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Sezione a cura di Mario Volpi
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Pensieri

Genetiche Mutazioni

Era una radiosa mattina di primavera. Per essere i primi giorni di maggio, faceva già molto caldo, che la leggera brezza proveniente dal mare non riusciva a mitigare. Antonio, era comodamente seduto su una delle panchine del parco, a Marina di Carrara, le mani appoggiate all’elegante bastone da passeggio, tenuto davanti alle ginocchia, e lo sguardo fisso sul nipotino, Nicola, che a pochi metri di distanza si esibiva in spericolate discese dallo scivolo. Anche se già avanti con gli anni, Antonio, era ancora in forma, escluso qualche inevitabile acciacco, e il suo gradevole aspetto era motivo di complimenti dai suoi numerosi conoscenti. Alto, con una gran massa di capelli argentei, l’aristocratico pinzetto ben curato, gli occhiali con la montatura dorata, quasi a porre l’accento sul naso aquilino, ma ben proporzionato, vestiva sempre la “mutatura,” come si dice in dialetto, ossia un completo giacca pantaloni con tanto di panciotto. Del resto questa per più di quarant’anni era stata la sua divisa. Laureatosi in medicina giovanissimo, aveva svolto la sua professione quasi esclusivamente a Milano, per poi, ora ormai in pensione, fare ritorno con la moglie, nell’amata Carrara, dove era nato. L’urlo terrorizzato di una giovane madre, gli fece volgere lo sguardo, verso un bambino che proprio in quel momento era caduto dalla bici, sbucciandosi leggermente un ginocchio. Questo episodio, lo fece ritornare indietro con la mente a quel tragico e terribile giorno di tanti anni fa. Avrà avuto sei o sette anni, questo proprio non lo ricordava, quando in una splendida mattina proprio come questa, accade l’incidente. Con una decina di coetanei, stava giocando a Tarzan, attaccandosi a un ramo di un salice che pendeva verso terra, e usandolo a mo’ di liana, si lanciava nel vuoto. Accade in un secondo, tanto che lui non se ne accorse neppure, e che ancora adesso, non riesce a ricordare. Il ramo, con un secco schiocco, si spezzò all’improvviso, proiettandolo giù del poggio dove si trovava il salice, cadendo nel poggiolo sottostante, dove urtò violentemente la testa contro una grossa pietra, perdendo i sensi. Si svegliò in un luogo sconosciuto, tutto bianco, che gli dissero, essere l’Ospedale, in testa, oltre ad una vistosa fasciatura, una ridda di voci, di cui non riusciva a capire la provenienza. La madre, era al suo capezzale, le chiese premurosa come si sentisse, lui piangendo terrorizzato l’abbracciò, e le rispose urlando” mamma! Sento delle voci, chi sono? Ho paura!” Accorse un medico, che pensando fosse ancora scioccato, con una puntura lo rispedì nel mondo dei sogni. Quando si risvegliò, il brusio nella sua mente riprese, ma questa volta sentì distintamente una voce dire” bambino non ti spaventare, non sei pazzo, la caduta ti ha donato il potere di sentire il pensiero di chi ti sta vicino, non parlarne con nessuno, e buona fortuna!” Non seppe mai chi fosse il “mutante” che gli parlò, se un medico, un infermiere, o qualche parente in visita ma, quell’affermazione lo tranquillizzò un poco, e piano piano cominciò a “governare” quello strano potere. Imparò a chiudere la mente, quando voleva restare tranquillo, a rimanere impassibile, senza neppure girare il capo, quando sentiva pensieri che lo riguardavano, spesso non proprio amichevoli. Cominciò anche a trarne qualche vantaggio, diventando a scuola uno dei più bravi, perché sentiva le risposte nel pensiero della maestra. Diventando grande questo potere, da una parte lo aiutò moltissimo, ma dall’altra, spesso, era un fardello quasi insopportabile. Un giorno a Pisa, in un momento di sconforto, pensò a come sarebbe stato bello avere vicino un conterraneo per sentire una voce amica. Dopo qualche tempo, mentre  stava seguendo attentamente una lezione di Anatomia, sentì nella sua mente un’argentina voce femminile, che gli disse” so che sei come me, ho sentito i tuoi pensieri, anche se io non abito a Carrara, cosa diresti di conoscerci meglio?” Stupito, rispose anche lui col pensiero, “d’accordo, ora esco, troviamoci in corridoio.” Uscito, dopo poco si trovò davanti a una splendida ragazza bruna, con uno smagliante sorriso. Gli tese la mano e disse, questa volta con la voce” ciao, mi chiamo Marisa, ma non sono carrarina, sono di Marinella” Inutile dire che i due si misero insieme, e appena terminati gli studi, si trasferirono a Milano, dove lei aveva ottenuto un master di specializzazione in pediatria. Dopo un non facile periodo di convivenza, dovuto alla non facile gestione del loro potere, i due si sposarono, e dopo poco nacque un figlio, ma con loro grande sorpresa, questi non aveva il loro stesso dono. Da un lato erano contenti, perché consapevoli della difficoltà emotiva di gestire un simile potere, ma dall’altra delusi, perché il bambino non avrebbe avuto la possibilità di godere i vantaggi che questo comportava. Passarono gli anni, ad Antonio, pur con tutti gli onori, e la sfolgorante carriera, mancavano troppo le sue bianche Apuane, e soprattutto il blu cobalto del mare di Marina. Negli anni si era comprata una casa a Monteverde, e appena tutti e due in pensione vi si trasferì. Il figlio durante un’estate conobbe una carrarina doc, si sposarono e dopo poco ebbero un bel maschietto. Fu attorno ai tre anni, che Antonio, percepì il balbettante pensiero del piccolo. Lui e la moglie s’impegnarono nel suo addestramento, e ora il nipotino di sette anni, oltre ad essere il più bravo della scuola, sa già padroneggiare il suo potere in modo egregio, ovviamente senza che i genitori sappiano nulla. Antonio, richiamò col pensiero il bambino presso gli scivoli dicendogli che era ora di tornare. In auto, il bambino telepaticamente disse” nonno ma in quanti siamo? E perché nessuno deve sapere?” Il nonno fece un sorriso e rispose a voce “siamo moltissimi, ma fino a quando ci considereranno dei “diversi,” meglio tacere.
Bentley  Parker.
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