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Sezione a cura di Mario Volpi
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Rivalità

Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Anche ai geni piace primeggiare, e quando sulla loro strada incontrano qualcuno al loro pari, si accende una infuocata rivalità, che però, nella maggior parte dei casi porta solo del bene.

Nella millenaria storia dell’umanità, si è visto che ogni tanto, non si sa dove, e non si sa il perché, nasce un individuo destinato a emergere culturalmente o fisicamente, come un gigante sul resto degli uomini. Spesso però, nello stesso periodo, e soprattutto nella stessa disciplina, i giganti sono due, o più, ed è qui si scatena un’accesa rivalità tra loro, che però non fa altro che accentuare ancora di più le loro doti straordinarie nelle discipline in cui eccellono. Tralasciando il mondo antico con personaggi leggendari come Alessandro Magno, o i grandi filosofi e pensatori ellenici, partiamo da quello straordinario periodo storico, che ha finalmente cancellato per sempre il buio culturale del medioevo, ossia il Rinascimento italiano. Qui la scelta dei personaggi è quasi obbligata. I geni assoluti in molteplici discipline erano tre, ossia Leonardo da Vinci, Michelangelo Buonarroti, e Raffaello Sanzio. Anche qui, ognuno di loro ha avuto la sfortuna di nascere e operare nello stesso periodo degli altri due, cosa che se da una parte ha accentuato ancora di più la loro voglia di sopraffare l’altro in grandezza, ne ha in qualche modo ridimensionato agli occhi della gente la loro genialità. Leonardo più anziano di Michelangelo di ben ventitré anni, aveva un carattere calmo posato e riflessivo, mentre Leonardo è tutto l’opposto, irascibile scontroso, ma anche estroso come lo sono i geni assoluti. Raffaello è il più giovane dei tre, nasce a Urbino da una famiglia benestante, di cui il padre è un pittore già affermato. Passa la fanciullezza in mezzo a pennelli e colori, e anche se il padre morirà quando lui era ancora piccolo, ad appena diciassette anni si potrà già fregiare del titolo di “Magister” (maestro.) Imparerà molto studiando la produzione artistica degli altri due, ma soffrirà la loro ingombrante presenza nelle commesse di grandi opere, per cui si dovrà “accontentare” per un breve periodo, di dipingere quadri a sfondo religioso per famiglie benestanti. Le sue madonne furono così belle e famose che rimase, soprattutto in area fiorentina, il vezzo di chiamare “madonna” le dame per omaggiare la loro grazia e bellezza. Raffaelo morirà ad appena trentasette anni, lasciando però ai posteri, un immenso patrimonio di quadri, affreschi e opere architettoniche. Alcune persone poi, hanno la sfortuna, di “sbagliare” epoca della loro nascita, o peggio ancora, d’incorrere nei pregiudizi che la Società dei loro tempi ha verso di loro. E quanto accaduto a una delle due grandi pittrici italiane rinascimentali. Sofonisba Anguissola, nacque a Cremona nel 1532, da una nobile famiglia, il cui padre inviò un disegno della figlia al grande Leonardo che decreterà il grande talento della giovane artista. Nonostante questo, pur essendo di nobili origini, e frequentando anche la corte di Spagna, a Sofonisba, fu permesso di ritrarre solo i famigliari, perché era disdicevole per una dama essere una pittrice, mestiere di poco conto e solo da uomo. Cosa ancora peggiore capitò alla più nota Artemisia Gentileschi. Nata a Roma a metà del 1500, si distinse subito per il suo talento pittorico. Il padre la mando a bottega da Agostino Tassi, un maestro della prospettiva. Ma secondo la mentalità del tempo, il “maestro” pensava di avere pieni poteri anche sul corpo sull’allieva, ma al suo rifiuto di giacere con lui, il Tassi la violentò. Promettendole di riparare con il matrimonio com’era usanza al tempo, il Tassi cercò di far dimenticare ad Artemisia l’onta subita, ma questa non cedette e si arrivò al processo. Questo fu oltremodo oltraggioso e ingiusto nei confronti della giovane, sottoposta a innumerevoli visite ginecologiche anche in aula, e infine per accertare se davvero non mentisse, sottoposta perfino a interrogatorio sotto tortura. Infine, accusato di “sverginamento” il Tassi fu esiliato da Roma e Artemisia continuò la sua carriera artistica arrivando perfino in Inghilterra. Le rivalità tra campioni dello sport, ha influenzato fortemente anche la storia del nostro Paese. I due ciclisti-rivali italiani più famosi sono sicuramente Coppi e Bartali. Protagonisti del ciclismo del primo dopoguerra, erano stati anche classificati politicamente dall’immaginario collettivo, assegnando a Coppi, forse per il suo modo di fare quasi nobile, e distaccato, la patente di “comunista”, mentre Bartali era considerato “democristiano.” Fu proprio Gino Bartali a salvare l’Italia da una probabile guerra civile nel luglio del 1948. Il 14 luglio di quell’anno Palmiro Togliatti, segretario del Partito Comunista Italiano, subì un attentato rimanendo ferito. Al Tour de France, Bartali ormai sopra i trentaquattro anni, faticava non poco a tenere il passo degli avversari più giovani, avendo oltre venti minuti di distacco dal primo in classifica provvisoria. Nella stessa giornata dell’attentato, il grande Gino con una fiammata degna di un grande campione, sulle erte salite del Col de l’Izoard, recuperò quasi del tutto il suo svantaggio, arrivando a un passo dall’indossare la maglia gialla. Alla sera nella stanza d’albergo di Bartali squillò il telefono, era Alcide De Gasperi, segretario della Democrazia Cristiana Italiana, che informava Gino dei gravi disordini con morti e feriti che si erano già verificati in Italia, ormai a un passo dalla guerra civile. Cosa si siano detti di preciso non è detto sapere, ma il giorno dopo Gino vinse tappa e Tour. L’Italia festeggiò così il suo campione, stemperando il clima d’odio che si era instaurato, arrivando piano, piano alla normalità. Per restare nel ciclismo un altro campione italiano sfortunato fu certamente Felice Gimondi. Nato in provincia di Bergamo, fin da subito dimostrò grandi doti di campione sia su strada sia su pista, purtroppo per lui incontrò sulla sua strada un vero e proprio “extraterrestre” Eddy Merckx. Questo fuoriclasse francese fu addirittura chiamato il “cannibale” per la sua abitudine di “vincere” tutto in ogni gara, non lasciando nulla agli avversari. Più equilibrata fu invece la rivalità tra Saronni e Moser, altri due mostri sacri del ciclismo. Negli anni settanta, raggiunto ormai un certo benessere economico, in Italia cominciarono ad affacciarsi discipline sportive poco note, come l’apnea a corpo libero. Campione indiscusso in questa specialità fu Enzo Maiorca. Nato a Siracusa disse di aver imparato a nuotare a quattro anni ma di avere avuto sempre una riverenziale paura del mare. Prima di ritirarsi, stabilì il record di profondità in apnea di – 101 metri. Suo acceso amico-rivale fu il francese Jaques Mayol. Nato in Cina nel 1927, Mayol per anni ha conteso il record d’immersioni a Maiorca, fino ad arrivare nel 1983 alla profondità di -105 metri. Innamorato dell’Italia abitava all’Isola d’Elba, dove purtroppo è morto suicida. Anche in campo musicale le rivalità non si contano. La più famosa fu certamente quella tra Giuseppe Verdi e Richard Wagner. I due maestri si sfidarono per decenni a colpi di Opere Liriche, e singole sinfonie. Altre accese rivalità tra campioni furono Sandro Mazzinghi con Nino Benvenuti, Valentino Rossi con Max Biaggi, per finire con quella di due campioni di epoche diverse, ma che si sentivano uno più forte dell’altro, ossia Pelé e Maradona. Di sicuro però, è sola questa la “sana” rivalità che vorremmo sempre vedere, che porta solo a un miglioramento delle prestazioni, al contrario di quella politica, che genera solamente astio e odio.
Mario Volpi 2.10.2020
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