo andare a prenderselo da solo, passano poi la maggior parte della giornata fuori o dentro la disadorna bottega dello stesso. Nel quarto d’ora che passavo lì dentro a farmi tagliare i capelli, raramente è successo che l’uomo che ciondola non fosse dentro il negozio o che se ne stesse andando o che stesse arrivando. Vestiva quasi sempre allo stesso modo: un paio di mocassini marroni deformati, calzoni a vita alta verde scuro ed una polo gialla sbiadita dal tempo. Di lui non conosco neppure il nome, l’ho sempre immaginato come una persona d’indole buona, un celibe o un vedovo depresso e demotivato. Da un accenno di discussione con altri clienti mi pareva di aver capito che avesse fatto l’autista per conto della Lazzi per gran parte della sua vita.
“Il segreto per essere un buon autista è quello di non mangiare niente fino alla fine del turno. Nient'altro" ripeteva in dialetto marinello dentro la piccola bottega.
Poi un giorno lo vidi sullo stesso percorso con un cane di piccola taglia, un beagle.
Leonardo mi raccontò con il suo accento toscano, che glielo aveva regalato un nipote, in modo da tenerlo occupato. Da lì in poi l’uomo che ciondola è diventato l’uomo col canino. In poco  tempo il beagle  perse la sua naturale irruenza per adattarsi al passo lento e triste dell’uomo. Imparò persino  a ciondolare le lunghe orecchie a tempo con la testa del suo padrone. La coppia in transito sul viale sembrava non aver mai fatto altro che quello,  come che entrambi fossero  lì già da prima che  il luogo si chiamasse la Marina D’Avenza,  ed invece era cosa di soli pochi anni.
Un giorno poi mi accorsi che era da qualche tempo che non vedevo l’uomo e il canino e così, per qualche dì ancora, feci caso alla sua assenza,  mi chiesi  persino   se non fosse che  uno dei due era malato oppure se erano  andati da qualche parte, magari in vacanza.
Aspettai ancora qualche giorno e alla fine mi fermai apposta e chiesi al barbiere affacciato sulla strada.
"Ma come?" rispose con un tono freddo e perentorio "non sai  che è stato investito qua sulle strisce pedonali, proprio davanti alla chiesa e nel giro di una settimana è morto ? “
"Ma com'è successo?" gli domandai basito.
“Erano le cinque del pomeriggio quando dalla bottega ho sentito un gran colpo e sono corso fuori ed è li che ho visto per terra il suo corpo ed ho subito capito che si trattava di qualcosa di grave”. Mentre raccontava con enfasi indicava con l’indice della mano destra il luogo esatto dov’era accaduto l’incidente.
"E il canino!?" domandai.
“Nel frattempo che arrivava l’ambulanza la povera bestiola gli girava attorno, spaesata e impaurita dal baccano che  si era creato, allora l’ho preso con me. Poi dopo qualche giorno è arrivata la sorella a prenderlo e mi disse che la situazione era stabile, mentre la Nazione due giorni più tardi nella cronaca riportò il suo decesso".
"Ma cavolo, come mi dispiace!" dopo un attimo di silenzio, scuro in volto ripartii e Leonardo rientrò nella bottega.
Ora quando passo di là non incontro più l’uomo col canino, lo so che non era nulla ma oramai faceva parte di quelle piccole cose quotidiane raffigurate nel quadro della vita, quelle cose che esistono e sono lì da sempre. Come il campanile della chiesa, il tabacchino di Bertellà o la gelateria di Rosellini. Quella panchina ora è occupata da altra gente che non sa nulla dell’uomo col canino e quel pezzo di marciapiede tra tanta gente ora mi è un posto vuoto e solitario come un foglio di carta bianca.
I mesi passarono immutabili come il corso delle stelle, quando un pomeriggio di settembre, arrivato poco oltre Giampaoli, trovai una fila di macchine ferme e il traffico bloccato. Ero con lo scooter e così in un  attimo arrivai in cima alla fila, che finiva dove il supermercato Simply, dove un tempo c'era il cinema Olimpia. Ed è proprio li che per terra vidi il corpo del canino. C’era molta folla attorno, ma non riuscii a scambiare  una parola con nessuno, fuori sulla soglia della bottega  Leonardo, con aria cupa, stava fumando lentamente una sigaretta, mi guardò scuotendo il capo e con un cenno della testa mi invitò a guardare l’orologio della chiesa, che segnava le 17.00. La gente li attorno parlava in  continuazione, stordito e assorto nei miei  pensieri catturai solo questo stralcio di  conversazione: “E’ scappato dal guinzaglio della sorella e in un attimo ha attraversato la strada per andare di là dalla piazza”.
Ora, dove volesse andare la povera bestiola lo lascio alla vostra immaginazione.
Da quel giorno io cambiai percorso.
Quel vecchio e il suo cane per me  erano figure emblematiche  di un'umanità che va scomparendo in una cittadina che diventa sempre  più anonima e asettica:  Marina è sempre più vuota di persone che parlano il marinello come l’uomo dal canino e non ci sono più  le calde e familiari botteghe come quelle di Leonardo, che sono state sostituite ormai da freddi supermercati.

                                                         

Mi piace pensare che alle 17 di ogni giorno  da qualche parte un cane ritrova il suo padrone e insieme ripercorrono quel viale.
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