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Età del ferro, o della colla?

Attualità
Spetta/Le Redazione
L'evoluzione umana, è stata scandita da varie Ere, ossia gradini evolutivi dovuti alla scoperta di nuovi sistemi tecnologici. Dalla metà del secolo scorso, e nei primi anni di quello attuale, si è assistito a una vera e propria rivoluzione tecnica, che potrà far nascere una nuova Era...

Oggi, gli antropologi tendono a chiamare “Età del ferro, ” non tanto il periodo cronologico, quanto i profondi mutamenti sociali che influenzarono nell’Europa del I millennio a.C., le varie civiltà che conobbero questa nuova tecnologia. Il ferro, è il metallo più comune sul pianeta Terra, ma questo non vuol dire che la sua estrazione, fusione, e lavorazione sia facile. E’ indubbio, però, che da quando l’umanità imparò a usarlo, la stessa, fece un balzo evolutivo eccezionale. Per millenni, il solo modo possibile per unire tra loro in modo permanente due pezzi di ferro, era solo uno: la martellatura. Si portavano i due pezzi da unire al punto di fusione per mezzo di un braciere, e poi dopo averli sovrapposti si martellavano fino a quando i due pezzi, nel punto di contatto si univano. In Era medievale la metallurgia ebbe un sostanziale miglioramento, con l’adozione dell’uso di rivetti metallici. Questo sistema però, era valido solo per piccoli spessori, come corazze, o cancellate. Con poche migliorie, questo metodo arrivò immutato fino agli ultimi decenni del XVIII secolo, data della prima rivoluzione industriale. Verso la fine del secolo successivo, negli Stati Uniti, si sperimentò un nuovo sistema per saldare il metallo, provocando un cortocircuito tra i due poli di un trasformatore elettrico, con un piccolo tondino di ferro. Era nato l’embrione della saldatura ad arco, chiamata poi MMA. Quelli della mia generazione, hanno avuto l’opportunità di assistere in prima persona, a trasformazioni epocali nel campo della siderurgia, o più precisamente, nelle costruzioni in carpenteria metallica. Fino a metà degli anni cinquanta, la carpenteria pesante, ovvero la costruzione di ponti, grossi serbatoi, tralicci, o navi, avveniva soprattutto tramite l’uso dei rivetti metallici. Si procedeva così. Con un grosso trapanano ad aria compressa, si praticava un foro nei due pezzi da unire, quindi, un fabbro, posto con la forgia nelle vicinanze, lanciava un rivetto incandescente, verso la coppia di operai che dovevano fissare il pezzo. Con una sorta d’imbuto provvisto di manico, uno dei due lo prendeva al volo, quindi lo afferrava con una pinza, e lo inseriva nel foro, poi vi appoggiava contro una matrice di ferro, con scavato al centro in negativo la testa del rivetto. Dalla parte opposta il secondo operatore, con un martello pneumatico provvisto di uno scalpello-stampo, lo martellava fino a ribadirlo completamente. Durante il processo di raffreddamento, il rivetto si ritirava, stringendo ancora più saldamente i due pezzi. Anche se meccanicamente sicuro, questo metodo come si può ben capire era molto lungo, e poco pratico. Così, agli inizi degli anni sessanta, l’industria cominciò a costruire le prime saldatrici rotative. Pesantissime, molto rumorose e assetate di energia elettrica, queste rudimentali macchine, erogavano corrente continua a un amperaggio regolabile, sufficiente, però, a fondere un elettrodo di ferro, rivestito di una sostanza, che, fondendosi, evitava l’ossidazione del bagno di fusione. Nacque così una nuova professione, quella del saldatore. Considerato al tempo uno “specialista,” era spesso un libero professionista pagato profumatamente “un tanto al metro” di saldatura, oppure a cottimo a lavoro finito. Molto attiva soprattutto nei cantieri navali, la figura del saldatore, è stata centrale e indispensabile nelle costruzioni di grossi manufatti metallici. Come tutte le novità, anche questa tecnologia portò le sue malattie professionali, a causa dell’ingestione dei fumi tossici, e dell’esposizione alle potenti radiazioni ultraviolette che l’arco produceva. Intanto, la tecnologia che aveva creato la saldatura ad arco progrediva sempre più, sfornando saldatrici “statiche,” ossia prive di pezzi in movimento, meno affamate di energia elettrica e silenziose, per arrivare alle moderne “inverter,” saldatrici elettroniche piccole e leggere ma dotate di grande potenza. Anche il modo di saldare cambiava. Negli anni ottanta soprattutto nei cantieri navali, sbarca la saldatrice a filo continuo ad arco sommerso. In pratica questo sistema di saldatura consisteva in una bobina che srotolava un filo metallico, che tramite una serie di rinvii alimentava l’arco elettrico, che un effusore copriva di polvere speciale. Questo sistema sostituiva in parte il saldatore, che aveva solo il compito di caricare la polvere nella tramoggia, mentre un carrello elettrico montato su guide eseguiva la saldatura, che era più precisa, ed eseguita in minor tempo. Così, rapidamente com’era nata, per la figura del saldatore MMA ossia manuale con elettrodo rivestito, comincia un lento declino, sostituito da “robot” saldatori, che non avevano bisogno di costose protezioni in cuoio, e facevano a meno di sofisticati impianti di estrazione fumi. Da lì a poco fece il suo ingresso la saldatura MIG, ossia sempre a filo continuo, ma con l’arco protetto da un gas inerte come l’elio, seguita dopo poco da un’altra invenzione rivoluzionaria, la saldatura TIG, dove l’elettrodo di tungsteno, non si fondeva, ma era usato come un “pennello,” per fondere e unire i due lembi del pezzo da saldare. Dagli anni novanta in poi, si misero a punto nuovi metodi di saldatura, più veloci, e meno costosi, come la saldatura per attrito, a punti, e a rulli, utilizzati nelle catene di montaggio. Negli anni duemila fece la sua comparsa un metodo ancora più moderno, la saldatura laser. Oggi però, si assiste a quello che sembrerebbe un paradosso, ma che in verità succede ogni qualvolta il cosiddetto ”Progresso,” marcia troppo veloce e i maniera incontrollata. Moltissime aziende meccaniche stanno cercando disperatamente, e purtroppo invano, esperti saldatori MMA, per eseguire lavori, che un robot non può fare. Chissà se questa carenza di personale specializzato non porti a un’altra Età … quella della colla!
Volpi Mario 25.2.22
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