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Sezione a cura di Mario Volpi
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Un saporito grugnito

La civiltà animale
Spetta/Le Redazione
I mesi da ottobre a dicembre, erano dedicati completamente a "l'ingrasso" del maiale. Noi bambini ci mandavano nei boschi a raccogliere le ghiande, e la dieta dei maiali si arricchiva sensibilmente come quantità e qualità. Ghiande, castagne con il verme, frutta guasta, avanzi di cucina,impastati con crusca e fioretto, facevano parte di questa super dieta, in vista dell'avvicinarsi della data in cui il maiale si sarebbe trasformato in deliziosi salumi.

“D’l maial ans but via nient” (del maiale non si butta via nulla) così mia nonna, era solita dire in dialetto, nelle fredde giornate di gennaio, mese un tempo deputato all’uccisione del maiale.
Aspettavamo proprio i giorni in cui il clima era più freddo e asciutto, meglio se soffiava un pò di tramontana, “cussì i asug” (così asciuga) poi, dopo aver acceso nell’aia un gran fuoco, si poneva sopra di esso il treppiede di ferro con il pentolone pieno d’acqua da far bollire. Quasi fosse una processione poi, con il fattore in testa, ci si dirigeva verso la porcilaia. Noi bambini eravamo al settimo cielo, perché sapevamo che da lì a poco, ci aspettava una leccornia che attendevamo da un anno, all’altro. Il fattore aveva avuto l’avvertenza di non dare da mangiare al maiale la sera precedente, così bastava mettere un pò di pastone fuori dalla porta, perche questi, affamato, uscisse subito. Mentre grufolava, si legavano con una corda i piedi davanti, e a un segnale del norcino, si dava uno strattone che faceva cadere sul fianco destro il maiale. Gli uomini gli si buttavano sopra di peso per tenerlo a terra, mentre il norcino infilava la “coratella,” un lungo stiletto d’acciaio nel cuore. Le urla dell’animale si udivano per chilometri, e secondo la tradizione, questo era un bene perché lo faceva dissanguare più in fretta. Quando non si muoveva più, la nonna portava le molle del camino roventi, con cui il norcino, dopo aver estratto la coratella, cauterizzava la ferita per evitare la perdita di sangue prezioso. Intanto gli uomini avevano portato uno scaleo, che aperto serviva ad appendervi l’animale a testa in giù. Le donne avevano preparato diversi “ bazili” (bacili), pronti a raccogliere il sangue quando il norcino lo sgozzava, con cui si preparava il delizioso “sanguinaccio”, con uvetta e pinoli, e il “ maligat” (buristo.) Dopo questa importante operazione, sull’animale era versata acqua bollente, e il fattore e il norcino, con affilati coltelli, provvedevano alla pelatura. Neanche le setole erano buttate, quelle più lunghe della schiena erano messe da parte, e sarebbero servite a fare pennelli per imbiancare. Con un pezzo di legno come manico, e della sottile lamiera ricavata dai barattoli vuoti delle sardine in scatole, il fattore, utilizzando il mastice per innesti, e qualche chiodino, costruiva degli ottimi pennelli, attività che svolgeva nelle piovose giornate invernali. Si passava poi a sezionare l’animale e ad appendere i quarti in cantina perché dovevano “riposare” al freddo, un giorno e una notte, prima della lavorazione per ottenere salami e salsicce. La testa, le orecchie, la lingua, le frattaglie, gli zampetti, e la coda, erano fatti bollire per ore, in acqua salata, la carne ricavata era tagliata grossolanamente, drogata, e impastata. Era la nonna, la persona deputata a quest’operazione. Prendeva dal corredo, una “federa” di cotone pulita, e dopo averla riempita con l’impasto, la metteva “in cassetta, ” una forma di legno con il coperchio, e il fondo forato, su cui si metteva un grosso macigno, per far fuoriuscire tutto il liquido in eccesso. Il lardo era salato e speziato per prepararlo alla stagionatura, le parti meno nobili erano bollite per fare lo strutto. Dalla parte ventrale si prendeva il grasso per fare la “sunza,” (sugna) ottima per curare mani secche, e geloni. Chissà quante generazioni avranno, nel corso dei millenni, compiuto quest’operazione, perché il maiale è un altro di quegli animali che hanno seguito, e agevolato la razza umana nella sua evoluzione millenaria. Derivante dal selvatico cinghiale, il maiale è stato certamente uno degli ultimi animali che ha subito l’addomesticazione da parte dell’uomo. Esso, per sua natura, non era adatto al nomadismo degli uomini del Neolitico, quindi ciò è avvenuto solo dopo che l’uomo è diventato stanziale. Molto prolifico, con un appetito formidabile che gli permette di mangiare di tutto, è stato per millenni un caposaldo nell’alimentazione umana. Si parla di lui in un antichissimo trattato di cucina, di un “gourmet” antico, Apicio, un buongustaio e cuoco romano, che oltre a descrivere molte ricette, ci dice dell’esistenza di un florido commercio di maiali dalla vicina Etruria, verso Roma. L’importanza di quest’animale, la si evince da come esso fosse considerato dalle varie popolazioni nel corso dei secoli. Per gli Etruschi, era una creatura mite, gentile, e innocente, tale da essere scelto dagli dei come loro messaggero verso l’uomo, per i Romani oltre ad essere un simbolo di fertilità, era un animale degno di essere sacrificato agli dei, soprattutto a Demetra dea dell’agricoltura. Gli antichi Egizi, lo associavano alla siccità, e a tutti quegli eventi meteorologici nefasti, quindi era una potente divinità maligna. La sua importanza nell’antica Società greca, è testimoniata anche dalla sua presenza nell’Eneide di Omero. E’ infatti una scrofa bianca a segnalare a Enea il punto di sbarco, mentre nell’Odissea, la maga Circe trasforma gli uomini in maiali. Per molte popolazioni mediorientali, quest’animale ha rappresentato un tabù religioso che ne proibiva l’allevamento e il consumo, come ad esempio i mussulmani. Fu il Medioevo, il periodo più fosco per quest’animale. Il suo colorito rosa, era visto come un “camminare nudo” quindi simbolo di lussuria e depravazione, sicuramente una creatura al servizio delle potenze demoniache, cosa che in alcuni casi estremi, ha portato alcuni di questi animali a subire un vero e proprio processo, con accusatori, e avvocati difensori, celebrato dalla Santa Inquisizione. Uno di cui si ha notizia, risale al 1235, di un maiale accusato di infanticidio e giustiziato. Di contro, i maiali rappresentavano una risorsa economica importantissima per quel periodo. Allevati nei boschi allo stato brado, avevano tratti morfologici assai diversi da quelli attuali. Più magri, raramente superavano gli ottanta Kg, erano più alti al garrese, e ricoperti da dure setole, provvisti, specie nei maschi, di grossi canini sporgenti come i cinghiali. Addirittura il valore di un bosco era dato da quanti maiali esso poteva sostentare, e dall’importo del “Ghiandatico” la tassa sul pascolo, che il proprietario dei porci doveva pagare al Signore. Si hanno documenti in cui si scrive che il pagamento per la mezzadria di un terreno poteva essere saldato “potest cum honosti XX sus scrofa domesticus”(con venti maiali). Oggi quest’animale è presente in tutto il mondo con centinaia di razze, che accentuano, ed esaltano, alcune sue caratteristiche, come il peso, la consistenza della carne, la quantità di grasso ecc, L’Italia con circa tredici milioni di capi, è uno dei Paesi produttori più importanti, soprattutto per la qualità, e la modernità degli allevamenti, adatti a produrre una delle eccellenze della gastronomia Italiana, i prosciutti D.O.C., e i salumi altrettanto blasonati. Dopo millenni, ancora oggi il maiale non cessa di aiutare la razza umana a progredire. Il suo patrimonio genetico è molto simile a quello umano, e per questo è usato come cavia per importanti ricerche mediche, orientate a sconfiggere malattie degenerative gravi come l’Alzheimer, la Sclerosi Multipla, e altre. Il suo fiuto prodigioso, la capacità del grugno di scavare, e soprattutto l’intelligenza molto spiccata, ne hanno fatto per secoli uno dei più validi aiutanti nella ricerca del tartufo. Alcune razze sono state selezionate per ragioni ludiche, come i “porcellini con la pancia a tazza”, chiamati più comunemente Thailandese o Vietnamita. Di taglia simile a un cane medio, con il manto scuro, il ventre enorme che tocca terra, il grugno rincarcagnato, e le orecchie quasi a coprigli gli occhi, sembra un peluche vivente. L’aspetto simpatico, e buffo, l’indole docile e mansueta, fa si che questi animali siano sempre più presenti nei Parchi Natura, e nelle Fattorie Didattiche, per la gioia dei bambini. Nei miei ricordi di bambino però, è sempre ben viva la gioia che provavo quel giorno speciale di un freddo gennaio, dove, un poco d’impasto di salsiccia fresco, era arrostito su i testi di ferro alla fiamma del camino, destinato solo a noi bambini, una vera e propria golosità, degna della mensa degli dei.

Mario Volpi
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