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Sezione a cura di Mario Volpi
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Un vero galantuomo

Nulla è come appare
Spetta/Le Redazione
Quando una persona muore, al suo funerale tutti lo ricordano come "una gran brava persona" ma sarà davvero sempre vero?

C’era tutto il paese di Savignano al funerale di Luigi. Tutto era accaduto due giorni prima, così, all’improvviso, praticamente sotto gli occhi di tutti. Era domenica mattina e come il solito Luigi con alcuni confratelli della Misericordia di cui era Presidente, stava raccogliendo le offerte per i poveri davanti alla Chiesa del paese. Mentre Don Guido si stava avvicinando per salutarlo, Luigi stralunò gli occhi, e con un grido crollò a terra. Il medico disse poi che certamente con un infarto di quella gravità, l’uomo era già morto prima di toccare il suolo. Benvoluto da tutti, non solo per le sue opere benefiche, ma soprattutto per il suo carattere gioviale, Luigi era quello che si diceva un vero galantuomo, oltre che una buona forchetta, e i suoi 130 chili. erano lì a dimostrarlo. Anche se appena sessantenne, era affetto da una grave forma di diabete, aggravata da una situazione d’ipertensione che lui sembrava sottovalutare, nonostante le raccomandazioni del Dott. Martini, suo amico fin dall’infanzia. Orfano di guerra, Luigi non aveva avuto una vita facile, ma con caparbietà, e con il suo lavoro, era riuscito a diventare un imprenditore di successo, senza più problemi economici, quasi a riscattare la vita di stenti e rinunce della sua infanzia. “Figlio unico di madre vedova,” come si diceva al tempo, era stato cresciuto con immensi sacrifici dalla madre, che gestiva un piccolissimo negozio di ferramenta a pianterreno della loro casa appena fuori del paese. Iscritto ad agraria, dopo appena due anni lasciò la scuola, e si buttò anima e corpo nel rilancio del negozio, che ormai stava languendo. Aveva un vero e proprio talento per gli affari. Capì subito che viti, bulloni, e chiodi, non erano più necessari ai suoi nuovi conpaesani, composti nella quasi totalità, di piccoli proprietari di seconde case ristrutturate, con orti e giardini annessi, che essi erano desiderosi di curare, possibilmente senza troppa fatica. Eravamo alla fine degli anni settanta, e se pur giovanissimo, riuscì a convincere una grande Azienda che produceva macchine agricole, e attrezzature da giardino, ad affidargli alcuni articoli in tentata vendita. Il vecchio, e semibuio negozio, non era adatto a quello che lui aveva in mente, così pensò di rimodernarlo, con modica spesa. Gettò via i vecchi scafali, rinfrescò le mura con una mano di vernice, poi usando sapientemente del semplice cartongesso, qualche specchio e alcuni faretti alogeni, trasformò il decrepito negozio in uno scintillante salone da esposizione. Incredibilmente in meno di un mese vendette tutti i macchinari, così pian pianino allargò sempre più la sua attività lavorativa fino a diventare un punto di riferimento, per la vendita di attrezzature agricole e da giardino di tutta la provincia. Alla morte della madre, ristrutturò in modo radicale la casa, creando un enorme salone espositivo con negozio al piano inferiore, mentre quello superiore divenne la sua confortevole abitazione. In pochi anni acquistò anche delle vecchie stalle lì accanto trasformandole in magazzini, e in una piccola officina dove un giovane meccanico reclutato in paese, dava assistenza ai clienti. Ormai il suo fatturato annuale era più che ragguardevole, così poteva permettersi il lusso di trattare con le Aziende produttrici, ottenendo merce in tentata vendita, e acquistando interi lotti di macchinari in cambio di grossi sconti, cosa che gli permetteva di essere concorrenziale nel prezzo al pubblico. L’unico neo della sua vita era ormai quello sentimentale. Da sempre in sovrappeso, aveva una scarsa fiducia in se stesso, cosa che lo metteva in grande imbarazzo nel rapportarsi con il gentil sesso, e pensare che in paese moltissime ragazze, forse anche per la sua situazione economica, lo giudicavano un “ottimo partito.” Nei primi anni novanta, una delle sue Ditte fornitrici, gli regalò un viaggio premio con soggiorno di quindici giorni in Germania, dove risiedeva la Casa madre. Era alloggiato in una graziosa pensioncina, alla periferia della grande zona industriale, dove, per la prima volta nella sua vita, il richiamo dei sensi si fece sentire in modo forte e repentino, tanto che egli, quasi senza accorgersene, prese una cotta per Olga, una delle cameriere della pensione, appena venuta dalla Germania dell’Est, dopo la caduta del muro. Dopo un altro paio di viaggi, questa volta a proprie spese, Luigi convinse Olga a seguirlo in Italia. Dopo meno di un anno la sposò, con una cerimonia così sfarzosa che in paese la ricordano ancora adesso. Olga era una bellezza tipica dell’Est europeo. Carnagione bianchissima, il bel volto con qualche graziosa lentiggine, era caratterizzato da due occhi di un azzurro profondo, ma ciò che colpiva maggiormente del suo aspetto, erano i capelli, lunghi e fluenti, avevano riflessi di un biondo carico che ricordava il grano maturo. Alta, formosa pur essendo longilinea, era sempre allegra, e parlava volentieri con la gente, così dopo alcuni mesi necessari per districarsi un po’ con la lingua, Luigi la portò in negozio, con l’intenzione di insegnarle il mestiere di venditrice. La ragazza era così bella e brava, che in poco tempo, le vendite aumentarono sensibilmente, e stranamente, tutti i clienti maschi, volevano essere “serviti” dalla bionda commessa. Quest’atteggiamento suscitò in Luigi un sentimento di gelosia che aumentava sempre più. Tra i due cominciarono le prime liti, diventando sempre più frequenti e violente, fino a quando un brutto giorno, Luigi, con le lacrime agli occhi, disse all’amico dottore che Olga lo aveva abbandonato per tornare in Germania. Lo sposo abbandonato ebbe la solidarietà di tutto il paese, e fu aiutato psicologicamente anche dai compagni della Confraternita, che raddoppiarono gli sforzi per consolarlo. Da quel triste periodo molti anni erano passati e Luigi non aveva mai più provato a risposarsi, buttandosi anima e corpo nel lavoro. La sua vita era proseguita senza scosse nei decenni seguenti, prodigandosi con sempre maggior impegno nelle opere benefiche, e facendo esso stesso corpose donazioni, fino a quella tragica domenica. Dopo circa un mese dalla morte, una delle Ditte che gli affidava macchine in tentata vendita, essendo Luigi senza eredi, fece richiesta al Sindaco di potere rientrare in possesso dei propri beni. Così ieri mattina di buon’ora, alcuni furgoni sono arrivati, e alla presenza del Sindaco, e del dottore suo amico, hanno aperto le porte e sono entrati, ma le loro macchine erano nel magazzino accanto, apertolo, hanno cominciato a caricare il macchinario, quando l’operaio che manovrava il muletto, fece una manovra errata, e una delle forche urtò una finta parete in cartongesso, che in una nuvola di polvere crollò. L’operaio del muletto scappò urlando, e poco dopo anche il sindaco uscì per vomitare, mentre il dottore chiamava i carabinieri. In un sacco di plastica trasparente, il corpo di una donna ormai mummificato era tenuto in verticale con cinghie di plastica fissate al muro, di quell’ammasso in putrefazione erano ancora riconoscibili solo i capelli, biondi, setosi, con riflessi che ricordavano il colore del grano maturo.
Mario Volpi 23.1.21
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