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Sezione a cura di Mario Volpi
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Sei un somaro

La civiltà animale
Spetta/Le Redazione
Oggi a sorpresa, si è  riscoperto un animale che fino a pochi anni fa si era ridotto a pochi  esemplare; l'Asino. Per la sua docilità e simpatia è amatissimo dai  bambini, tanto che è diventato il compagno inseparabile, nel mondo dei  cartoni di un orco verde. Ma la sua storia millenaria accanto all'uomo  merita molto di più per cui....
Sei un somaro

Oggi sarebbe passibile di denuncia, ma più di mezzo secolo fa, la nostra maestra elementare, non ci lesinava quest’appellativo, assieme a qualche bacchettata sulle mani, quando non sapevamo ripetere a memoria le tabelline, o la poesia del Pascoli. Per millenni, il somaro, asino, o ciuco, i nomi cambiano secondo le località geografiche, forse per la sua testardaggine, è sempre stato giudicato un animale scarsamente dotato d’intelletto, quasi un ritardato mentale, e per questo, associato all’umano dall’intelligenza e perspicacia scarse, o del tutto assenti. La verità è il contrario. L’asino, non farà mai un’azione che giudica pericolosa per la propria sopravvivenza, così sì impunterà su un passaggio pericoloso, o si rifiuterà di muoversi con un carico troppo pesante, o sbilanciato, e non ci sarà verso di convincerlo né con le buone, né con le nerbate. “Il cavallo dei poveri” com’era chiamato in Era medievale, comincia il suo lungo cammino vicino all’uomo circa cinquemila anni prima della nascita di Cristo. Si presume che derivi dall’asino selvatico africano, tutt’oggi esistente, anche se ormai sull’orlo dell’estinzione, e che sia stato addomesticato molto prima del cavallo, questo grazie alla sua indole docile, e alla sua piccola taglia. Sicuramente sono pochi gli animali che hanno avuto una così grande importanza nell’evoluzione della razza umana. Per la sua rusticità nella qualità, e quantità del cibo, la sua grande resistenza alla fatica, l’adattabilità a tutti gli ambienti, compresi i climi aridi, o freddi, è stato un pilastro fondamentale per la sopravvivenza dell’uomo. In antichità lo troviamo attaccato a frantoi e mulini, o a far girare ruote idrauliche per irrigare i campi, o usato per il trasporto di merci e persone. Anche nel mondo magico, religioso o esoterico, l’asino ha avuto in epoca antica un posto di tutto rilievo. Considerato animale sacro dai popoli mediorientali e africani, fu quasi demonizzato in Europa, in epoca medievale. Furono alcune sue prerogative fisiche, che gli costarono, in quei tempi oscuri, una collocazione piuttosto ambigua nella simbologia cristiana. Il suo lungo e grosso membro ad esempio, mentre per i Romani era simbolo di fertilità e vigore, per le gerarchie ecclesiastiche del tempo, era un chiaro segno di lussuria e peccato, quindi era certamente da segnare come animale demoniaco. Di contro però, Cristo lo aveva scelto come sua cavalcatura, a simboleggiare l’umiltà, era stato il mezzo di trasporto per Maria e Giuseppe, verso Betlemme, e sempre lui aveva scaldato il Bambino nella mangiatoia. A testimonianza di quest’ambiguità religiosa-culturale, nel medioevo, si svolgeva la “festa dell’asino”, dove alcuni di questi animali, vestiti come prelati o Papi, erano trascinati da una folla festante fin dentro le chiese, dove erano scuoiati, o bastonati a morte. Questa pseudo- cerimonia la dice lunga sul sentimento di amore- odio, della cristianità di quei tempi, nei confronti di quest’animale.
Questo bagaglio di credenze, e superstizioni, ha accompagnato questo animale fino a pochissimi anni fa. L’asino aveva ancora un grande significato magico per la civiltà contadina negli anni cinquanta, retaggio dei secoli passati, dove, era visto ancora come un tramite, tra il mondo reale, e quello esoterico.
Quando un bambino aveva la pertosse, in dialetto “la tossa cativa”, bastava strappare tre peli neri della criniera di un asino, metterli in un sacchettino e appenderlo al collo del bambino, che sarebbe certamente guarito. Se per una persona gravemente ammalata, si erano perdute le speranze di salvarla, l’unica soluzione era porlo in groppa a un asino nel punto preciso dove i suoi peli formano una croce, ( croce di Sant'Andrea ) e far fare al ciuco dodici giri, pronunciando a ogni giro il nome di un Apostolo, mettendo a posto di quello di Giuda il nome di Gesù, e la guarigione sarebbe stata certa. Se si sospettava che una persona potesse essere stata posseduta dal Demonio, bisognava portarla nella stalla, e porla sulla schiena dell’asino. Il Maligno, non avrebbe resistito a star seduto su una croce, e urlando, sarebbe fuggito. Se una vipera ti mordeva, solo mangiando il polmone di un asino non avresti esalato l’ultimo respiro. Magia a parte, l’umile asino ha contribuito a salvare fisicamente un gran numero di persone. Negli anni cinquanta, nel territorio Apuano, esistevano diverse “asinerie, ” come un tempo si chiamavano questi piccoli allevamenti. Il loro scopo era, non solo quello di vendere gli asini, ma servivano soprattutto come “fabbrica” di muli, e occasionalmente di bardotti. La differenza tra questi due animali, ambedue sterili, è nei genitori, il bardotto, è il risultato dell’accoppiamento di un cavallo maschio, con la femmina dell’asino, mentre il mulo è il contrario. Il bardotto oltre a essere leggermente più piccolo del mulo, ha un verso a metà tra il nitrito e il raglio, il suo concepimento era alquanto difficile, e spesso avveniva casualmente. Si pensava che fosse cagionevole di salute, e spesso finiva al macello, mentre il mulo si vendeva all’Esercito, o era destinato al duro lavoro nelle nostre cave di marmo. Le asine dopo il parto, potevano essere munte per circa sei, sette mesi, tre volte il giorno. La produzione era modesta, non arrivava al mezzo litro di latte a mungitura, ma era molto ricercato, perché simile a quello materno, e quindi ideale per nutrire neonati orfani, o con le madri senza latte, condizioni che al tempo portavano a morte certa. In tempi più recenti, l’asino proprio per la sua frugalità alimentare, era usato come “giardiniere vivente.” Legato con una lunga corda all’interno di poderi che si desiderava liberare da rovi e erbacce, lo si teneva lì per giorni, fino a quando tutto il vegetale infestante non era stato divorato. E’ proverbiale la resistenza dell’asino al dolore, spesso, specialmente su impervi sentieri, si feriva malamente una zampa, ma non dava alcun cenno di dolore al padrone, che spesso se ne accorgeva quando il danno era tanto grave da consigliare l’abbattimento dell’animale. In quei tempi l’azzoppamento dell’asino era visto come una vera e propria catastrofe, perché, oltre a perdere una risorsa economica importantissima, la sua carne dura, rossa, e poco grassa, era pagata pochissimo dai macelli. Nonostante ciò, le nostre donne riuscivano, con le verdure dell’orto, un pò di vino rosso, e ore di bollitura, a ricavarne un vero e proprio manicaretto; lo stracotto d’asino. Negli anni novanta l’asino era quasi scomparso dall’Italia, che oltretutto possiede diverse razze endemiche, poi, per fortuna, grazie alla sua docilità, mole, e pazienza, ci si è accorti che era utilissimo come animale per la pet therapy, e ora il suo numero sta progressivamente aumentando. A mio avviso, questa è la rivincita sull’uomo di quest’umile animale. Dopo averlo sfruttato per secoli, credevamo di poterlo sostituire per sempre, con le nostre potenti macchine. Invece ci ha dimostrato che è ancora in grado di fare una cosa che nessuna macchina può fare; donare amore ai cuccioli d’uomo.

Mario Volpi
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