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Quasi vero

Attualità
Spetta/Le Redazione
La quarantena forzata di molti di noi di questi ultimi due anni, ha fatto rinascere una forma d'arte che stava scomparendo. L'unica nota positiva di questo periodo da dimenticare.

I primi decenni del terzo millennio, saranno certamente ricordati nei libri di storia, come il periodo responsabile della perdita nel mondo Occidentale, di stili di vita, tradizioni, e mestieri millenari. Anche alcuni hobby, sono ormai quasi scomparsi, tra questi uno dei più belli e artistici; il modellismo. Considerato una passione dei tempi moderni, in realtà il modellismo è vecchio quanto l’uomo. Il primo Homo habilis preistorico, che modellò con l’argilla una statuina magari stilizzata di un’animale, fu il primo modellista della storia. Addirittura già gli antichi egizi, erano usi porre nelle tombe modellini rituali di cavalli, carri, e suppellettili, perché potessero servire al defunto nell’altra vita. In Europa, fino alla fine del XVIII secolo, il modellismo era una vera e propria “arte commerciale,” che serviva per costruire modellini di mobili pregiati, carrozze, e perfino velieri, da usare come catalogo, per far visionare, e scegliere il modello desiderato dai futuri clienti, ovviamente dell’alta Società. In Italia furono certamente gli anni sessanta il periodo in cui il modellismo conobbe il massimo splendore. Complice il boom economico di quegli anni, ma soprattutto il sopraggiungere delle nuove scoperte tecnologiche, il modellismo dinamico, soprattutto quello ferroviario, arrivò ad avere moltissimi appassionati con un livello tecnico eccezionale. Non a caso per “modellismo,” s’intende costruire una copia identica, in tutto per tutto all’originale, così perfetta da sembrare, escluse le dimensioni, “quasi vera.” Nata nel lontano 1945 a Como, dalle ceneri di una fabbrica d’interruttori, la Rivarossi, fu la prima Azienda italiana specializzata nella produzione di modellini di locomotive, carri ferroviari, e materiale rotabile. L’ing. Alessandro Rossi, proprietario e fondatore della ditta, ebbe il merito di capire che per emergere dalle altre fabbriche di “giocattoli,” serviva qualcosa in più. Così cominciò a costruire i suoi modelli “in scala,” e con una maniacale attenzione al particolare. Innovazioni tecnologiche come i fari funzionanti, i passaggi a livello che si alzavano, e abbassavano automaticamente, gli agganci in automatico dei vagoni, fecero sì che la Rivarossi, diventasse leader nel mondo del modellismo ferroviario con modelli non solo italiani, cosa che gli permise di esportare i suoi prodotti in tutto il mondo. Sua concorrente fu un’altra azienda italiana nata un anno dopo a Vicenza, la Lima. Questa ditta scelse di produrre i modellini ferroviari in plastica, per abbassare i costi, ma non la qualità. Le due ditte crearono anche singoli pezzi per ricostruire, sempre in scala, i diorama dove far passare i piccoli convogli, come stazioni, gallerie, alberi, e perfino animali e persone. A tal proposito ricordo che a Carrara parecchi anni fa, fu costruito un plastico raffigurante, non solo la vecchia Marmifera a vapore, ma il perfetto diorama delle cave dove passava. Nei primi anni settanta si ebbe un forte impulso anche nell’aeromodellismo. Finalmente dopo quasi un secolo, gli aerei riprodotti non erano più statici. Ora, la nuova tecnologia, permetteva di montare un minuscolo motore a scoppio sul modellino, e tramite due cavi d’acciaio che arrivavano a una specie di maniglia in mano al modellista, non solo potevano volare per davvero, ma era possibile fargli eseguire acrobazie aeree incredibili. In quegli anni si organizzavano nella prima domenica di maggio, allo Stadio dei Marmi di Carrara, delle gare di aeromodelli, che comprendevano, oltre ai voli dimostrativi, anche “duelli aerei a due” consistenti nel riuscire a tranciare una lunga striscia di carta colorata fissata alla coda del velivolo “nemico.” Essendo l’Italia la patria delle Repubbliche Marinare, non potevano mancare i modellini di navi. L’editoria di quegli anni, non si lasciò scappare l’occasione di cavalcare l’onda dell’espansione del modellismo, così pubblicò delle strenne al costo di poche centinaia di lire, con allegato settimanalmente in ognuna di esse, un pezzo in plastica, per costruire navi da guerra famose come la corazzata Roma, o la nave scuola Amerigo Vespucci. I modelli, erano di qualità non proprio eccelsa, ma ebbero il merito di far conoscere al grande pubblico questo settore relativamente nuovo. In quegli anni, si assistette a una vera e propria proliferazione esagerata di negozi di modellismo, alcuni enormi, e strutturati come dei veri e propri supermercati, con decine di dipendenti dove si vendeva di tutto, dal legno di Balsa, per arrivare ai mini torni, e agli aerografi professionali. Nacquero anche un gran numero di Club di Modellismo, spesso più di uno nella stessa città. L’avvento della plastica, ma soprattutto i nuovi metodi di pressofusione dei metalli, aprirono la strada alla messa in commercio di statole di montaggio complete dei disegni tecnici, per il montaggio, di auto, moto, trattori, e navi. Ovviamente questo era il classico modellismo statico, ossia sprovvisto di motori. Ma dopo pochi anni l’elettronica verrà in aiuto ai modellisti di tutto il mondo, lanciando sul mercato i primi motori elettrici a batteria, provvisti di telecomando. Con questo sistema il modellino, fosse questo terrestre, acquatico, o aereo, poteva muovervi in autonomia anche a grande distanza dal pilota, restando però sempre sotto il suo controllo. Gli anni novanta vedranno fiorire un vero e proprio esercito di navi, auto, moto, aerei, e carrarmati telecomandati, già montati, e realizzati anche in “grande scala,” a prezzi relativamente popolari. Ovviamente questi modelli “pronti,” non soddisfacevano il vero modellista, essendo più che altro costosi giocattoli per adulti. E’ agli inizi degli anni duemila, che il settore del modellismo forse a causa del cambiamento profondo nei gusti della gente, entra in una crisi profonda. Crisi, che, dopo svariati e sfortunati tentativi per salvarle, porterà alla chiusura definitiva di aziende storiche come la Rivarossi e la Lima, acquistate da un marchio inglese, ma con la manifattura dislocata in Cina. Anche i negozi dedicati al modellismo chiusero uno dopo l’altro, seguiti nel triste distino da molti Club, ormai senza più affiliati. Oggi sono rimasti solo gli appassionati “duri e puri,” ovvero quelli cui piace costruire ogni singolo pezzo con le proprie mani, che a finire un modellino impiegano magari anni, ma che dalla sua realizzazione traggono una soddisfazione inversamente proporzionale alle dimensioni dello stesso.
 
Mario Volpi 30.1.22
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