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Sezione a cura di Mario Volpi
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Pestis et Lepra

Una Volta Invece
Spetta/le Redazione
In Era medievale, il territorio Apuano, forse a causa della vicinanza della via Francigena e dei porti di Genova e Pisa, fu teatro di furiose epidemie di peste. Diventata endemica, queste epidemie si ripetevano dopo circa due o tre anni, mentre la lebbra era sempre presente.

La pandemia di Covid 19 che ha colpito in Era moderna l’intero pianeta, è stata devastante, non solo per la sua contagiosità, e la sua potenza letale, ma soprattutto perché si pensava erroneamente che il genere umano fosse ormai al riparo da queste epidemie, che credevamo retaggio di un lontano ed oscuro passato. Per secoli, infatti, il lungo cammino evolutivo dell’umanità, è stato tragicamente scandito da devastanti epidemie, che in qualche caso hanno messo a rischio addirittura la sopravvivenza di tutto il genere umano. In Italia questo è successo con più frequenza in luoghi geografici ben precisi, ovvero, dove sorgevano i maggiori porti commerciali del tempo. Genova, Venezia, Pisa e Amalfi, queste città, non ha caso chiamate Repubbliche marinare, erano la porta d’ingresso principale non solo per l’Italia, ma per l’intera Europa. Questo comportava il transito di merci e persone provenienti da tutto il mondo al tempo conosciuto, con il rischio di importazione, e contagi di malattie infettive, come la peste, praticamente in tutto il Vecchio Continente. Si pensa che il principale veicolo d’infezione di questa malattia, fossero i topi, che infestavano le stive delle navi. Il territorio Apuano al tempo, era noto non certo per il minuscolo Marchesato di Carrara, passato nel corso dei secoli sotto innumerevoli dominazioni, ma solo ed esclusivamente per il suo marmo, e come punto di transito di vitale importanza per il pellegrinaggio religioso; la via Francigena. Questa importantissima strada medievale, partiva da Canterbury, in Inghilterra e dopo aver attraversato l’Europa, scendeva verso Roma, e i porti di Bari, Brindisi, e Otranto, dove ci s’imbarcava verso la Terra Santa. Nella piana di Luni, dove attualmente si trova la cittadina di Sarzana, e un tempo anche l’antica Lunae, vi era la deviazione che portava i pellegrini verso la Galizia in Spagna, sulla costa atlantica, dove sorgeva il Santuario di Santiago di Compostela, la meta del loro viaggio. E’ bene specificare che la Francigena non era certamente come noi oggi immaginiamo una strada, ossia un percorso ben segnato e definito, bensì poco più di un fascio di sentieri, largo chilometri, dove le deviazioni erano frequenti per eventi naturali, come frane o allagamenti, ma anche per sfuggire ai “rubatori delle strade,” come al tempo chiamavano i briganti. I porti commerciali di Genova e Pisa, e i viandanti sulla Francigena sono stati per secoli una benedizione, e una mortale maledizione per le genti Apuane. Fonte di benessere economico, ma anche portatori inconsapevoli di terribili malattie, questi “stranieri” furono gli untori che scatenarono in questo territorio devastanti epidemie. Così a partire dal 1347 anno d’inizio della terribile pandemia di peste bubbonica, ribattezzata poi peste nera, che causò in Europa quasi quaranta milioni di morti, ciclicamente a distanza di pochi anni queste pandemie, nel territorio Apuano si ripetevano. C’è comunque da sottolineare che oggi, noi non siamo sicuri che queste epidemie fossero proprio di peste, e questo sostanzialmente per due motivi. Il primo riguarda proprio il nome “Pestis,” con cui a quel tempo era chiamata qualunque malattia contagiosa in grado di fare parecchie vittime in modo simultaneo. La seconda, per la totale assenza di qualsiasi documento che ne parli, perché, dato il carattere “fumino” dei carraresi, con ciclica continuità, durante le frequenti sommosse nei confronti del potente di turno, venivano appiccati incendi nei palazzi del potere, con conseguente distruzione degli archivi. Vi sono però fatti oggettivi che fanno pensare che per difendersi al meglio da queste pandemie, i carraresi, si siano sempre di più isolati nei “Paesi a Monte,” tutt’oggi esistenti, ovvero paesini completamente chiusi agli stranieri in cui il contagio aveva difficolta a penetrare. Facevano eccezione a questa regola, i Paesi di Casaponci (oggi Castelpoggio) e Gragnana. Posti proprio sull’antichissima via del sale, diventata poi un ramo secondario della via Francigena, questi Paesi, proprio perché frequentati giornalmente da viandanti conobbero frequentemente devastanti epidemie, tanto che proprio nelle vicinanze di Castelpoggio esisteva uno Ospitale, che oltre a dare assistenza ai pellegrini, curava anche gli ammalati. Che i viaggi al tempo fossero pericolosi proprio a causa di malattie come la peste, è testimoniata dal Santuario di Nostra Signora del Mirteto di Ortonovo. Sorto come luogo di sepoltura per i pellegrini morti durante il pellegrinaggio, fu fondata in epoca medievale, a poca distanza dalla Francigena, dalla Confraternita dei Disciplinati, frati laici dediti al culto della Madonna, cui donavano il loro sangue che ottenevano sferzandosi la schiena. Si ha sporadica notizia tramite un documento ritrovato a Genova, dove si parla di una vera e propria ecatombe di morti tra Carrara e Massa durante la furiosa pestilenza che costò a Genova oltre 100.000 morti, avvenuta nel 1656. Questa senza dubbio fu la pestilenza  magistralmente raccontata dal Manzoni, nel suo “I promessi sposi.” Misteriosamente, nel XIX secolo, la peste scomparve improvvisamente dal continente Europeo. In epoca precedente all’ Era medievale però, era presente in Asia e Africa un’altra malattia, chiamata allora ”Lepra.” La lebbra che secondo alcuni studiosi, ha causato anche se in forma indotta, più vittime della peste, è una malattia contagiosa, che anche se oggi se ne conosce bene il bacillo responsabile della sua diffusione, e ancora un vero mistero. Attacca con una forma di dermatite che non guarisce, la pelle soprattutto del volto, deformando il naso, e danneggiando i nervi periferici, cosa che fa perdere la sensibilità spesso con esiti invalidanti. Si pensa sia stata portata in Europa dai soldati di Alessandro Magno, ed era considerata, proprio per la sue caratteristiche ripugnanti, più che una malattia, una punizione del divino contro il malato. Con un periodo d’incubazione da poche settimane, a quasi dieci anni, era a lenta evoluzione, tanto che raramente portava alla morte, in quanto malattia, ma spesso era concausa dei decessi per le privazioni, che il malato del tempo doveva subire. Il lebbroso era spogliato di ogni suo avere, e spedito, senza il conforto dei famigliari, in qualche lebbrosario, dove vigeva la legge del più forte, e l’assoluta mancanza non solo di cure ma anche di cibo. La lebbra ha colpito duramente tutta la costa tirrenica da Genova fino a Pisa, forse, ma sono solo ipotesi, per gli insetti che questa zona al tempo acquitrinosa, contribuivano con le loro punture al diffondersi della malattia. Si pensi che solo nella vicina Lucca erano attivi più di 5 lazzaretti dedicati ai lebbrosi. Il lebbroso oltre a vestire di grigio o nero, doveva annunciare il suo arrivo con il suono di una campanella, e non toccare assolutamente nulla, addirittura gli era vietato anche dissetarsi alle pubbliche fonti. Spesso il malato era arso vivo dalla folla spaventata per la sua presenza, o per scacciarlo, bastonato fino alla morte. La lebbra ebbe la sua massima diffusione durante la prima Crociata, dove colpì numerosi uomini d’armi. Data la sua lenta evoluzione. la Chiesa pensò di sfruttare questa cosa a proprio vantaggio, formando un Ordine cavalleresco, il San Lazzaro di Gerusalemme. Quest’Ordine era composto quasi esclusivamente da cavalieri lebbrosi, ed era temutissimo dai nemici, timorosi non solo per il filo delle loro spade, ma soprattutto terrorizzati di contrarre la malattia. Oggi perfettamente guaribile, la lebbra pur ancora presente, non è più considerata pericolosa, poiché ogni anno si registrano meno di settecento casi nel mondo.
Mario Volpi 21.3.21
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