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Sezione a cura di Mario Volpi
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Il Natale di un tempo

Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Le tradizione i miti  del nostro territorio sono millenari, anche se sono arrivate a noi snaturate dal loro simbolismo originale.

Il Natale è senza ombra di dubbio la festività più importante per la religione cristiana. Il cristianesimo in Italia, ebbe origine a Roma nel I secolo d.C. Nell’Impero romano, esistevano altri culti, come quello del dio Mitra, molto simile alla nascente religione cristiana. Come spesso avviene per le novità, anche il cristianesimo da principio fu osteggiato, causando ai suoi seguaci feroci persecuzioni. Ciò ebbe fine solo attorno ai primi anni del IV secolo sotto gli Imperatori Galerio prima, e Costantino poi, che liberalizzarono la pratica del nuovo culto, mettendo fine alle persecuzioni. L’ultimo Imperatore romano poi, Teodosio, dichiarò il cristianesimo religione di stato, negli ultimi anni dello stesso secolo. Ma è sicuramente, dopo la caduta dell’Impero Romano, e la conseguente Era medievale che il cristianesimo crebbe diventando per secoli la più importante religione Europea. I Papi romani cercarono spesso anche con soprusi e vessazioni, di osteggiare, gli altri culti, alcuni millenari, legati alle stagioni o alle fasi lunari. Per fare questo nel modo più indolore possibile, sovrapposero a festività “pagane” ricorrenze religiose. Il caso più eclatante è proprio il Natale fatto coincidere nello stesso periodo delle celebrazioni del Solstizio d’inverno. Il 21 dicembre, è astronomicamente il giorno più corto dell’anno, ossia, dal giorno dopo il sole comincerà a risalire sull’orizzonte avvicinandosi sempre più alla Primavera. Ecco perché le antiche popolazioni rurali festeggiavano il ritorno alla luce e quindi alla vita. Non a caso il cristianesimo, fece coincidere l’ipotetica nascita del Bambino Gesù al 25 dicembre. Anche se ferocemente osteggiate dalla Chiesa le usanze e tradizioni millenarie pagane, continuarono a prosperare, anche se adesso erano mascherate da celebrazioni cristiane. Così, nei secoli, molte antiche ricorrenze e tradizioni sono arrivate fino ai giorni nostri, anche se snaturate nel loro valore simbolico originale. Una di queste, sicuramente molto importante per il benessere degli uomini, è quella alimentare che si celebra la vigilia, e il giorno di Natale. Per festeggiare il ritorno della luce, e un nuovo ciclo di vita, si dava fondo, alle ultime riserve di cibo messe da parte per l’inverno. Così a Carrara, la vigilia di Natale, si prepara la “zuppa del Bambin” (zuppa del Bambino.) Anche se molto calorica e gustosa, i suoi ingredienti sono estremamente poveri, e comprendono pane raffermo, cavoli Neri o Verza, secondo la disponibilità nell’orto, una cotica di lardo soffritto con aglio, cipolla e prezzemolo, e fagioli bianchi piattelli. Fatta bollire a lungo, era poi servita bollente, e dove possibile, condita con un filo d’olio d’oliva a crudo. Il Natale poi, che corrispondeva all’antico giorno del Solstizio, ci si trattava ancora meglio. Innanzi tutto si uccidevano le galline più vecchie, perché improduttive, ma soprattutto per non correre il rischio che in Primavera “il Diavolo le facesse diventare galli.” L’antico adagio “gallina vecchia fa buon brodo” non è campato in aria, ma è la pura verità. In quel brodo si cuoceva una pasta fatta in casa,” i taiarin” (taglierini) tagliati a coltello sottilissimi perché dovevano essere abbondanti, fatti con la farina bianca, prima che formasse le camole. Per secondo, insieme alla carcassa della gallina, un po troppo dura e stopposa, si faceva bollire l’ultimo salame, diventato troppo secco o leggermente rancido, sostituito in Era moderna con il cotechino. A Marina di Carrara, invece, si faceva lessare il Baccalà, con le ultime scorte di ceci. Fino ai primi anni del novecento, era ancora viva l’usanza nel territorio Apuano, soprattutto all’interno di grandi fattorie, di recarsi la notte di Natale nella stalla dove erano messi uno vicino all’altro un bue e un asino, e i visitatori portavano loro biada o avena. La visita a questa sorta di autarchico presepe avveniva prima di recarsi in chiesa per la messa di mezzanotte, un tempo un vero e proprio obbligo sociale. Le funzioni religiose erano lunghissime, recitate in latino all’interno di chiese gelide, e per noi piccoli, era una vera e propria tortura, per la noia, il sonno, ma soprattutto per il freddo. A tal proposito ho ancora il ricordo di una messa di Natale di circa settanta anni fa, a cui assistetti quando avevo circa sette anni. Il freddo all’interno della chiesa era talmente intenso che io dopo poco, sentì una sorta di dolore-bruciore, alle mani e ai piedi. Scoppiai a piangere e mia madre mi prese in braccio e mi portò a casa dove, dopo avermi lavato mani e piedi con acqua tiepida, me li massaggiò fino a quando la circolazione sanguigna non riprese. Per ovviare a questi disagi, era tradizione, almeno per gli adulti, di preparare al ritorno dalla messa il Ponce al Mandarino, scaldandolo i bicchieri con il liquore a bagnomaria in una teglia d’acqua posta sulla stufa economica. Un altro mito, che io, data la giovane età, non ho potuto verificare, era la credenza che uccidere un uccello nella mattina di Natale, prima che sorgesse il sole, questo non sarebbe mai marcito, e che quindi potesse essere esibito come se fosse imbalsamato. Un’altra nota leggenda riguarda il pettirosso. Una versione diceva che l’uccellino, volendo alleviare le pene di Gesù sulla croce, tentò di estrarre una delle spine che tormentavano la fronte di Cristo. Nel fare ciò, una goccia di sangue gli macchiò il petto, che da quel giorno rimase dello stesso colore, anche se nella realtà il colore del pettirosso è arancione, e non rosso. Mentre un’altra vuole che la Vergine Maria con il Bambin Gesù in braccio, all’interno della capanna si accorse che il fuoco si stava spegnendo, chiamò il bove che profondamente addormentato non la sentì, mentre l’asinello non sapeva cosa fare. Allora un pettirosso cominciò a trasportare piccoli ramoscelli con il becco, e poi agitando le ali ravvivò il fuoco. Nel farlo però una favilla gli bruciò il petto ma lui imperterrito continuò nel suo lavoro. Riconoscente la Vergine Maria disse che da lì in poi, l’uccellino avrebbe portato per sempre sul petto il segno di quell’opera misericordiosa. Anche il regalare rametti di Vischio e Agrifoglio derivano addirittura dalle popolazione Celtiche che vedevano nelle due piante i simboli della rinascita della vita nei confronti del buio della morte. Quindi, anche se in parte snaturate dal significato per cui sono nate, queste tradizione sono importanti, perché, rappresentano la storia, in cui i nostri avi hanno fermamente creduto, così fermamente, che dopo secoli sono ancora attuali.
 
Mario Volpi 31.12.22
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