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Sezione a cura di Mario Volpi
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La giostra

Medioevo carrarino

Spett/le Redazione
Vi invio un altro episodio della vita medievale di Carrara, che descrive uno degli avvenimenti più frequenti e seguiti del tempo; le Giostre e i Tornei. Questi spettacoli erano tenuti in occasioni speciali ,o anche per celebrazioni, e vi partecipavano i cavalieri erranti. A differenza di quanto ci ha insegnato la letterara o alcuni film, i cavalieri non erano affatto quei campioni di virtù che tutti credono, erano semplicemente dei mercenari che mettevano la loro spada al servizio di chi li pagava meglio, la cavalleria e l'onore erano praticati solo tra loro, ma non certo verso i "villani" come veniva chiamato il popolo, che non esitavano a massacrare e depredare nel corso delle numerosissime guerre. Durante i rari momenti di pace, i tornei e le Giostre servivano sia come esercizio, ma sopratutto come fonte di reddito, che veniva dal riscatto delle armi vinte. Se si pensa che un'armatura poteva costare l'equivalente di 20 paia di buoi si capisce che un cavaliere era una vera e propia azienda viaggiante.

Messer Artemio di Vallescura fermò il suo palafreno * all'ombra di una gigantesca quercia, scese  e si sedette su una roccia che affiorava dal terreno come un sedile. Aveva preceduto di poco la sua carovana composta di cinque muli carichi delle sue armi e della tenda, dove spesso passava la notte, il suo bianco destriero da torneo Alceste, privo di finimenti, era condotto a mano da Aroldo, uno dei suoi due scudieri. Vedendolo seduto, Dionigi, l'altro scudiero, corse a porgergli la sacca di pelle colma d'acqua che portava a tracolla, quindi gli chiese se dovesse allestire il campo per la notte, lui stimò che ci fossero ancora due ore di luce e decise che fosse meglio proseguire, e cercare di raggiungere l'Ospitale * di Case Ponzi. * dove sarebbe stato più agevole passare la notte. Era maggio inoltrato, e sulla via del sale che conduceva a Cararie, il caldo era asfissiante, nugoli di mosche cavalline, e tafani, davano il tormento alla sua cavalcatura che agitava continuamente la coda nel vano tentativo di scacciarle, l'indomani avrebbe ordinato agli scudieri che tutte le bestie fossero lavate con aceto di mele. Finalmente giunsero al passo di Monte Forca, * e la vallata sottostante apparve in tutta la sua maestosa bellezza; la selva si estendeva a perdita d'occhio, fino ad arrivare alle paludi che scintillavano sotto gli ultimi raggi del sole, prima di perdersi nell'azzurro del mare. La campana del campanile di Case Ponzi rintoccò l'ora sesta, quasi volesse salutarlo; il cavaliere si volse e disse ai suoi esausti compagni di viaggio "coraggio miei fidi, l'Ospitale è in vista, tra poco vi riposerete" quindi diede di sprone e partì al piccolo trotto. I grilli riempivano la notte con la loro sinfonia, mentre milioni di lucciole sembravano volere sfidare le stelle in cielo. Dopo una frugale cena a base di zuppa di verdure e farro, il cavaliere si era adagiato su un giaciglio di paglia, ma il sonno tardava a venire, mentre lì accanto i suoi due scudieri, sfiniti dalla lunga marcia, russavano sonoramente. Il suo pensiero andava alla Giostra * che fra due giorni si sarebbe tenuta nella città di Cararie. Era stata indetta dal Duca Gian Galeazzo Visconti, per celebrare degnamente il Patto di Dedizione * che i carraresi avevano da poco sottoscritto con lui. Erano certamente molti i cavalieri che vi avrebbero partecipato, e lui sperava ardentemente di poterne sconfiggere qualcuno di molto facoltoso, in possesso di qualche splendida armatura, e di cavalcature di pregio, in modo da potere ricavare una bella somma di danaro per il riscatto. Sperava anche che non fosse lui lo sconfitto, perché la sua scarsella era desolatamente vuota, e non avrebbe potuto pagare nessun riscatto, perdendo così armi e destriero. Dopo una notte passata in gran parte insonne, finalmente giunse l'alba. Il sole fece capolino da dietro quelle montagne candide come la neve, da cui da sempre, gli abitanti di queste contrade cavavano il marmo, merli chiassosi lo salutarono con i loro melodiosi canti d'amore, mentre un cuculo nascosto chissà dove intonava il suo monotono verso. Dopo avere assistito alla Santa Messa ed essersi confessato il cavaliere, e la sua piccola carovana, imboccarono la stretta mulattiera che scendeva verso la città. Quando vi giunsero, il sole era già alto nel cielo, e i suoi raggi arroventavano l'aria come una fornace, un armigero a guardia della Porta Carraia munita di ponte levatoio che attraversava un piccolo fiume, gli chiese chi fosse, e cosa volesse, saputolo, lo fece scortare in un grande spiazzo erboso, dove erano già montate diverse tende. Riconobbe immediatamente, non senza una punta di preoccupazione, gli stemmi araldici dei cavalieri più importanti e famosi, ma fece finta di nulla e ordinò agli scudieri di montare la tenda e di esporre il suo stemma, una testa di lupo nera in campo azzurro. Il resto della giornata passò velocemente per preparare tutto il necessario per la mattina successiva, quando la grande Giostra avrebbe avuto inizio.
Prima che l'alba spuntasse, gli scudieri erano già in piena attività, strigliando i cavalli, lucidando le corazze e le armi, ma soprattutto cercando di carpire informazioni sui partecipanti, notizie che in qualche modo avrebbero potuto favorire i loro padroni. Arnoldo come scudiero anziano, aiutava Artemio nella sua complicata vestizione; prima indossò la veste d'arme imbottita *, di sopra la cotta di maglia che arrivava a coprire il ventre, poi fissò la corazza a piastre sul petto e sulla schiena, seguita dai manicotti di ferro, e i guanti ferrati, infine i cosciali e gli schinieri, e le calzature. Dionigi intanto preparava Alceste; gli mise la gualdrappa imbottita, poi la grossa pettorina di ferro a piastre, la testiera e la sella con i due grossi paracosce di cuoio rinforzato, quindi sopra di tutto pose la lunga gualdrappa con i colori e lo stemma del cavaliere.
Poco prima della terza ora, annunciato dal rullo dei tamburi e dalle chiarine, il Duca fece il suo ingresso nel campo, e si diresse, seguito da tutta la Corte, verso il palco d'onore. Dal palco dei giudici l'araldo annunciò l'inizio della giostra che si sarebbe svolta con lance in frassino, e armi cortesi *, il premio per il vincitore sarebbe stato di 1000 fiorini, e il riscatto delle armi dei perdenti, quindi chiamò al centro dell'arena tutti i cavalieri. Artemio salì in sella e indossato l'elmo a bacinetto con il bianco cimiero, prese la lancia che Aroldo gli porgeva e si diresse al centro dell'arena. Il popolo era numerosissimo e assisteva rumorosamente all'avvenimento, mentre giocolieri, cantastorie, e venditori di frittelle, facevano affari d'oro. Il primo cavaliere chiamato dall'araldo passò lentamente davanti alla parata di stemmi, e toccò con la punta della lancia uno di questi, il cavaliere corrispondente calò la celata e si portò caracollando in fondo alla staccionata che divideva i due contendenti. Uno squillo di tromba diede inizio alla Giostra. I due destrieri spinti da potenti colpi di sprone partirono di gran carriera, uno contro l'altro, il cavaliere sfidato colpì per primo lo sfidante in pieno petto, lo schiocco della lancia che si spezzava fu seguito dall'urlo della folla, e dal pesante ruzzolone del cavaliere disarcionato. Gli scudieri accorsero e trascinarono fuori cavallo e cavaliere perdenti. La sorte fece si che a sfidare Artemio, fosse uno dei cavalieri più conosciuti e importanti. Posto in fondo allo steccato, Artemio vedeva attraverso la sottile fessura dell'elmo, l'imponente figura dell'avversario stagliarsi contro il sole, questi era sopranominato il Pellegrino, per via del falco in metallo che aveva sul cimiero, vestiva una preziosa corazza interamente dipinta di nero, con intarsi e disegni fatti con l'acquaforte e riempiti in oro, montava un gigantesco stallone balzano da tre * di colore nero. Artemio pensò che se fosse riuscito a resistere al primo assalto, il calore, e la luce del sole sarebbero stati dei validi alleati. Al suono della chiarina partì di carriera, il fido Alceste, come sempre partì con il piede destro, così da dargli la possibilità di colpire per primo, ma questa volta pensò a una diversa strategia, spostò in avanti il peso di tutto il corpo, si ancorò fortemente alla sella puntellando i piedi alle staffe e le cosce contro le protezioni, e sistemò lo scudo leggermente di traverso. Il Pellegrino come previsto colpì per primo, ma la lancia scartò verso l'esterno spezzandosi, così che la potenza del colpo fu più che dimezzata, nonostante questo, dovette stringere i denti per sopportare lo sbilanciamento e il dolore lancinante alla spalla sinistra. Ora però le parti erano invertite, lui era con il sole alle spalle, in più dentro a quella corazza interamente nera il calore doveva essere insopportabile. Quando partì, puntò la lancia il più alto possibile, il modo che il colpo sbilanciasse l'avversario, e così puntualmente avvenne. La parte alta dello scudo  colpita con violenza, scattò all'indietro e il frassino della lancia anziché spezzarsi andò diritta a colpire il cavaliere nemico proprio alla gola, la parte meno protetta di tutto il corpo. L'elmo ornato dal falco schizzò via, mentre un fiotto di sangue scaturiva dalla gola squarciata del cavaliere. Un urlo immenso si levò dalla folla, mentre la nera figura rotolava nella polvere, gli scudieri accorsero subito, ma nulla poterono, il cavaliere nero era morto. Artemio scese di sella e si precipitò a vedere il suo avversario, non era sua intenzione quell'epilogo, ma sicuramente quella tragedia lo avrebbe aiutato a vincere il torneo, nessuno avrebbe più osato sfidarlo.

Volpi Mario
Note :
"      Palafreno cavallo particolarmente docile e robusto adibito agli spostamenti dei cavalieri.
"      Ospitale, antico luogo di ristoro per viandanti e pellegrini.
"      Case Ponzi … Antico nome di Castelpoggio.
"      Monte Forca … cima di fianco al Sagro.
"      Giostra … Forma di combattimento equestre uno contro uno
"      Patto realmente stipulato.
"      Cortesi … armi senza taglio e spuntate per Tornei e Giostre
"      Veste d'arme … Corta tunica da indossare sotto l'armatura a cui spesso veniva      ancorata parte della stessa.
"      Balzano da uno, da due, da tre, da quattro, colorazione diversa dal mantello dagli    zoccoli fino al garretto.

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