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Sezione a cura di Mario Volpi
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Un costoso salto nel passato

Attualità
Spetta/Le Redazione
Uno alla mia età, pensa di aver visto la quasi totalità delle bizzarrie degli umani! Sbagliato!

Dopo oltre un mese d’incertezza meteorologica, il mese di giugno forse si è ricordato che è uno dei mesi deputati alle giornate al mare, e pare che abbia deciso di concedere a noi poveri umani, questa opportunità a lungo agognata. Come ogni estate, il ritorno sulla spiaggia dove si va da decenni, rinsalda vecchie amicizie, ne procura di nuove, e spesso fa ritrovare amici che non si rivedeva da una vita. Questo è esattamente ciò che è successo a me, proprio il primo giorno del mio ritorno in spiaggia. Appena entrato, ho risposto al caloroso saluto del proprietario dello stabilimento balneare, e mentre insieme a mia moglie mi fermavo un attimo per fare i convenevoli di rito, ho notato seduto all’esterno del bar, un corpulento signore completamento assorto nella lettura della Gazzetta dello Sport. Aveva attratto la mia attenzione perché essendo in short, mostrava le gambe di un bianco quasi accecante, in netto contrasto con le braccia perfettamente abbronzate. Anche il barista mi salutò calorosamente pronunciando il mio nome, cosa che procurò al signore misterioso, uno scatto improvviso, e quando abbassò il giornale che stava leggendo, ambedue vedendoci corremmo uno verso l’altro, finendo in un caloroso abbraccio. Il corpulento signore infatti, era Carlin ‘l ner, (Carlino il nero) come lo chiamavo una vita fa. Io e lui avevamo iniziato insieme il nostro percorso lavorativo, appena finita la scuola, addirittura nella stessa officina. Mentre io ero attratto dalla meccanica, Carlo, lo era in maniera altrettanto forte dalla forgiatura a caldo del ferro, un tempo molto in voga per la costruzione di gazebi, ringhiere, e inferriate artistiche. Questa sua passione, e la sua corporatura non certo esile, gli fruttarono il sopranome, Carlino, per la sua stazza, e il Nero, perché le sue mani anche lavate più volte conservavano sempre un colore nerastro, dovuto al maneggio continuo di carbone e fuliggine. Io da ragazzo ero un vero “mercenario,” e cambiavo spesso datore di lavoro andando dove la paga, anche se sempre misera, era più alta, lui invece rimase fedele alla prima officina anche perché aveva instaurato con il vecchio “magnan” (fabbro) che di fatto era il suo maestro, un rapporto molto speciale, non usuale al tempo. In seguito si era trasferito a Pietrasanta in una grossa officina specializzata raccomandato proprio dal suo mentore, perché nel frattempo lui stesso era diventato un vero “maestro” nel suo lavoro. Il sevizio militare lo destinò come tutti i carrarini nei regimenti Alpini, nel Nord Italia, dove oltre alla ragazza che sarebbe in seguito diventata sua moglie, trovò anche un posto di lavoro più che soddisfacente, proprio in un’officina specializzata in lavori artistici in ferro battuto. Per molti anni ci vedemmo sempre più di rado fino a quando non lo vidi più. Oggi era la prima volta che ci si ritrovava dopo decenni e la nostra commozione era palpabile. Ordinammo da bere e dimentichi completamente della spiaggia che ci attendeva, ci tuffammo nei ricordi. Mi disse che  dopo aver sposato Sonia, con cui aveva avuto due figli, oggi viveva nelle vicinanze di Torino, in una villetta di proprietà che aveva appena ristrutturato. Chiese di me e della mia famiglia, e colsi l’occasione per invitarlo la sera a cena a casa mia, cosa che accettò con gioia. Passato il primo momento di commozione gli domandai se fosse ormai in pensione come me, e lui rispose che “per gli imprenditori la pensione non arriva mai!” Conoscendo il soggetto, famoso per i suoi scherzi e le battute salaci, non caddi in quella che secondo me era una trappola linguistica, e non gli chiesi cosa facesse, ma questa mia curiosità fu esaudita da lui stesso quando mi disse ”sono un armoraro, costruisco armature medievali!” Io stetti al gioco e serio in volto risposi, “e io devo confessarti che sono l’uomo Ragno!” Lui rise di gusto e mi disse che non stava scherzando affatto, e che la sua fabbrica che mandava avanti con i suoi figli, era assai famosa, con clienti anche oltralpe. Poi per suffragare le sue parole estrasse il telefonino e mi mostrò un vero e proprio catalogo di antiche armature medievali, intere o a pezzi, tutte in acciaio, forgiate rigorosamente a mano. Dopo un attimo di sbigottimento, rimasi allo stesso tempo sorpreso e ammirato per ciò che riusciva a fare solo con l’aiuto di una fiamma ossidrica e di un martello. Lui s’infervorava sempre più nello spiegarmi della minuziosa ricerca storica che aveva compiuto nei decenni, fotografando antiche armature esposte in prestigiosi Musei in tutta Europa, e che le sue armature erano famose proprio perché copie fedeli di quelle realmente indossate da grandi condottieri, o famosi cavalieri del passato, tutte rigorosamente in metallo di due millimetri, non a caso pesanti oltre 25 Kg. Anche le antiche armi come spade e spadoni, erano realizzate a mano con vero acciaio e subivano i trattamenti termici come quelle vere, la sola differenza era che queste non erano affilate. Mi disse che per realizzare un solo elmo chiuso potevano volerci oltre settanta ore di lavoro, mentre per un’intera armatura almeno trecento, ecco perché il costo poteva arrivare tranquillamente alle quattro cifre. Con malcelato orgoglio affermò che aveva ordinazioni per oltre un anno, e che era nella ricerca disperata di un valido fabbro, che potesse piano piano sostituirlo e continuare l’attività con i suoi figli. Io, a casa, ore dopo, mi sono chiesto a quale scopo una persona del ventunesimo secolo, dovesse arrivare a spendere migliaia di Euro per indossare un’armatura da cavaliere o parti di essa; solo per rivivere le emozioni del passato? Ma del resto, come recita un vecchio adagio “il mondo è bello perché è vario” quindi c’è posto anche per qualche “ quasi cavaliere” nato però, oltre cinque secoli dopo gli originali.
Mario Volpi 25 6 23
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