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Marina mercantile carrarese

STORIA
Il Porto di Carrara, decisamente creato dalla distruzione della Colonia Romana di Luni e naturalmente del suo porto, sul lato di Fiumaretta sul delta del Magra e la città arrivava sin quasi all’attuale via Aurelia. Luna/Lunae o Luni, nata nel 177 a.C. dopo la sua chiusura e trasferimento nella città, per quanto possibile, a Sarzana, decretato dal Vescovo Gualtiero II dal 1201 al 1204, dopo massacri e saccheggi di stranieri giunti dal mare, ne completò l’atto di morte. Si diede impulso ad argomentare la fattibilità di un porto a Marina di Avenza (poi Marina di Carrara), per la spedizione di blocchi, lastre e lavorati lapidei, tramite naves lapidariae, specialmente verso Ostia e proseguire per Roma ed in altre parti del mondo (vedi Storia del Porto di Marina di Carrara). Comunque i navicelli trovavano sicuro riparo alla foce del Magra, perlomeno fino al 1902, quando una tremenda e devastante burrasca spazzo via molte imbarcazioni, compreso quello della famiglia Fabbricotti: Carlaz fece tendere una fune dall’albero dal suo navicello sino ad un albero della riva e trassero in salvo molte persone bloccate tra una imbarcazione e altre, ormai in balia di venti e mareggiata, tanto da decorare il giovane Carlaz, per l’atto di coraggio, di medaglia d’argento al valore civile.
Ciò portò discussioni affrontando problemi molto importanti che furono decisivi per Marina di Carrara, tanto da infervorire molti industriali versiliesi, in particolare i Picchiotti di Limite sull’Arno, gli stessi che nel dopoguerra realizzarono i futuri Cantieri Navali Apuania, (con altri nomi), trasferendo le maestranze da Viareggio alla nostra Marina. Ma l’industria cantieristica non andava bene, per cui i opifici vennero venduti e passarono per diversi proprietari, sino al 1945, quando le truppe germaniche delle SS, cannoneggiarono quanto era stato costruito, ed in seguito nell’immediato dopoguerra, una mareggiata demolì quanto veniva costruito sulla spiaggia, nei pressi dell’ex bagno Umbertino. Iniziarono, a rimettere in piedi negli anni 1946-55, famiglie di industriali carraresi e marinelli. Nel 1851 l’industriale inglese William Walton, per concessione del Ministero dell’Interno del Ducato, fece costruire un ponte caricatore in legno verso il mare aperto per più di cento metri di lunghezza con due binari ferroviari ed una gru meccanica da 12 tonnellate, ed i successivi pontili, impiantati da altri industriali del marmo, tutti in legno di varie lunghezze, furono distrutti e rimpiazzati da costruzioni di cemento in pieno mare, tanto da creare banchine di carico e l’immagine di un futuro porto mercantile, che nell’ultima guerra 1940-45, le attrezzature vennero  cannoneggiate dalla Punta Bianca, da germanici SS, Schutz-staffeln =  («squadre di protezione»), lasciandoci un cimitero di macerie, che pian piano, imprenditori vari, cominciarono a impiantare il nuovo porto, dando lavoro a marinelli e stranieri. Furono incamerati dalla Porto SpA  il personale della Cooperativa Lavoratori Portuali, con la sede dietro e laterale all’ex Hotel Mediterraneo, ed un bel giardino sul davanti, dopo la Caserma della Guardia di Finanza. Dal dopoguerra è ufficialmente cominciata la strada dei nostri portuali (prima a Genova dove avvenivano le chiamate, a La Spezia, a Livorno, poi a Marina di Carrara), Si incrementarono le scuole di istruzione marittima in tutta Italia. A Marina, nacque nel 1936 col nome di ENEM (Ente Nazionale di Educazione Marinara), una scuola benemerita destinata a qualificare come padrone marittimo, chi volesse avere la qualifica di comandante di navi o di motorista navale. Oggi si chiama IPSAM (Istituto Professionale di Stato per le Attività Marinare), intitolato a Michele Fiorillo, valoroso comandante che salvò alla Partaccia due incaute bagnanti. Istituto frequentato da tutti i lavoratori marittimi, mentre prima che nascesse, dovevano recarsi chi a Lerici, la Spezia, Genova, Livorno, Grosseto, ecc. –
Un bel video su internet: http://www.zapmeta.it/video/?q=vela+toscana&v=j_zgc-9NZzc
Ripreso a Marina di Carrara e Isola Capraia.
Non dimentichiamo il Club Nautico, sorto nel 1953 per la vela sportiva Canottieri, con Mario Frugoli dal 1955 e per vent’anni alla presidenza, dove sono passati tutti i migliori marittimi carraresi, anzi marinelli. Ricordiamo, uno per tutti, Emilio Vatteroni, ingegnere navale: suo il progetto del fabbricato dove tutt’ora ha la sede il Club Nautico a Marina.
Ma ci sono anche, oltre ai Protagonisti, gli armatori, il porto, i cantieri, la marineria da diporto, la vela sportiva (Canottieri), tutte occupazioni intercambiabili, ma in questo elenco esaminiamo i cosiddetti “Protagonisti”, ovvero, mozzi, marinai e capitani comandanti vari.
Nella Marina Militare, grado degli ufficiali superiori (specialmente nei periodi di guerre), marina militare, comprende le varie unità e situazioni di conflitti.
- capitano di vascello, equivalente al grado di colonnello nell'esercito.
- capitano di fregata, equivalente al grado di tenente colonnello nell'esercito.
- capitano di corvetta, equivalente al grado di maggiore nell'esercito.
- capitano di porto, comandante della capitaneria di porto.
Nella Marina Mercantile, chi ha il comando di una nave, di una flotta (esiste anche un’arte marinaresca), marina mercantile, che comprende il trasporto di merci, lo svolgimento di determinate attività commerciali o il trasporto di passeggeri.
- capitano marittimo, nella marina mercantile, qualifica professionale degli ufficiali di coperta e di macchina.
- capitano di lungo corso, capitano marittimo abilitato al comando di una nave di qualsiasi tonnellaggio senza limiti geografici.
- capitano di armamento, chi è responsabile dell'armamento e del rifornimento di una flotta mercantile.
- Mozzo = ragazzo dai 7 ai 15 anni arruolato un tempo a bordo dei velieri. I “mozzi” lavoravano senza alcuna retribuzione, soltanto un comandante poteva offrirgli una “mancia”, Oggi marinaio dell'attuale marina mercantile che non ha superato i 18 anni di età e ha meno di due anni di navigazione.
I singoli personaggi sono sicuramente tanti, direi troppi, per una storia completa, che non basterebbe un grande volume, né ad elencarli (quelli soltanto di Carrara). Nella Marina Militare, i caduti, dal 1921 al 1924 risultano 185, la maggior parte nel Mare Mediterraneo, come riportati nelle ultime pagine del grande volume di Romano Bavastro “Le Vele del Marmo”. NON sono compresi i caduti dal 1925 almeno sino al 2000, comprese le grandi guerre che sarebbero veramente troppi per elencare: nella guerra di Spagna, nelle guerre coloniali, nella grande guerra mondiale 1940-45 !
PROTAGONISTI
Tener presente che quasi tutti avevano un soprannome, per distinguersi da cognomi uguali,
messi tra parentesi oppure evidenziati in corsivo.

  • ALIBONI
Giuseppe detto "Beppone" era un capitano di quelli con la C maiuscola. Originario di Forte dei Marmi non perse mai il suo accento e il suo dialetto. Ha comandato navicelli ed altre barche, l ultimo fu l' Ersilio. Conobbe Elvira a Marina, ed ebbero dieci figli,due dei quali, Enea e Virginio anch'essi uomini di mare.

  • ALBERTONI - BRUZZI
I nonni materni di Walter  ebbero il cognome Bruzzi.
Ubaldo ALBERTONI, pioniere di meccanici e motoristi navali.
Walter ALBERTONI, figlio di Ubaldo e nipote di Alessandro, insegnante anche alla scuola Enem,
per insegnare il mestiere ad allievi ed . . . allieve (durante la guerra, che imparano a manovrare attrezzi e saldatrici per riparare motori in avaria, mentre gli uomini erano al fronte). S’imbarcherà in diversi motovelieri, ma nel 1925 incapperà in naufragio in seguito ad una bufera di mare e di vento lungo la costa antistante Tropea (VV).
Giuseppe e Agostino, figli di Walter, motoristi a bordo e motovelieri ed altre imbarcazioni.
Alessandro BRUZZI, nonno materno di Walter, con sei figli, e tutti naviganti
Angelo BRUZZI, a 77 anni, comandava uno yacht d’imprenditore tedesco.

  • AMBROGI
Filippo AMBROGI (Baruffa), comanda il navicello “Giannina”
Carlo AMBROGI (Coreggia), fratello di Filippo, a bordo del brigoletta “Giosuè Carducci” per
incrociare nel Mediterraneo, raggiungendo anche il Nord Europa. Durante la guerra fu catturato dagli inglesi e vi rimase sino alla fine, con tutto l’equipaggio.
(Brigoletta = brigantino + goletta = brigoletta !)
Bruno AMBROGI, foglio di Carlo, pittore, ma opta per il mare, diventa padrone marittimo, ma la
guerra lo coglierò nei mari della Liguria di Ponente.
Giuseppe AMBROGI, figlio di Carlo, salpa sulla “Irene”, costruita in cemento e sulla
“Arenzanella”, prima di passare al diporto su yachts.
Carlo e Paolo Ambrogi, figli di Giuseppe, proseguono nella tradizione di famiglia.
Paolo Ambrogi, figlio di Carlo, non asseconda il padre come vorrebbe, per cui è messo in disparte

  • ANDREANI
Giovanni ANDREANI, detto Gat Ros, nel 1923 padrone marittimo, al comando della “Annina, che
rotta prevalentemente verso il Sud Italia, con trasporti di merci e marmi, con profonda conoscenza dei mari, partito da Marina agli inizi del 1941, tornò verso il 1943. Varie esperienze marittime lo portarono da motorista a divenire uomo di fiducia di Al Fayed.
Giuseppe ANDREANI, figlio del precedente di cui ha ereditato il soprannome Gat Ros.

  • BARATTA
Gino BARATTA, nato nel 1870, comandò a Marina il più grosso navicello dell’epoca, ma la sua
storia è legata al clima politico del ventennio mussoliniano.
Giuseppe detto Bruno BARATTA, figlio di Gino, comanderà varie barche. Sulla rotta Palermo-
Savona, il comandante decise di deviare su Marina per salutare i parenti, ma il bastimento appena attraccato, in messo apparve sul pontile con l’elenco di giovani del 1920 che dovevano sbarcare per la visita militare. Era amico del pittore Matisse e negli ultimi anni del celebre pittore, Baratta era con lui.

  • BERNARDINI
A Sidney i nostri marinai sono stati pregati dai familiari di rintracciare un conterraneo che è in Australia da molti anni:
Alberto BERNARDINI. Da quando rispondendo a quel richiamo del sangue così
diffuso fra la gente di mare, imbarcandosi come mozzo su un veliero ad appena 17-18 anni – Bernardini nacque nel 1900 – il battello fece naufragio nelle isole coralline dell’arcipelago della Malesia. Albertoni e i sui compagni camminano sulla banchina del porto e pensano a quali porte bussare per almeno tentare una ricerca. E’ passeggiando verso la stazione marittima per informarci sull’ubicazione del Consolato italiano, sfiorano un uomo con fischietto che dà ordine ai portuali. E’ quest’ultimo, sentendoci parlare in una lingua a lui familiare, a fermarli ed a chiedere da dove vengano. E’ quello l’uomo che cercano: il Bernardini naufragato adesso a capo dei portuali della città australiana. Se il mondo è tradizionalmente piccolo, per i marinai marinelli gli oceani che dall’inizio della loro storia hanno sempre intrepidamente attraversato, sembra assumere l’entità di pozzanghere. Baci e abbracci con l’esiguo tempo a disposizione, prima che la nave riparta, per affidare ad Alberto Bernardini, un giovane nipote
Cesare Bernardini (Cè) che in seguito in seguito metterà su un’attività nientemeno
che in Nuova Zelanda, a Aukland, località divenuta celebre in occidente, solo dopo le fasi finali dell’American’s Cup di fine secolo. I Bernardini avevano anch’essi una piccola storia da raccontare in famiglia.
Giovanni BERNARDINI (Giovannin), nato nel 1896 aveva comandato il
“Giorgina” una motonave da 300 tonnellate con una caratteristica: fu il primo con il “Meta” e l’“Adelaide” con lo scafo in acciaio.
Sinebaldo BERNARDINI detto Pupon gli era succeduto sullo stesso veliero  
Ferdinando (Finandin) aveva comandato il “Vera Unione” e, cedendone poi la
guida al figlio Nandino, il “Maria Gattini”.

  • BIGGI
Luigi BIGGI (Zigalin), toscanaccio, pestato da squadre fasciste, passa da padrone sulla motonave
“Burlamacca”, ma presto si indirizza sul diporto
Filippo BIGGI, nato nel 1931, nipote di Luigi, si destreggia sui navicelli, poi sul “Prospero” di
Marino Paladini detto Durudù, quindi si dedica al diporto, poi sull’”Iska” comandata dal padre Angelo Biggi, nel 1972 passa sul “Sayonara” di Madame Rochas con grandi ospiti, da Umberto Agnelli a Onassis ed alla baronessa Rotschild, da Enry Ford al più famoso dei proprietari del Dom Perignon: sodalizio che continuerà per vent’anni, fino al 1992.
Angelo BIGGI (Cadorna), figlio di Filippo, comandò, col figlio, l’ “Iska”, di un industriale francese
del tessile.

  • BOGAZZI
Vittorio BOGAZZI, fondatore dell’agenzia marittima e straordinario navigatore.
Guglielmo BOGAZZI, nato alla fine del 1800, comandò  il navicello “Delfino” e dopo la seconda
guerra mondiale il motoveliero “Progresso”.
Giovanni BOGAZZI (d’ Paletta), capitano di gran cabotaggio, coetaneo del precedente.
Giovanon BOGAZZI, fu, per lungo tempo, capitano sul “Florette”.
Fernando BOGAZZI, comandò i navicelli ”Walton” e “Carlambrogio”.
Federico BOGAZZI, impartì ordini sul grande motoveliero “Adelaide”
Salvatore BOGAZZI, nato nel 1914, prima sul brigoletta “Nina” poi sullo schooner “Limite”,  
approdò al diporto e quindi su yacht di Attilio Monti.
Bruno BOGAZZI, nato nel 1941, efficiente direttore di macchine su imbarcazioni della Adriatica
Navigazione, del gruppo IRI-Finmare, poi nel novembre del 2004 è confluita nella Tirrenia, divenendone una divisione.

  • CANCOGNI
Cesarino CANCOGNI, nato nel 1920, fra i marinai più esperti. Ha iniziati come mozzo sul
“Gennarino” (comandato da Adelmo Donati, detto Mangiaschelmi), poi sul “Lina”, di Filippo Marsili detto Lipin, quindi sul “Balena” di Ezio Marcori. Passa poi sul “Lorenzo” comandato da Marino Paladini che lo ritiene il miglior maestro esistente. Cesarino, un perfetto navigatore si destreggia su molte imbarcazioni e durante l’ultima guerra si porta sulla nave scuola “Cristofolo Colombo”, assieme ad altri marinelli, di cui Walter Albertoni, Ferdinando Dell’Amico, Guglielmo Cordiviola. Al termine del conflitto, sulla nave che porterà Vittorio Emanuele III a Brindisi, assieme al figlio Umberto II, prima che il re partisse per l’esilio in Egitto. Cesarino, nel dopoguerra, fu anche il primo comandante del “Dodi” di Al Fayed e rimase tale, escluso il periodo di invalidità, fino agli anni ”80, che Al Fayed lo tenne quale esperto di scelte tecniche dell’imbarcazione.
Alfredo CANCOGNI, nato nel 1889, padre di Cesarino e padrone marittimo, comandò il navicello
“Antonio Mattioli”, di Antonio Biggi

  • Crudeli
Augusto (Agù d' Muntagnin) e il figlio Filippo, entrambi marinai di lunga navigazione.

  • CUCURNIA
Cesare Francesco Emilio CUCURNIA, 1875-1931, (nipote omonimo di Emilio Cucurnia presidente
del Club Nautico), fu addestrato su una nave della Marina Militare con viaggi in Sud America, con piglio deciso e risoluto ed attitudine al comando, ottenne a Marina il comando sulla ”Augusto S.”. Ottenne poi dai Figaia la fiducia al trasporto marmi in tutto il Mediterraneo. Ebbe cinque figli: Luigi, morto a 36 anni, Renato, Giacomo, Mario, Paolo, tutti seguirono le sue orme nei viaggi sul Mediterraneo, trasportando in andata marmi ed al ritorno merci varie dai porti in cui approvano. La “Maria Vittoria”, sotto un nubifragio nel porto di Napoli, comandata da Renato, investita da una tromba d’aria, si rovesciò: era il 3 novembre 1929, ricordata da Luigi Vatteroni, dove il padre Giuseppe Guglielmo Vatteroni perse la vita. Luigi Vatteroni fu quasi adottato da Cesare Emilio Cucurnia, nonno materno, nella cui nuova famiglia si trovò a proprio agio. Renato, durante il conflitto sarà nominato primo ufficiale a bordo di un mercantile militarizzato per trasporto armi in Africa. La sua “Maria Vittoria”, verrà requisita nel porto di Napoli e militarizzata, dotata di bombe di profondità per la sorveglianza notturna in funzione antisommergibile della corazzata “Vittorio Veneto”, ancorata in rada, rendendola invisibile con i fusti di fumogeni agli inglesi. In altra occasione dovettero raccogliere profughi da bastimenti provenienti da Olbia e diretti a Civitavecchia, ma provenienti da Marina di Carrara. Uno, l’ “Adelina” era comandato da Nandino Paladini che perse la vita, come pure Fert Telara detto Bragoz, ed il motorista Rolando Pezzica. Mario, il figlio più giovane, comanderà l’ “Ambrogio.
Giacomo con i Figaia acquisì esperienza da diporto, pilotando un motoscafo sul lago di Massaciuccoli, entrando nell’astro nascente del fascista Renato Ricci e durante la guerra sarà trasferito al Ministro della Marina, quindi comanderà alcune navi in servizio di linea con la Spagna. In seguito, negli anni “50 passerà al diporto, comandando lo yacht di Ida Borletti, erede di macchine per cucire, su crociere nel Mediterraneo.
Il figlio di Giacomo, Luigi Cucurnia, e nipote del capostipite, nato nel 1938, capitano di lungo corso, svolse impegni culminati nel comando di grandi mercantili, petroliere e gasiere sulle rotte più sporadiche, soprattutto tra il Golfo Persico e gli Stati Uniti. Prima di morire svolse a terra il ruolo di capitano d’armamento per società di gestione navi.
Mario, (nipote del capostipite), nel “48, a 35 anni, morì schiacciato da una gru mollata prima del tempo: ciò si mormorò di un probabile omicidio. Ad alcuni non piaceva la sua serietà nei controlli per cui la gru fu sganciata proprio per toglierlo di mezzo.
Paolo (nipote del capostipite), a bordo del rimorchiatore “Tito”, comando e primo ufficiale, marinelli anche questi, è stato impegnato nel novembre-dicembre-gennaio 2002-2003, nel disastro ecologico al largo della Galizia, della petroliera “Prestige”, per contenere la marea nera fuoriuscita dalla cisterna, invadendo spiagge e scogliere dalla Spagna al Portogallo
Augusto CUCURNIA, nato nel 1891, detto Nello ma soprannominato Lup d’ mar, cugino di Cesare
Francesco Emilio, acquistò il battello “Tirreno” che ribattezzò “Iole”. Durante l’ultima grande guerra ebbe il comando quale Capo di Ia classe di una nave militarizzata e destinato al distaccamento romano di via Lepanto, terminando il servizio militare col grado di Guardiamarina.
Luigi, Renato, Giacomo, Mario e Paolo CUCURNIA, figli di Cesare, come sopra precisati.
Giorgio CUCURNIA, figlio di Augusto, nato nel 1920, marinaio sui navigli, morì in guerra, sulla
nave “Mirabello”, affondata il 21 maggio 1941.

  • DELL’AMICO
Ferdinando dell’Amico, detto il Moro, il più noto, figlio di Angelo, nato nel 1920, dedicato alla
marineria di diporto, ammesso nella nave scuola “Cristoforo Colombo”, gemella dell’”Amerigo Vespucci”, che dopo il conflitto mondiale dovrà essere ceduta all’ URSS per danni di guerra. Assumerà il comando della “Anna Caterina”, imbarcando anche il padre, su rotte umanitarie in Israele.
Angelo DELL’AMICO (‘ngelin), viaggerà col figlio Ferdinando sulla “Anna Caterina”, dopo il
recupero e militarizzata, già al comando dello zio Enrico Vatteroni detto Fioron.

  • FALCONI
(antenati, per parte di madre, dei Bogazzi)
Ferruccio FALCONI, nato nel 1927, storico capo pilota del porto di Venezia, trasferito il suo amore
per il mare in centinaia di articoli giornalistici tecnici e nel volume “Invito a Mare”, e naturalmente le onorificenze ricevute. Il suo amore per il mare comincia a Marina, aiutando i piloti che rientrano a condurli all’ormeggio. Offre varie testimonianza nella cattura ai delfini anche se all’epoca i delfini non avevano ancora alcuna protezione anche se non facevano mancare l’amicizia all’uomo, pur non essendo ricambiati, Si avvicinavano alle imbarcazioni con ogni buona intenzione, ma un veloce e forzuto marinaio provvedeva a lanciarci un arpione, il folgore, Direttore di tiro, da ufficiale, subito dopo la guerra, a Livorno (dove aveva frequentato l’Accademia Navale), la goletta “Maria Vittoria”, in una esercitazione si era avvicinata troppo ad una rotta interdetta, scampando eventuali cannonate. Primo ufficiale a bordo di petroliere, Falconi ecologista convinto, ha documentato l’inquinamento con lavaggi di cui sono state responsabili, delle cisterne, compiuti sempre in mare aperto. Si cimentò nei concorsi per divenire pilota e dopo piccola esperienza nel porto di Marina, il salto a Venezia, cimentandosi anche in gare sportive, terminate con grandi ricevimenti.
Salatore FALCONE, fratello di Ferruccio., è stato un ottimo motorista, impegnato nel Mar Rosso e
su molte rotte atlantiche, specialmente su petroliere per il Centro e Sud America e sopra rimorchiatori d’altura nel Golfo di Biscaglia, alla ricerca di navi in difficoltà

  • GHIRLANDA
Attilio GHIRLANDA (Tananin), 1874-1937, (tananin = piccola tenaglia, per la forza che aveva in
due dita del piede), capostipite di questa famiglia, padrone marittimo, dopo aver comandato diversi navicelli, passò sul suo grande schooner “Edoardo”, molto noto per avvenimenti personali tanto con la moglie che con altri compagni.
Giuseppe, detto Beppino GHIRLANDA, cugino di Attilio, anche armatore, comandò una delle
prime navi con macchina alternativa a vapore, l’ “Alfa”.
Ercole GHIRLANDA, 1904-1974, figlio di Attilio, comandante del Patria, anche lui detto come il
padre “Tananin”, comandante di velieri, poi subentrò al padre nello schooner “Edoardo”,
uscito dai cantieri Lampo nel 1924 (già ubicati nell’area dove ora c’è il Cinema Paradiso) e dopo suddetto bastimento comandò l’ex nave scuola Patria con cinque alberi, ma alla fine dell’ultima guerra, il 31 dicembre 1949, la marina velica marinella scomparve, per deficienza di organizzazione.
Angelo GHIRLANDA, fratello di Ercole, popolarissimo tra le giovani generazioni per averle
addestrate alla vela, dopo aver iniziato sulla barca di famiglia.
Ferdinando Luigi GHIRLANDA, cugino di Angelo. Comandò l”Amaloun” dell’Aga Khan , figlio  
di Giuseppe.
Paolo GHIRLANDA, fratello di Ercole
Giovanni e Dino GHIRLANDA, entrambi della famiglia di Tananin.

  • GIANFRANCHI
Gli antenati dei Gianfranchi risalgono a Michele nato nel 1825, Achille nato nel 1843, Palmiro nato
nel 1859, e Domenico nato nel 1868.
Umberto GIANFRANCHI detto Domenico nato nel 1892, figlio di Palmiro
Guglielmo GIANFRANCHI nato nel 1894, figlio di Palmiro, muore a Civitavecchia sopra lo
“Stefano” dove ha sostituito il fratello sul veliero militarizzato, cannoneggiato da un sommergibile inglese.
Ferdinando GIANFRANCHI (Liscio), comandò il primo veliero in ferro.
Nando GIANFRANCHI, figlio di Ferdinando
Umberto GIANFRANCHI motorista e Secondo GIUANFRANCHI abile carpentiere.
Carlo GIANFREANCHI (Carlino), ufficiale ed eccezionale velista, nato nel 1912
Sergio GIANFRANCHI, comandante di varie flotte, figlio di Carlino.
Carlo GIANFRANCHI, figlio del Liscio, nel Corpo della Capitaneria di porto, poi contrammiraglio,
nel porto di Genova e responsabile Ufficio Marileva di La Spezia.  
Giancarlo GIANFRANCHI, nato nel 1914, assieme ai fratelli Dino Franco nato nel 1910, Giulio
nato nel 1916, il nonno Giancarlo,  nato nel 1852 e comandava navicelli, lo zio Giuseppe che costruisce nel cantiere Dal Pino a Marina. Tomber de femmes, genio e sregolatezza furono le strade della sua breve vita, anarchico convinto come sua madre, il padre repubblicano, viaggiatore in continuazione per l’Europa e la Cina, di idee libertarie, insofferente ad ogni disciplina ed al lavoro subordinato. Per una questione risibile partì in barca per Mentone, in Francia, dove si trattenne per un lungo periodo: qui  partecipò ad una regata “Bol d’or”, tra barche della Costa Azzurra ed aveva quale compagna di squadra la stella del Moulin Rouge, la celeberrima Mistinguette, ormai anziana, tagliò il traguardo al primo posto. Carlo morì a Roma, nel 1951 a soli 37 anni. Nella capitale anche il fratello Giulio, sommergibilista, morì a 28 anni per la stessa malattia contratta a bordo.
Ferruccio GIANFRANCHI, padre dei suddetti tre fratelli, capitano di lungo corso della Marina
Militare, accompagnò nel 1896 sulla nave “Dante Alighieri” Vittorio Emanuele III di
Savoia, fino a San Pietroburgo per ottenere dal Patriarca ortodosso la dispensa per le nozze con la futura Regina Elena del Montenegro.

  • GIUNTOLI
Antonio Sestilio GIUNTOLI, 1894-1955, iniziò da mozzo su navi a vela, poi durante l’ultima
guerra lo vide a bordo di sommergibili, quindi dopo la pensione continuò navigando su motovelieri da trasporto in tutto il Mediterraneo.
Umberto GIUNTOLI, figlio del precedente al quale subentrò

  • MAGGIANI
Giovanni Archivio MAGGIANI, capostipite con dieci figli :
Nandino, maestro indiscusso di navigazione.
Luigino, si iscrisse nella Marina Mercantile poi verso l’anzianità passò al comando di prestigiosi
panfili.
Renato, motorista ma poco convinto tanto da emigrare in Francia alla Simca.
Ferrero, abile ed apprezzato pilota nell’aeroporto di Fiumicino, Roma.
Ernani, l’unico ad essersi allontanato dal mare. Da sergente pilota dell’Aeronautica Militare, cadrà
in Grecia durante un’azione militare.
Clotilde, femmina intraprendente ed esuberante, sposerà Vittorio Pisani (Pirinello), consigliere dei
Marittimi marinelli.
Pirinello, autentico personaggio, acquistò la “Lilia”, poi s’imbarcò su grandi velieri e nel tragico
doppiaggio di Capo Horn, il fratello sul trinchetto per ridurre la vela, fu spazzato via dal vento perdendo la vita. Ormai siamo all’inizio del 1900 e durante la guerra comanda rimorchiatori, poi nuovamente sui velieri.
Fernando MAGGIANI, d’altra famiglia, nato nel 1903, intraprendente e gran lavoratore, assieme
con Gino Cuturi, imprenditore massese, acquista da Schiaffino la “Augusto” ribattezzandolo
“Gabriella C.”, una barca malandata ma ben tenuta e si spinga fino a sud del Mediterraneo, trasportando marmi ed altre merci. Durante la guerra la barca verrà militarizzata con motore e trasporterà viveri a Pantelleria. Catturato dai germanici sarà mandato in un campo di concentramento, ma ritornerà anche se magrissimo ma con tanta voglia di mettersi al lavoro e dopo alcune ricerche ritrova la sua “Gabriella C:”, semiaffondata a Genova, la recupera e ci naviga fino al 1953. Acquista altri velieri e col vecchio socio ed il nuovo, Giorgio Bogazzi. Altri acquisti di imbarcazioni, per viaggi che scalano anche a Marina di Carrara, gli rubano il carico di oltre una tonnellata di fagioli che non ritrova più.
Renato MAGGIANI, aprì un’agenzia di spedizioni a Marina di Carrara.
Lino MAGGIANI (Mazzagatti), secondo sulla “Luigi Martini”, l’affida a Ferdinando Menconi. La
moglie detta la Borana lo attende a Genova dove hanno preso la residenza e daranno generosa ospitalità ad una nidiata di figli e nipoti.
Federico MAGGIANI, (Pelota), nato nel 1880 con i figli :
GUIDO nato nel 1917, figlio di Federico, farà parte dell’equipaggio del REX, il mitico
transatlantico.  Le disavventure si avvicenderanno. Mentre stava a casa ad abbracciare la madre morente il suo equipaggio della motosilurante in una battaglia contro il nemico, perirà inesorabilmente, ma a bordo delle navi della sua compagnia di bandiera rimarrà ancora molti anni e tornerà a salire, negli anni “50 sulla “Andrea Doria”. Navigherà ancora con la “Michelangelo”, ma si troverà in altre imbarazzanti situazioni anche se avrà un encomio per aver salvato una passeggera.
FRANCESCO nato nel 1920, figlio di Federico, navigherà per lungo tempo sui transatlantici e sui
mercantili, ma anche lui vivrà una vita in mare e terra avventurosa, marinaio sul “Patria” di Ercole Ghirlanda, dopo l’8 settembre rientra a casa e sceglie la guerra partigiana. Nella brigata Garibaldi del Memo (Alessandro Brucellaria detto Memo, Carrara, 25 maggio 1914 – 2 febbraio 1998), quando in uno scontro a fuoco nella cave di Gioia, di fronte a Colonnata, si becca una fucilata in bocca e la pallottola gli spezza una mandibola. Il dottor Zampolini, unico chirurgo all’epoca, l’opererà nel Civico Ospedale cittadino, proprio prima del matrimonio

  • MARCORI
Ezio MARCORI, nato nel 1889, comandante di navicello
Andrea MARCORI, nato nel 1917 figlio di Ezio, di cui in seguito prenderà il suo posto,
comandante di petroliera, capitano d’armi (quasi poliziotto di bordo), tanto di passeggeri che di emigranti che nel periodo si recavano in Australia.
Giuseppe (Pino), nato nel 1922, figlio di Ezio, comandò motonavi e vari panfili di Attilio Monti
(Ravenna, 8 ottobre 1906 – Cap D'Antibes, 23 dicembre 1994), fondatore della Sarom, fu proprietario anche dell'Eridania oltre che dei quotidiani «Il Resto del Carlino» e «La Nazione», la cui proprietà ha ceduto ai suoi eredi (gruppo Monti-Riffeser)

  • MENCONI - BERNABE’
Menconi originari di Avenza, nell’Ottocento
capostipiti degli armatori di navicelli e commercianti con deposito dei buoi e delle mambruche per il trasporto dei marmi
Federico MENCONI, nato nel 1820, comandante del “Santa Maria”.
Ferdinando MENCONI, nato nel 1935, comandante del “San Carlo”.
Giuseppe MENCONI, nato nel 1830, comandante del “San Giuseppe” e del “San Bernardo”.
Stefano MENCONI, nato nel 1838, comandante del “Beatrice”.
Ferdinando MENCONI (Garovello), nato nel 1902, detto anche Nando e Nandino: proprio per la
sua sete d’avventure ebbe per soprannome Garovello = uccello marino, elegante ed
inesausto. A sedici anni vincitore della Coppa Scarioni. A 27 anni comandante del veliero ”QuattroVenti” per alcuni anni, che per la marineria locali fu un’occasione propizia per molti marinai rimasti senza lavoro  per la scarsa economia a Marina. Secondo il Menconi fu per Guglilmo Maggiani detto Baletta, e “marinaio filosofo”. Nandino, capitano di lungo corso, verso il 1933 il quattro alberi passo il comando  su lussuosi panfili della famiglia Granelli (produttori delle bibite San Pellagrino), poi nel 1938-39, tenente di vascello della Marina Militare che lo inviarono a Londa, membro del Comitato della Società delle Nazioni ed in questa veste, in missione a Barcellona durante la guerra civile spagnola, in un bombardamento riuscì a salvarsi miracolosamente.
Un altro Menconi, nato nel 1913, figlio di Stefano, marò a bordo, morì il 13 novembre 1941, nel
canale di Sicilia a seguito di cannoneggiamento da unità inglesi.
Alfredo MENCONOI, (Pinzo), figlio di Richino, dal 1920 al 1940, comandò l’ “Ambrogio”, un
navicello detto l’ “espresso”, per la velocità che impigava nel raggiungere le mete. Nel dopoguerra conteso dal cognato Onassis, divenne comandante del panfilo del famoso armatore greco Nyarkos. Il fratello Marco morì sopra un rimorchiatore in seguito a violento bombardamento alleato su Tobruk:
Emilio MENCONI, fratello di Nandino, motorista, fu a lungo sullo yacht dei Conti Marzotto.
Renato MENCONI, di Bernardo, navigato su bastimenti, si dedicò ai recuperi navali ed alla
costruzione di grandi bacini nel porto di Genova.
Orlando MENCONI, (Isaia), 1870-1932, facente parte di un altro ceppo dei Menconi, comandante
di vari navicelli a vela, su tutto il Mediterraneo sul “Janne D”, trasportando marmi. La “D” sta per Dervillé.
Gisberto MENCONI nato nel 1872, fratello di Isaia, con ritte più impegnative nell’Atlantico e
Viaggi nel Nord America, si dedicò poi all’insegnamento quando fu istituita la scuola dell’ E.N.E.M. nel 1936, con lezioni svolte presso la propria abitazione in viale Colombo a Marina.
Luigi Stefano MENCONI, fratello di Gusberto, guidò varie imbarcazioni, con i figli Isaia  e
Francesco.
Ernesto MENCONI, (Ernè d’Isaia), fratello di Gusberto, a bordo di una motonave un legno,
militarizzata, trasportava munizioni in Africa, fu cannoneggiata da sommergibile inglese, l’imbarcazione fu affondata ma Ernesto ed il cuoco Almo Telara si salvarono. Idem su una nave civetta al largo di Anzio, addetta alla vigilanza foranea, che un sommergibile britannico l’affondò, ma si salvarono. Gianni, figlio di Ernesto, ricorda avvenimenti del padre, comandante del “Tomahawk” di proprietà degli Agnelli, litigò con l’avvocato Umberto Agnelli per divergenze di organizzazione e private, perché l’Avvocato voleva essere prelevato in auto ed Ernesto aveva un’idiosincrasia per le auto, preferiva il treno ed un giorno che aveva fatto tardi ad arrivare al porto, l’Avvocato partì senza di lui.
Luigi MENCONI, nato nel 1905, terzo fratello di Ernesto, comandò per molti anni il “Blue Piter”,
con tirocinio su navicelli e brigolette, ( = piccoli velieri i primi, piccoli bastimenti, a due alberi, i secondi), prima d’impegnarsi anche lui nel diporto.  
Isaia MENCONI, nato nel 1937, capitano superiore di lungo corso, passa dalla vela alla marineria,
divenendo secondo e poi primo ufficiale comandante: da allievo ufficiale a primo comandante !
Francesco MENCONI, nato nel 1940, è il fratello minore, capitano di lungo corso, viaggiatore
avventuroso anche con il fratello Isaia, tanto in Russia che in Canada. Prima di dedicarsi all’insegnamento, comanderà il “Bleu Piter”, yacht dell’industriale fiorentino Kirch del caffè Bourbon. In famiglia anche Stefano il terzo fratello, la cui sorte in tempo di pace, regala un paio di malaugurati naufragi.
Ricciotti MENCONI, nato nel 1931, con il libretto di navigazione avuto a 13 anni invece che a
quattordici, età minima per l’imbarco ed avendo cominciato come mozzo, dopo militanza nelle petroliere sull’Atlantico, rientra a Marina di Carrara e si dedica al diporto facendo scali in Grecia e Turchia, con situazioni pericolose tanto per l’imbarcazione che per i passeggieri, ma sempre risolte felicemente.
Stefano MENCONI, fratello di Ernesto, detto Toro Seduto perché preferiva sedersi al timone sopra
una sedia di cuoio. Vari personaggi internazionali gli affidarono compiti di comandare i loro Yachts ed un altro ad arrivare sino in Finlandia a prendere un panfilo.
Teodoro BERNABE’, nato nel 1810, capostipite, marinai dall’800, comandante dei velieri, esempio
seguito dai tre figli, specialmente da Tommasino che con navi a vela doppiò più volte Capo Horn. Sposato con la Barona, dei Menconi, da cui nacquero nove figli: tre maschi marinai, Primo, Secondo e Terzo.
Primo BERNABE’, subì da bambino un incidente, cadendo dentro ad un braciere, riportando
infermità alle mani, ma ne prendeva il posto del padre alla guida della “Nuova Carrara”, dove rimase dal 1909 al 1939, lasciandolo nelle mani del figlio Luigi Bernabé
Secondo BERNABE’, imbarcato col cugino ed il figlio Sergio, comandante

  • PALADINI
Marino PALADINI, (1904), detto Durudù, viaggia sui porti africani, trasportando dal marmo al
vivo, quale, il navigare resta un vizio di famiglia: Il padre Cesare fu il primo a munire di
motore il proprio veliero: Marino solca i mari con lo shooner “Fabrizio”, poi col “Vera   Unione”, assieme al fratello Valentino, ma anche questo fu fatto affondare da viareggini, incaricati dalla malavita organizzata, (pare che non accettasse di trasportare sigarette di contrabbando). Durudù, comunque passò alla motonave “Bugnaia”, gemella dell’ “Elba”, poi alla motonave “Perla” e alla “Cripton”, prima di acquistare la “Lorenzo” diventando così armatore anche della “Vittorio Paladini”, dedicata al figlio, quindi della “Brixia” e con ciò accreditandosi uno dei maggiori comandanti di Marina. Il figlio Carlo diventerà ufficiale sul “Patria” e comandante su altre imbarcazioni, ma il vizio del gioco lo porterà alla rovina del patrimonio della famiglia.
Il cugino Altidoro (Cictò), passato da buscaiol alla navigazione da diporto sul pontone dell’
“Aniene” e su un navicello di sua proprietà battezzato “Albinetta”, nome della moglie. Della generazione precedente fa parte Arturo, fratello di Durudù, ma il figlio Ferdinando, già comandante, fu vittima il 13 maggio 1943 di un siluramento nel Tirreno mentre trasportava materiale dalla Sardegna al continente, ed assieme ad altri marinai, furono dichiarati dispersi. Il figlio Mario, dopo mille esperienze con lo zio
Lucianon Paladini nel 1949, comunque comandò anche il motoscafo dell’ultimo re d’Italia,
Umberto II. Divenne poi, oltre a uomo di fiducia di Al Fayed, ne comanda il “Dodi”. Da ricordare un avvenimento davvero eccezionale: dalle parti delle Bocche di Bonifacio, mentre trasportava su nave-cartiera da Arbatax, scrutando l’orizzonte col binocolo, intravede un’imbarcazione che sembra un gommone con cinque persone a bordo, stremati da una notte ed un giorno alla deriva. I naufraghi francesi sono soccorsi e) portati a terra: il giorno successivo l’uomo francese si presenta a Mario Paladini con una forte somma quale ricompensa per la salvezza, ma il marinello rifiuta, dicendogli che “la vita umana non ha prezzo e la solidarietà è il primo dovere dei un marinaio”. Dopo un abbraccio tra i due, nei giorni successivo il francese salvato invia a Paladini una cassa di champagne.
I fratelli Domenico, petroliere, e Filippo navigatore di supertank. La stirpe dei Paladini comprende
anche Marino jr e Franco, entrambi nipoti di Durudù, precursori della tradizione su panfili. Di Mario paladini ed appartenenti ad altro ceppo, ci sono anche altri due, il primo, classe 1915, prima di morire prematuramente (anni 61), ebbe la ventura, marinaio di leva, di pilotare il motoscafo della Real Casa Savoia, usato a Napoli dal principe Umberto. Dopo l’ultima guerra pilotò il “Kerilos” dell’avv. Triestino Ferraro, poi al comando del due alberi “Sahib” della madre di Giorgio Falk: il figlio Mario Paladini jr, dopo esser stato sul “Norlanda” di Attilio Monti, poi acquistato dall’ industriale calzaturiero Diego Della Valle e ribattezzato “Candida”, fa parte dell’equipaggio  del “Moneiko” del re degli occhiali Leonardo Del Vecchio, comandato da Marino Paladini jr.

  • PIANINI
Oreste PIANINI, soprannominato Caputina (dovuto tale nome ad un cappotto, cucitogli addosso,
per insufficienza di stoffa), comandò il veliero a motore “Ferdinando” ed amava, naturalmente il mare, ma anche la caccia e l’abbondante buona tavola.
Il figlio Giuseppe (Beppino), dopo di lui prese il comando dell’imbarcazione.
Il secondo Mauro, motorista sullo stesso veliero, fino allo scoppio dell’ultima guerra, poi passò su imbarcazioni militarizzate.
Il terzo, Almo, motorista sull’”Andrea” ed altre navi. Il nipote di Oreste, marinaio Gino Paolini nato
nel 1893 gli dette il cambio sul “Ferdinando” e dopo la guerra il Paolini riprese a navigare sull’”Imperatore”, già “Patria”.
Renato PIANINI, nato nel 19611, vittima  negli anni “50 di un naufragio a Capo Corso e morì con
l’intero equipaggio, compreso il cognato Ottaviano Rocca (1920).
Nino PIANINI, detto Radetzsky, iniziò come mozzo sul “Gabriella”, senza alcuna scuola ma
infervorato da uno straordinario intuito, tanto da progettare una barca a vela, la “Elan”, ma la sfortuna la perseguitava fin quando un motoscafo la investì facendola affondare: Chi lo conobbe assicura che fu uno fra i più abili marinai.

  • POGGI
Alberto che ha passato una vita al comando del panfilo Saharet di Caltagirone.

  • PUCCIARELLI
Dall’inizio del secolo scorso Giuseppe PUCCIARELLI, detto Baciccia, navigò sulle sue tre barche,
“Mare Nostrum” “Venere” e “Nilo”, trasportando su zattere sabbia da Bocca di Magra a Genova. Lo sostituisce il fratello Araldo sul “Venere”, mentre il posto di Baciccia, sull’ultimo suo velieri, sarà occupato dal figlio Alcide.

  • TELARA
I Telara a Marina di Carrara sono notoriamente conosciuti. Il fondatore della dinastia,
Pantaleone morì tragicamente nel 1916, a seguito di una collisione della goletta “Sorelle Cattani”,
a cui era al comando, con un mercantile al largo di Capo Camarat nella Provenza
rancese, vicino a Saint-Tropez, si trattenne a bordo a prelevare documenti ritenuti importanti, ma ciò fu fatale, facendolo inabissare sull’imbarcazione.
Il figlio sedicenne Luigi era imbarcato come mozzo e fu salvato dal marinaio marinello Ferdinando Vatteroni, detto ilFraton.
Luigi Telara in seguito si preparò alla navigazione presso l’Istituto nautico di Camogli, comandando
poi grandi navi. La madre Francesca, dotata di un carattere risoluto, gestiva la sartoria di vela della famiglia a Marina, dietro l’attuale Cremlino. Il fratello di Pantaleone,
Bernardo detto Munaina, intransigente e intollerante sulle regole a bordo, dove il figlio Giannino, si divertiva a giocare scherzi ai marinai. Dopo aver comandato lo schooner “Florette”, passò sull’ “Hidalga” di armatore scozzese, con illustri ospiti, tra cui Winston Churchill e la moglie Lady Clementi-ne, il pretendente al trono di Spagna, Juan Carlos di Borbone.
Felice Telara col motorista Roberto Caleo, comanderà il panfilo “Gioina” acquistata poi dai reali  spagnoli. Altro Telara, Mario, insegnante al Club Nautico di Marina, si porta sui navicelli dove impara dallo zio Carlo Gianfranchi sullo yacht “Miranda”, quindi parte militare sulla nave scuola “Amerigo Vespucci”. Si arruola quale nocchiere sull’equipaggio della mitica barca da regata della Marina Militare, il “Corsaro II”, gareggiando trionfalmente alle gare più impegnative della vela internazionale d’altura. Dopo queste famosa gare rientra a casa, dedicandosi all’insegnamento presso il Club Nautico. Il nonno di Mario, Giovanni detto Vanin, nato nel 1854, bravo marinaio quanto duro e scorbutico, il figlio
Giovanni Dante detto Furaboschi e padre di Mario, dai mercantili a vela passò ai barco-bestia norvegesi. La guerra civile del dopo “43 lo videro vittima il 7 maggio 1945 a Dongo di un regolamento di conti,
Bernardo Telara, direttore di macchina, ha viaggiato in lungo e in largo per tutto il Mediterraneo con navi passeggeri. C’è stata anche una marinara,
Marietta Telara, moglie di Jacopo Nicola Vatteroni detto il Moscon, (figlio del sottostante Jacopo Nicola), con il marito propenso ad alzare il gomito, e spesso lo accompagnava all’imbarco per costatarne quanto avesse bevuto e raccontano che una volta Marietta si trovò al timone del “Carlino” e Primino Vatteroni (padre di Domenico Vatteroni), le chiese se era il caso di fermarsi ad un porto intermedio, visto il fortunale che imperversava. La marinara rispose decisa “che avevano pagato il nolo fino a Marina di Carrara e noi là andremo”.  Altri
Telara, Emilio, nato nel 1936 comanda la “Tiziano” e la “Tintoretto”, navi passeggere costruite nei cantieri di Marina e collegano le due sponde dell Adriatico tra Italia ed Albania.
Beppino Telera, marinaio occupato su vapori in tutti gli oceani.

  • VATTERONI
Altra grande dinastia marinella e . . . avenzina. Presenti sin dal 1823.
Jacopo Onorato detto Moscon, soprannome riportato da tutti i successori, comandò i navicelli
“Santo Stefano” e “Felice Novello”. Jacopo Nicolo (1864-1944), comandò il “Cauto vecchio” ed il “Carlino”, abile marinaio ma amante del vino (come riportato sopra).
Antonio Ernesto (1872), primo capitano di lungo corso di Marina, decorato di medaglia d’oro di
lunga navigazione ed apre ai carraresi la via dell’Istituto Nautico di Camogli. Prima comandante di velieri poi di navi passeggeri della Tirrenia, straordinario ed abile manovratore.
Giuseppe Guglielmo (1896-1929), detto Bik, morì tragicamente, già padrone marittimo, sul
brigantino-goletta “Indipendente”, in seguito ad una tromba marina al largo di Procida. La barca naufragata fu recuperata e battezzata “Maria Vittoria”. Durante la prima guerra mondiale era stato cannoniere scelto sul cacciatorpediniere “Antonio Mosto”, meritando la croce di guerra ed alla memoria gli è stata concessa la medaglia d’argento di lunga navigazione. Il fratello
Jacopo Enrico (1890-1937), detto Fioron, soldato sul Piave, durante la prima guerra
mondiale salvò il suo comandante, ammiraglio Luigi Biancheri, gettandosi su di lui
al momento dello scoppio di una granata. Comandò anche lui la “Carlino” e la “Anna Caterina”.
Ferdinando, detto Ninan, nato nel 1904, grande abilità nella vela, con numerose regate vinte a bordo
di gozzi dell’epoca.
Domenico Pacifico Vatteroni (1889-1959), frequentò gli Istituti Nautici di Camohli e di
Livorno, partecipò alla ritirata di Caporetto e fu trasferito nei ruoli della Marina Militare e partecipò alla “presa” di Pola, al seguito del comandante di “Mas” Luigi Rizzo. Un illustre fu
Luigi Vatteroni (1926), subito a bordo della “Sterope”, a 20 anni passa sulla motonave
“Arenzanella”, comandata dallo zio Carlo Giacomo Cucurnia, a Napoli si laurea in Discipline Nautiche, e naviga sulle linee delle due Americhe, con molti attraversamenti del Canale di Panama. Subito dopo l’ultima guerra farà da interprete a Livorno presso il Comando Americano, tra i comandi di bordo e le maestranze portuali. Comanderà poi grandi transatlantici, tra i quali la “Marco Polo” e la “Augustus”, dalla “Andrea Doria” prima che il mercantile svedese Stokholm la speronasse facendola inabissarsi nel 1956. Da comandante in seconda viaggio sulla Raffaello, la più splendida, con la gemella Michelangelo, delle navi della nostra flotta passeggeri. La crisi della Società Italia Navigazione, portò queste navi all’inattività, quindi fu trasferita nella baia di Portovenere, vicino alla Spezia, dove venne presto raggiunta dalla Michelangelo. Anche questa nel 1976 fu acquistata dallo Scià di Persia, Mohammad Reza Pahlavi, per essere adibite a caserme galleggianti. Assolse questo compito, marcendo lentamente, fino al 17 novembre 1983 quando, alla fonda nel porto di Bushire, fu bombardata e incendiata dall'aviazione irachena durante la guerra Iran-Iraq e dove giace tutt'ora semiaffondata. Partecipò, quand’era comandante del “Guglielmo Marconi” alla celebrazione a New York, nel 1978 al “Marconi’s Day” assieme alla faglia dello scienziato, Gioia Marconi.
Luigi Vatteroni, ha trascorso in mare oltre venticinque anni, specialmente sulle crociere che
comandava ha conosciuto personaggi, che vanno dalla politica ai maestri d’orchestra, agli attori famosi italiani e stranieri, a personaggi di primo piano della lirica internazionale, a compositori della sua epoca, specialmente per uno come lui che amava moltissimo la musica ed il melodramma (come molti carraresi). Una volta a terra, per limiti di età, ricopri incarichi speciali di grande responsabilità, per conto di tribunali ed uffici legali. La relazione tecnica, che presentò per conto dei familiari vittime della tragedia della Moby Prince, sulla quale il 10 aprile 1991, al largo di Livorno, entrò in collisione con l’Agip Abruzzo e trovarono la morte 140 persone imbarcate (solo un giovane mozzo si salvò).
Segue Angelo Vatteroni, nipote di Dodan, nato nel 1913, appartenente ad altro ceppo, ma sempre
un Vatteroni, viaggia inizialmente con lo zio Ferdinando, detto Il gobbo, sul navicello “Brio”, parte per il militare, rientra a Marina e s’imbarca sull’”Ambrogio”, attende di sostituire lo zio, ma una interessante proposta di Giannino Telara che lo porta con sé sullo yacht “Hidalga”. Al rientro lo attende il comando de “La vera unione”, acquistato dalla famiglia, ma un temporale coglie l’unità a Livorno e lo sbatte con la poppa contro una banchina e ne provoca l’affondamento. Ma la sfortuna non termina: nel mesi successivi, al comando della motonave “Antonietta”, Vatteroni colto da una furiosa bufera tra l’isola siciliana di Favignana e Marettino, naufragherà insieme all’intero equipaggio, sette validi marinai, tutti di Marina.
Federico Vatteroni detto volpini, comandante della " Lisetta", ricevette la medaglia d' oro di lunga navigazione. Figlio di Ferdinando detto "Fraton", di lui si ricorda il salvataggio del sedicenne Luigi, figlio del fondatore della dinastia Pantaleone che, durante la collisione della goletta "Sorelle Cattani", trovandosi a bordo, fu salvato dal nostro marinello
Oreste Vatteroni, dla Liberata, capitano del “Geremia Padre”. Domenico Vatteroni, nostromo del “Giorgina”, comanderà poi la motonave “Tina” ed il “Vincenzo Onorato”, passerà quindi al diporto sul “Rosetta”.
Il fratello Giovanni comanderà rimorchiatori nel Porto di Civitavecchia dove, sullo “Jupiter” darà il cambio
a Nandino Maggiani.
Giuseppe Vatteroni (1927), capitano di lungo corso, ha svolto la sua carriera quale capitano di bandiere estere.
Alfredo Renato Vatteroni (1932), comanda la motonave “Cadibona” dell’armatore Tredici,
toccando molti porti in tutta Europa, poi alla guida della motonave “Safra I”, poi lunga parentesi alla guida di rimorchiatori del porto: con ben trentotto anni acquisiti. Infine
Luciano Vatteroni detti il Soldaton, proviene da una famiglia di marinai, imparentato con i
Ghirlanda ed i Crudeli, dopo imbarchi sui navicelli, assume il comando dello Yacht “Erida II”, di proprietà di un senatore irlandese.
Il veliero “Andreina”, comandato da
Gino Vatteroni, detto Ditin di cuoio, (dovuto alla protezione di un dito indice della mano),
trasportava carichi di marmi da Marina a Marsiglia, con a bordo il fratello Cesare, detto il Soldaton (per i vistosi baffi), il figlio diciottenne Augusto ed un certo Piladino. Fu imbarcato anche un barbiere di Avenza, tale Rossi, imbarcato per trascorrere a casa il periodo natalizio. La notte del 13 dicembre 1925, il dramma, al largo di Portofino. Vuoi la foschia, vuoi frequenti rintocchi di campana, vuoi la sparatoria di colpi di fucile, quali avvisi inascoltati, fu investito da un piroscafo giapponese ed affondò: persero la vita il giovane Augusto ed il barbiere avenzino.
Giovanni Vatteroni, figlio di Alfredo, marò su navi con bandiera svizzera che incrociavano nel
Mediterraneo, poi comanda rimorchiatori nel porto marinello.
Sergio Vatteroni (1890-1975), un artista del pennello, di acqueforti e litografie. Nel 1937 il pittore
fu protagonista di una insolita avventura: su una barca di nove metri, la “Felicità”, acquistata da un armatore veneziano, che dichiarò di non potergliela spedire via terra a Marina di Carrara, egli, con partenza il 23 giugno con un equipaggio di un solo marinaio vero, Nandino Paladini, e tre amici inesperti di navigazione, (Rodolfo Lodovici, nipote del grande  drammaturgo Cesare Vico, il figlio Giovanni, il nipote Ettore), percorsero a vela 1200 miglia, il periplo quasi totale della nostra penisola: impiegarono due mesi per giungere a casa. Due mesi di avventure che l’artista descrisse in un diario di bordo, poi pubblicato sul mensile Motonautica di gennaio 1938 della Reale Federazione italiana della Vela. Dopo molte avventure e peripezie, il 13 agosto giunsero a casa, a Marina.
BASTIMENTO TIPO NAVE -
Veliero atto a tenere in mare con merce, passeggeri e per qualunque destinazione. Con tre o più alberi verticali, tutti a vele quadre. Bastimento tipicamente ligure.

BOVO –
Piccolo bastimento. Vela latina in un solo albero e mezzanella sporgente

BRIGANTINO -
Bastimento a due alberi verticali, entrambi a vele quadre. Il suo nome deriva da brigare, combattere.

BRIGANTINO A PALO -
Bastimento con tre alberi verticali: i primi due a vele quadre, il terzo, mezzana o albero secco a palo, cioè senza pennoni

BRIGANTINO GOLETTA
Detto anche brigoletta o scuna. Bastimento a due alberi verticali: il primo attrezzato a vele quadre e l’altro a vele auriche. Solcò molto spesso gli oceani e fu barca tipicamente toscana.

GOLETTA –
Bastimento a due alberi verticali, trinchetto e maestra, ma usato anche come bastimento da
trasporto in Atlantico.

NAVE A PALO -
Bastimento con tre alberi verticali e un palo: i primi a vele quadre, il palo o albero secco, a poppavia, senza pennoni porta randa e controranda. La nave a palo è più comune nella cantieristica ligure rispetto a quella toscana.

NAVE GOLETTA -
Il “barcobestia”, vocabolo derivante dalla corruzione del termine inglese “ the best barq (uentine)”. Bastimento a tre alberi verticali: il primo a vele quadre, gli altri a vele auriche.

NAVICELLO –
Bastimento con due alberi a pioppo e due vele principali. Il primo albero, trinchetto, inclinato verso prua,.

PINCO A GABBIOLA -
Bastimento a due alberi verticali con randa e controranda. Il trinchetto porta anche due vele quadre, il trevo e la gabbia fissa. Veliero meno frequente nella cantieristica toscana e ligure.

TARTANA -
Detta anche bilancella. Un solo albero. Quando vanno a coppia per la pesca, prendono il nome di paranze
Definizione delle varie parti di una nave e delle dimensioni principali

NAVE
Galleggiante atto a muoversi sulla superficie del mare e dotato di propri mezzi di propulsione. .

SCAFO
E’ la parte che costituisce l’involucro stagno della nave. E’ costituito dalla parte immersa e dalla parte emersa ed è chiuso superiormente dal ponte di coperta sul quale poggiano le sovrastrutture.

FASCIAME
E’ il rivestimento esterno dello scafo. Per le navi in acciaio è formato da lamiere poggianti su uno scheletro strutturale.

MURATE
Sono la parte emersa dei fianchi della nave. La parte prodiera si dice mascone (di destra o di sinistra), quella poppiera giardinetto..

INSELLATURA o Cavallino
Si dice linea di insellatura la proiezione, sul piano diametrale della nave.

ORLO
E’ la linea gobba che delimita superiormente le murate.

RETTA DEL BAGLIO
E’ la retta orizzontale passante per l’intersezione tra ponte di coperta e murate.

BOLZONE
Il ponte di coperta sul piano trasversale presenta una concavità rivolta verso l’alto.

PIANO DI GALLEGGIAMENTO
E’ la superficie di separazione tra parte immersa e parte emersa dello scafo e definisce il livello sul quale la nave galleggia.

LINEA DI GALLEGGIAMENTO
E’ la linea di intersezione tra lo scafo e il piano di galleggiamento.

FIGURA O AREA DI GALLEGGIAMENTO
E’ la superficie racchiusa dalla linea di galleggiamento.

CENTRO DI GALLEGGIAMENTO
E’ il baricentro della figura di galleggiamento.

CENTRO DI CARENA
E’ il baricentro del volume di carena.

SUPERFICIE DI CARENA
E’ la superficie bagnata della carena.

PUNTO DI CHIGLIA
E’ l’intersezione tra il profilo dello scafo entro fasciame e la perpendicolare al mezzo.

LINEA DI COSTRUZIONE O DI BASE
E’ la parallela al piano di galleggiamento di progetto passante per il punto di chiglia.

LINEA DI CHIGLIA
E’ la linea di intersezione tra il piano di simmetria e la superficie entro fasciame dello scafo.

LINEA DI SOTTOCHIGLIA
E’ la linea parallela alla linea di chiglia dalla quale differisce per lo spessore della lamiera.

SOVRASTRUTTURE
I punti al di sopra della coperta prendono il nome di sovrastrutture.

PERPENDICOLARE AVANTI
E’ la perpendicolare al piano di galleggiamento di progetto

PERPENDICOLARE DIETRO
E’ la perpendicolare al piano di galleggiamento passante.

PEPENDICOLARE AL MEZZO
E’ la perpendicolare al piano di galleggiamento equidistante dalle due estreme.

SEZIONI TRASVERSALI
Si ottengono sezionando lo scafo con piani normali al piano di simmetria longitudinale.

SEZIONE MAESTRA
E’ la sezione trasversale che racchiude la massima area immersa.

PONTI
Assumono diverse denominazioni a seconda della loro importanza e collocazione:

- Ponte principale: è il ponte continuo e resistente più alto.

- Ponte di coperta: è il ponte continuo più alto della nave, parzialmente o totalmente scoperto.

- Ponte di bordo libero: è il più alto ponte completo le cui aperture situate nelle zone esposte sono provviste di mezzi permanenti di chiusura stagne.

- Ponte delle paratie stagne: è il ponte stagno, continuo o a gradini, sotto cui sono intestate tutte le paratie stagne.

- Ponte del servizio di sicurezza: è il ponte, generalmente coperto, coincidente e sovrastante il ponte delle paratie stagne, lungo il quale si può percorrere la nave per l’intera lunghezza.

- Copertini, sono i ponti parzialmente estesi in senso trasversale.

- Stiva, è lo spazio sottostante l’ultimo ponte.

- Sentina, è il fondo della stiva.

Sulle navi militari i ponti sottostanti quello di coperta vengono denominati: 1° corridoio…, 2° corridoio ecc..

DIMENSIONI PRINCIPALI:

LUNGHEZZA TRA LE PERPENDICOLARI
E’ la distanza tra perpendicolare avanti e perpendicolare dietro..

LUNGHEZZA AL GALLEGGIAMENTO
E’ la lunghezza della figura di galleggiamento.

LUNGHEZZA FUORI TUTTO
E’ l’ingombro longitudinale massimo della nave comprendente ogni appendice. E’ importante per l’ormeggio, la manovra in acque ristrette, l’immersione in bacino, ecc..

LARGHEZZA AL GALLEGGIAMENTO
E’ la lunghezza massima della figura di galleggiamento.

LARGHEZZA MASSIMA
E’ l’ingombro trasversale massimo della nave. E’ importante per l’ormeggio, l’immissione in bacino ed il transito in canali ristretti.

ALTEZZA DI COSTRUZIONE
Viene definita come la distanza verticale tra la linea di costruzione e retta del baglio.

IMMERSIONE
E’ la distanza verticale tra piano di galleggiamento e linea di sottochiglia.

PESCAGGIO
E’ l’immersione massima che tiene conto delle appendi ci di carena. E’ importante per l’ormeggio e il passaggio su bassi fondali.

MARCHE DI IMMERSIONE
L’immersione viene letta con l’ausilio di apposite marche saldate a scafo dette marche di immersione. Tali marche si trovano in corrispondenza di perpendicolari avanti, dietro e al mezzo.

Galleria fotografica
L'ultima realtà ancora vivente : il Florette
Il Florette venne varato nel 1921 dal cantiere Picchiotti di Viareggio per conto dell'Armatore Giovanni Telara con porto di Armamento Viareggio. Venne adibito sopratutto al trasporto del marmo da Carrara principalmente verso i porti del Mediterraneo.
E' uno degli ultimi velieri del Mediterraneo progettati e costruiti senza motore.
Lungo ft 40 m, largo 7, immersione 3,20 m, bordo libero 2,50 m, altezza albero maestro 25 m. sul ponte.
Superficie velica 550 mq. Velocità 12 nodi. E' uno dei pochi brigantini ancora in esercizio: acquistato in seguito da Ron Haynes, attuale Armatore, venne trasformato in nave da diporto pur mantenendo intatte le qualità e le caratteristiche originarie.
Oggi effettua crociere turistiche nelle località più belle del Mediterraneo, mantenendo viva l'antica tradizione velica del nostro mare.



crediti
REDAZIONE di Lucio Benassi Carrara, 10 novembre 2016
Altre informazioni da CarraraOnline.com
Si ringrazia Chiara per aver fornito aneddoti personali

BIBLIOGRAFIA,
- Romano Bavastro, “Le Vele del Marmo”, con Pietro di Pierro, premio città di Salò nel 2003, per la ricerca storica, Bandecchi & Vivaldi ed., 2003.
- Giovanni Nino Telara, “Ricordi della vecchia Marina”, a cura di M.Bernieri, Aldus Ed. in Carrara, 1994.
- Giorgio Bogazzi, Marina di Carrara, ieri, oggi e domani, Stamperia Editoria Apuana, Carrara, 1979.
- AA.VV., Museo di Luni, schede didattiche, Sarzana, 1981.
- Archivio di Stato di Massa. Massa-Carrara.
- http://nauticaversilia.com/portale_nautica_versilia/velieri.asp
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