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Sezione a cura di Mario Volpi
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Mitragliatrici … col rossetto

Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Il progresso come una gigantesca spugna ha cancellato molti oggetti a noi cari dalla lavagna dei ricordi, privando così, le nuove generazione, dal piacere di conoscerli.
Mitragliatrici … col rossetto

Alcuni giorni orsono, mi trovavo all’interno di una terza elementare, presso una scuola cittadina, per parlare del dialetto carrarino. Non ricordo neppure più il motivo, quando a un paio di bambini venne l’idea di ricopiare il disegno delle vecchie mura Albericine, che io gli stavo mostrando da una vecchia illustrazione. Alcuni di loro però, dissero che era un disegno alquanto difficile da realizzare, al che, io risposi che non ci sarebbe stato alcun problema, se lo avessero ricalcato con un foglio di carta carbone. Dal silenzio totale che di colpo calò in aula, capì di averla fatta davvero grossa, in quanto, questi figli del terzo millennio, non capendo minimamente di cosa io stessi parlando, pensarono certamente a un mio improvviso attacco di demenza senile. Per sapere di cosa sto parlando bisogna fare un salto all’indietro di più di cinquant’anni. Alla fine della seconda guerra mondiale, l’Italia era un immenso cumulo di macerie e rovine, con le infrastrutture distrutte, così come le fabbriche, e le case. Grazie anche agli aiuti economici degli Stati Uniti, denominati “Piano Marshall” in meno di un decennio, l’Italia conobbe l’inizio del cosiddetto “Boom economico, ” con migliaia di posti di lavoro, e novità assoluta, molti dei quali a uso quasi esclusivo delle donne. Quello più comune era la stenodattilografa.  Per quelli come me nati nell’altro secolo, questa figura, oggi purtroppo, scomparsa, fa rivivere ricordi di struggente nostalgia, mentre per la totalità dei nati negli ultimi anni del 900, questa è totalmente sconosciuta. Negli anni sessanta, la tecnologia come la intendiamo oggi, era aldilà da venire. Negli uffici si poteva trovare un monumentale telefono in bachelite nera, che, per usare, si doveva chiedere il numero alla “signorina” del centralino della SIP, come al tempo si chiamava la Compagnia Telefonica. Secondo la grandezza e l’importanza della Ditta, all’interno si potevano trovare varie “segretarie” com’erano chiamate queste lavoratici. Indossavano tutte una spolverina nera, e il loro compito principale era trascrivere e poi ricopiare a macchina lettere commerciali, e qualsiasi altro documento. Non esistendo ancora i registratori vocali, le riunioni dei manager, erano prima trascritte in stenografia, e in un secondo momento ricopiate a macchina. La stenografia era un metodo di scrittura veloce, fatto di segni, convenzionali, e abbreviazioni, che permetteva di scrivere una conversazione con la stessa velocità con cui si parla. Vi erano diversi Metodi, che prendevano il nome dei loro inventori come quelli degli italiani Meschini, e Cima, ma ve ne erano molti altri. Poi sottoposto il testo al “capo”, si passava alla macchina per scrivere, a quei tempi quasi un “oggetto misterioso.” Pochissimi sanno, che l’idea di una macchina per “scrivere a occhi chiusi” venne al Conte Agostino Fantoni, di Fivizzano, nel 1802, che costruì un prototipo per permettere di scrivere a sua sorella Carolina, che era cieca. Sfortunatamente, mentre tracce di questo progetto sono custodite nell’Archivio storico di Reggio Emilia, non fu fatta brevettare, e così la paternità dell’invenzione di una macchina simile va attribuita a Giuseppe Ravizza, ma solamente nel 1846. Le macchine per scrivere più usate in Italia erano chiaramente le Olivetti, al tempo leader in questo campo. Costituita da una tastiera su tre livelli, interamente meccanica, questa macchina permetteva, dopo l’inserimento di un foglio di carta nell’apposito rullo di gomma, di imprimere delle lettere, tramite dei martelletti che battevano sopra un nastro impregnato d’inchiostro. Per effettuare più copie era necessario usare la carta carbone, interposta tra i fogli. E’ chiaro che un errore di battuta era difficilmente correggibile, quindi, queste signorine, dovevano stare molto attente, non solo alle battute errate, ma soprattutto alla grammatica e l’ortografia, cosa che oggi qualsiasi programma di scrittura corregge in automatico. Anche ad allora, però, il tempo era “denaro” così le più brave riuscivano a scrivere alla folle velocità di 130, battute al minuto, delle vere e proprie mitragliatrici, con la forma, e l’ortografia, però, sempre perfetti, e con il rossetto sulle labbra.

Mario Volpi
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