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Artistica … réclame

Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Oggi tutto ruota attorno alla pubblicità, che è ormai come un mostro incontrollabile che ci ruba la nostra privacy, e spesso ci fa arrabbiare. Un tempo non era così, tutto era a misura d'uomo, magari un po ingenuo, ma aveva un che che la rendeva oltre che accettabile, anche divertente.

Un antico adagio recita” La pubblicità è l’anima dal commercio!” Nulla è più vero, ma nel nostro tempo, questo sistema per reclamizzare i prodotti, è diventato, molesto, becero, e in alcuni casi perfino violento. I martellanti spot televisivi impediscono allo spettatore di gustarsi un film o qualsiasi altro spettacolo privo di tagli e interruzioni, fatti spesso senza alcun rispetto per la trama, o il momento topico di un avvenimento sportivo. Una ricerca su Internet, è costellata da banner intermittenti, per arrivare a vere e proprie arroganti schermate che oscurano completamente quella scelta, per finire poi alle telefonate pubblicitarie alle ore più assurde, o peggio ancora a quelle che tentano qualche truffa, fregandosene della tanta sbandierata “Privacy.” Nelle grandi città poi, gli “stregoni” della pubblicità, ossia le grandi Agenzie, spesso multinazionali, hanno inventato un sistema al limite della legalità, per esporre gigantografie pubblicitarie. Sfruttando le ristrettezze economiche che questa devastante crisi ha causato a molte persone, chiedono a proprietari d’immobili posti su strade a grande scorrimento, o in piazze famose, il permesso di “noleggiare” la facciata dello stabile. Ottenutolo, fanno richiesta al Comune di ristrutturazione, e fanno montare le impalcature, che saranno il sostegno per anni della gigantografia del prodotto pubblicizzato, così con pochi spiccioli dati ai proprietari, ricavano milioni dalle case produttrici, a discapito dei poveri inquilini che si troveranno le finestre oscurate per anni. Un tempo non era così! Agli inizi degli anni sessanta, l’Italia si stava leccando le ferite prodotte della guerra appena finita, e dagli Stati Uniti, cominciavano a essere importati prodotti che da noi non esistevano, quindi si dovevano fare conoscere al grande pubblico. Impresa non da poco in un Paese quasi totalmente privo di Media. Com’era possibile farlo? Con i manifesti da affiggere sui muri! Ma la tecnologia del tempo era abbastanza rudimentale, quindi come si sarebbe potuto fare? Una fotografia dalle dimensioni di un manifesto, oltre a essere irrealizzabile, sarebbe stata costosissima quindi ci si rivolse agli illustratori, e ai tipografi. Questi ultimi, usando la tecnica della stampa offset, erano in grado, dopo che l’artista aveva creato la matrice, di stampare migliaia di copie a un costo relativamente basso. I “pittori,” (al tempo la parola grafico non era ancora stata inventata,) ebbero il merito di disegnare manifesti che non solo facevano conoscere alla popolazione quasi totalmente analfabeta, prodotti semi sconosciuti, ma di farlo in modo artistico. Un esempio di come l’industria usasse gli artisti per pubblicizzare i propri prodotti, si ritrova nella Campagna pubblicitaria che la Pirelli fece nel 1958, affidando la realizzazione della grafica dei manifesti a un’artista svizzera Lora Lamm, che portò una ventata di sensibilità femminile, in un modo che vedeva la donna solo come “utilizzatrice” di alcuni prodotti, scelti e pagati però dall’uomo. Come già detto in precedenza, questi artisti, ebbero il merito di capire e trovare le soluzioni, spesso geniali, per ovviare all’incapacità di lettura della maggior parte dei consumatori, eseguendo il disegno del prodotto ben riconoscibile, con il marchio riprodotto integralmente come sulle confezioni. Per quelli poco noti, inventarono il sistema di mostrare il prodotto “in funzione,” come ad esempio per la pubblicità della Vespa. Si vedeva una coppia seduta come se fosse sopra uno scooter, che però non c’era, con il logo Vespa ben visibile. Questo sistema di pubblicità era usato anche per le locandine dei cinema. Fuori dal locale vi erano riprodotte alcune scene salienti del film. Solo a metà degli anni sessanta, con il crescente numero di persone alfabetizzate, si cominciarono a usare i caratteri di stampa all’interno dei manifesti, ma sempre molto pochi, e a caratteri cubitali. Alcuni di queste campagne pubblicitarie, pur essendo solo disegnate, fecero gridare allo scandalo i bigotti benpensanti. Una di queste fu quella delle prime calze di nylon Malerba. Si vedeva una giovane e bella ragazza in guepiere, con una gamba sollevata intenta a infilarsi le calze. Qualcuno sosteneva che questo manifesto turbasse i bambini. Anche la pubblicità della Copertone, dove un cagnolino tirava il costume a una bambina scoprendogli un pezzo di sederino non ancora abbronzato, dovette subire critiche censorie, cosa che la dice lunga sull’oscurantismo culturale del tempo. Questi veri e propri maghi della grafica riuscivano a “convincere” i potenziali consumatori della qualità del prodotto, tramite il disegno di un soggetto che ispirava fiducia o simpatia. A tal proposito è sempre viva nella mia memoria, quando ero un bambino di sei o sette anni, che mia madre mia mandava a fare la “spesa a lista,” spesso, composta solo da tre etti di pane, cinquanta grammi di Buristo, e un etto e mezzo di spaghetti, presso la Cooperativa del Partigiano. Sulla una delle pareti dello spaccio, vi era un manifesto che reclamizzava il surrogato di caffè La Vecchina. Ebbene quella “nonna” lì riprodotta con la cuffietta, e il bonario viso grinzoso, m’ispirava un sentimento di fiducia e affetto, per qualcosa che, anche se giudicato un bene voluttuario, e quasi inutile, sentivo rappresentare il calore di una casa. Oggi i manifesti originali di quei tempi della Martini, Pirelli, Valda, Campari, Vespa e molti altri, sono considerati dei veri cult, e contesi a suon di migliaia di Euro dai collezionisti, non penso che gli stupidi spot televisivi di oggi subiranno la stessa sorte.
Mario Volpi
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