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Sezione a cura di Mario Volpi
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Giocare al “ruzzolone”

Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
fino a pochi anni fa, le festività Natalizie erano una gioia anche per i genitori, ansiosi di regale ai loro figli giocattoli enormi e magnifici. Oggi tutto questo si è ridimensionato, dove, in una minuscola "chiavetta" vi è un gioco elettronico che permetterà al bambino d'interagire con un compagno in Giappone o in India.

Fino a qualche anno fa, in occasione delle feste Natalizie, si assisteva a una vera e propria corsa all’acquisto di giocattoli. In quasi tutte le grandi catene commerciali, si provvedeva almeno con un mese di anticipo a realizzare uno spazio apposito, pieno di giochi e giocattoli di ogni tipo. Oggi tutto ciò è rimasto un retaggio di un recente passato. L’uso del giocattolo, è una prerogativa di tutti i mammiferi. I cuccioli di questa specie, apprendono, e sviluppano con il gioco, le qualità che le saranno necessarie nella vita da adulti, per la loro stessa sopravvivenza, e per occupare un posto nella scala gerarchica del branco. Non stupisce quindi che anche l’animale uomo, fin dalla preistoria abbia costruito giocattoli per i propri cuccioli. Bambole, e animali in terracotta sono stati rinvenuti nelle tombe di bambini egizi deceduti più di tremila anni fa. L’evoluzione del giocattolo, però, è stata assai lenta, perché considerato da sempre complementare, e non essenziale alla vita quotidiana. Proprio per questo, il balocco, è stato una spia della situazione socio-economica del suo possessore, più questi occupava un posto di prestigio nella Società, più il giocattolo era ricco e prezioso. Bisognerà comunque aspettare gli anni della prima rivoluzione industriale, avvenuta a metà del XVIII secolo, in Gran Bretagna, per vedere un primo embrione di fabbrica di giocattoli. In quegli anni per i figli delle persone più facoltose, soprattutto femmine, nascerà la moda di regalare loro, la casa delle bambole, completa di arredi in miniatura, bambolotti con viso e arti in ceramica, vestiti con preziosi abiti, e con parrucche di capelli veri, per finire con stoviglie in miniatura di maiolica, e perfino in argento. Ai maschietti invece, si regalavano cavalli a dondolo in legno massello, con la testa in cartapesta, carrettini simili alle carrozze vere, da far trainare a cani o pony, trottole multicolori, per finire con i classici e intramontabili birilli. Questi giochi, oltre a stabilire inequivocabilmente lo status sociale degli adulti, avevano lo scopo di preparare i bambini alla loro vita da grandi, ovviamente all’interno di una Società agiata. Per i bambini poveri invece, i giocattoli erano sconosciuti, sia per l’indigenza dei genitori, ma soprattutto per la mancanza di tempo da dedicare allo svago, perché i figli del popolo a quei tempi, erano impegnati nei lavori agricoli, o come apprendisti nella nascente industria. Questa situazione, senza sostanziali cambiamenti, si protrasse fino alle soglie del XX secolo, dove a cavallo delle due guerre mondiali, l’industria del giocattolo, evolse pochissimo, sostituendo la ceramica, e il legno, con il ferro stampato e verniciato. Proprio in questo periodo a Liverpool in Gran Bretagna, verrà lanciato sul mercato un gioco di costruzioni con barrette di ferro forate, viti, e bulloni, che avrà un successo straordinario, il Meccano. I giocattoli, erano per lo più statici, ma ancora estremamente costosi, ad uso e consumo delle classi più ricche. Anche dopo la fine della seconda guerra mondiale, la situazione ludica dei bambini non era cambiata. Noi, nati nel primo dopoguerra nel territorio Apuano, pur nella miseria più nera, avevamo una fortuna, potevamo disporre a dismisura delle “carote,” ossia grossi cilindri di marmo, scarti dalla foratura dei vasi da cimitero. Non sappiamo a chi venne per primo l’idea di costruire “il ruzzolone.” Con un pezzo di filo di ferro, rubato a qualche “ramata” (rete di recinzione) si costruiva una specie di morsa con i capi che stringevano la carota di marmo alle due estremità, dove con un chiodo e un sasso, si praticava un rudimentale foro. Un pezzo di spago completava l’opera, che ci permetteva di correre a perdifiato trainando questo rudimentale “schiacciasassi.” Anche una cerchione di bicicletta senza raggi diventava un fantastico giocattolo. Con un bastoncino era possibile spingerlo a velocità pazzesca, imitando con molta fantasia i campioni di ciclismo del tempo. Poi di colpo avvenne il cambiamento. I nuovi materiali nati durante il secondo conflitto mondiale, e il nuovo modo di utilizzare quelli esistenti, stavano letteralmente rivoluzionando tutti i settori produttivi, tra cui quello dei giocattoli. Nel territorio Bresciano, a ridosso degli anni cinquanta, nascono come funghi aziende che si dedicano alla pressofusione di componenti di alluminio, e delle sue nuove leghe a basso costo. Così, l’uso intensivo della catena di montaggio, rende economicamente conveniente per gran parte della popolazione italiana, l’acquisto di giocattoli metallici di squisita fattura, un tempo quasi impossibili da realizzare, ma soprattutto costosissimi. Riproduzioni di pistole e fucili, modellini di auto, aerei, e trenini, e una varietà pressoché infinita di giocattoli metallici, inondano il mercato. Da li a poco, sul finire degli anni sessanta, dapprima la celluloide, e infine la plastica, aumenteranno ancora di più la disponibilità di balocchi colorati di tutti i tipi, e per tutte le tasche, sia per maschi che per femmine. Negli primi anni ottanta, molti giocattoli saranno elettrici, comandati a distanza con un filo, e quelli più sofisticati, da onde radio. Alcuni diventano un’icona, come la Barbie, una bambolina prodotta in mille versioni dalla Mattel, un’azienda statunitense, o come i famosissimi mattoncini colorati Lego, che prendono il nome proprio dalla fabbrica nata in Danimarca. Ma la svolta, è alle porte. Siamo agli inizi degli anni novanta e l’avvento dell’elettronica sforma giochi che sembrano provenire da un mondo alieno. Robot parlanti e semoventi, automobiline fuoristrada che affrontano ogni tipo di terreno, carrarmati che sparano e agiscono in modo autonomo, bambole che parlano camminano, mangiano, bevono, e che si “ammalano,” per poi miracolosamente guarire con un’iniezione digitale, aeri elettrici che volano comandati da terra con un semplice telecomando, ma soprattutto i primi videogiochi portatili a batteria, come il famoso Game Boy. Questa rivoluzione digitale nel mondo dei giocattoli, evolverà per quasi un ventennio, per poi conoscere una crisi profonda. Oggi il mondo ludico dei bambini è cambiato rapidamente, tanto che grandi aziende come l’italiana Furga, leader nella produzione di bambole, saranno costrette a chiudere i battenti, proprio come la statunitense Toys R, un vero colosso nella produzione di giocattoli, che ha dichiarato bancarotta nel 2017. Oggi i giochi dei bambini sono digitali, e si svolgono al computer, o su consolle apposite in sessioni on line con compagni sconosciuti residenti in tutto il mondo. I giocattoli di oggi non vengono più fabbricati dai “folletti” al Polo Nord, nella fabbrica di Babbo Natale, ma in fantascientifici laboratori, dove ingegneri informatici e programmatori, con fervida fantasia creano paesaggi e avventure virtuali fantastiche. Questo è il progresso, ma io sono certo, che i bambini di oggi, non proveranno mai l’ingenua felicità, di quel ragazzino scalzo, e in calzoncini corti, che, con una schiera di amichetti reali e chiassosi, correva a perdifiato, trainando il ruzzolone.
Mario Volpi 22.12.21
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