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Una cattura eccezionale

Mare Apuano
Negli anni sessanta, erano molte le piccole località, che per diversi motivi, non riuscivano a usufruire del momento economico favorevole che l’Italia stava vivendo. Una di queste era Marina di Carrara. Priva di aziende manifatturiere, escludendo il cantiere navale, la sua economia ruotava principalmente sulle attività commerciali del Porto e dell’estrazione del marmo. Al tempo l’organizzazione del lavoro all’interno dello scalo marittimo era alquanto approssimativa: per caricare e scaricare i “vapori", come in dialetto erano chiamati i cargo, non vi erano dei lavoratori fissi, ma all'occasione alle sette del mattino facevano  la “busca” o "chiamata", ossia tra gli uomini che si presentavano per lavorare venivano reclutati solo quelli necessari per quell'operazione specifica di quel giorno, mentre tutti gli altri erano rimandati a casa. Queste persone erano chiamati “Buscaiol”avevano paghe da fame e l’incertezza della continuità del lavoro. La meccanizzazione odierna e l’uso dei containers erano aldilà da venire, per cui, per caricare ad esempio granulati di marmo, era necessaria una lunga e faticosa operazione: il granulato, scaricato nei piazzali del Porto alla rinfusa, era insaccato a mano con la pala in sacchi di juta dal peso di circa cinquanta chilogrammi, per essere poi trasportati e stivati, sempre a mano, sulla nave. Un lavoro semplicemente massacrante e purtroppo neanche fisso, spesso accadeva che per diversi giorni al mese parecchie persone rimanevano senza occupazione e quindi senza sostentamento finanziario. In queste condizioni, era logico che molti di questi “operai a chiamata” per sostentare la famiglia si dovessero arrangiare con un secondo, o a volte anche un terzo, lavoro. Alcuni, per il loro carisma o simpatia, erano conosciutissimi e sempre al centro dell’attenzione dell’intera comunità. Uno di questi era certamente Fernà. Ferdinando, questo era il suo nome per intero, era nato e cresciuto a Marina di Carrara, e lì aveva passato tutta la sua vita. Lavorava al Porto, ovviamente quando veniva chiamato,  e il resto del tempo lo passava a bordo del suo piccolo gozzo, dove  poteva così coltivare la sua passione per la pesca ma soprattutto cercare di mettere insieme il pranzo con la cena per la sua famiglia che era composta da cinque persone.. Ferdinà, uomo di poche parole, all’apparenza poteva sembrare burbero e taciturno ma in realtà aveva un gran cuore, ed era probabilmente uno dei migliori pescatori della zona. Con la sua ironia era sempre pronto alla battuta. Quando gli altri pescatori vedevano rientrare il suo gozzo si precipitavano sul pontile ad aspettarlo per vedere com’era andata la pesca, ma soprattutto per sapere quale fosse stata la zona così pescosa. Ovviamente come vuole la regola del buon pescatore anche lui era bugiardo, quindi, se aveva avuto fortuna tra il porto e la Magra, diceva che era andato dalla parte opposta: - A son andat al gratacel: - Ma questa regola non sempre era rispettata e proprio per lasciare dei dubbi, tra una risatina sotto i baffetti e una tirata all’alfa senza filtro, a volte diceva anche la verità. Alto e massiccio, pesava all’incirca un quintale, faceva la spola con la  bicicletta tra il mare e la sua casa. L’espressione stralunata e il naso leggermente adunco gli avevano fatto meritare il sopranome di Barbagian, (barbagianni), ben presto abbreviato in Barba. Con il suo gozzo, cercava di trarre dal mare il massimo profitto, usando strumenti da pesca per lo più artigianali, auto costruiti, come le nasse con all’interno fascine di lentisco. Quest’artifizio, era posto sul fondo del mare nel periodo in cui le seppie venivano verso riva per deporre le uova. Sfruttava così l’abitudine di questi cefalopodi di deporre le uova all’interno di detriti legnosi sul fondo per il suo scopo: catturare seppie femmine. All’interno della nassa restavano quindi prigioniere seppie in prevalenza femmine, così, il Barba, che era uno dei pochi che sapeva distinguere i due sessi, ne attaccava una viva a una lenza senza piombo che poi gettava in mare. Il maschio vi si avvinghiava, così quando Ferdinà sentiva lo strappo, tirava su il tutto verso la barca e agguantava con un retino, femmina e spasimante, prima di ributtare lei  in mare per un’altra cattura. Quest’originale sistema, dava la possibilità, in una giornata buona, di vendere una parte delle prede per racimolare “do bagaron” (due lire), oltre a fornire cibo per pranzo e cena per l’intera famiglia. Quando il mare era grosso e non poteva uscire con il  gozzo  pescava all'interno del porto e otteneva ottimi risultati usando il formaggino "tigre" e il barattolino dello yoghurt: dalla banchina del porto lanciava 4 o 5 lenze senza piombo, su di un grosso amo amalgamava il formaggino e dopo aver lanciato aspettava che l ‘esca  arrivasse sul fondo, poi  legava il filo  della lenza al  barattolino vuoto di yogurt che fungeva da segnale. Quando il barattolino iniziava a muoversi correva sulla banchina e con un incoccio secco e deciso strappava al mare grossi “ragni” ( spigole) che erano destinati al medico del paese . Il Barba, possedeva anche un centinaio di metri di reti a “tramaglio” che posizionava la sera nella vicinanza della scogliera per insidiare i pesci con abitudini notturne. Le catture erano per lo più, composte dai pochi pregiati cefali. La sua notorietà raggiunse l'apice a metà degli anni '70. Era il 17 luglio del 1975 e a due miglia dalla costa, mentre recuperava le reti Fernà sentì tirare in maniera violenta, le reti sembravano fossero impigliate in un grosso ostacolo, poi la forza del pescatore ebbe il sopravvento e a pelo d’acqua affiorò un magnifico pesce Angelo. Al rientro in porto,  tra la curiosità della gente, dovettero usare per sollevare il grosso pesce addirittura  un paranco. Per giorni e giorni a Marina non si parlò d’altro che di quella cattura da record. Il pesce anche se non proprio del tutto commestibile fu segato a tranci, in parte venduto e in parte regalato a parenti e amici. Anche sua moglie Andretta era una persona in gamba e  pronta a sfruttare ogni occasione per racimolare qualche lira  per mandare avanti la famiglia. Come la maggior parte dei marinelli che possedevano una casetta vicino al mare anche loro affittavano una camera della propria abitazione ai “bagnanti” milanesi. Nell’affitto oltre all’alloggio era compreso anche il vitto serale che era rigorosamente a base di pesce. Un giorno la sorte volle che Fernà facesse un magro bottino e  portasse a casa solo una manciata di acciughe e  fu in quella occasione che la moglie escogitò il modo per sopperire alla cena. Come da copione i villeggianti al rientro dal mare dopo  aver fatto la doccia ed essersi cambiati si ritrovavano nella sala da pranzo per la cena  dove gustarsi un bel piatto di pesce fresco locale. Quella sera Andretta portò in tavolo un enorme vassoio di pesce fritto, ma un po’… speciale. Si perché, per ovviare alla mancanza di pesce mescolò le poche acciughe a 2 kg di “pesce senza lische”che in realtà erano delle barbe fritte. Nonostante tutto, questo insolito menù fu apprezzato e richiesto per anni dagli ignari bagnati. Il ricordo di Fernà, peloso, e bruciato dal sole, è rimasto per molto tempo vivo nei ricordi della gente di Marina di Carrara, quasi a simboleggiare come anche le difficoltà più grandi possano essere mitigate con l’ingegno e un sorriso, ma anche quei pesci senza lische dell'Andretta passarono alla storia.

PierBin - Mario Volpi
10 maggio 2018.
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