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Sezione a cura di Mario Volpi
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Permette signorina

Una Volta Invece

Spetta/Le Redazione
30 ott 2013

Il ballo ha avuto un ruolo importantissimo nell'evoluzione umana, è servito a ingraziarsi gli dei per il successo nella caccia, o per vincere la paura prima della guerra. In tempi più moderni è servito per dare sfoggio di potere e di ricchezza, fino ad arrivare a ridosso dei nostri giorni dove, per i nostri nonni, era un modo per effettuare un goffo corteggiamento nei confronti della ragazza amata. Oggi purtroppo, ha perso ogni valore sociale, usato come pretesto per riunirsi in luoghi dove esso non è più il protagonista principale.

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Permette signorina?

Quando ero bambino, nel periodo estivo, in ricorrenza di festività particolari come quella di San. Giovanni, erano organizzati nell’aia, all’ombra del pergolato ricoperto di edera, dei pomeriggi danzanti.
Veniva gente anche dalle case vicine, le ragazze, vestite a festa, erano accompagnate dalle madri, o dalle sorelle già sposate, mentre i ragazzi con i capelli unti da chili di brillantina, sfoggiavano candide camice e calzoni alla zuava. La musica era assicurata dalla fisarmonica di Domè il barocciaio, e dal mandolino di Antò, musicisti improvvisati e assolutamente autodidatti, che ogni tanto facevano una pausa per mangiare un pezzo di baccalà marinato che pescavano da una casseruola di terracotta, e bere un bicchiere di vino, dono anche questo dell’organizzazione.  Il repertorio non era molto vasto, e spaziava da un paio di valzer, ad una mazurca, con rare incursioni nel più impegnativo tango. Io come gli alti bambini, ci divertivamo moltissimo nel vedere il buffo modo che avevano i giovanotti nel chiedere il ballo, si presentavano quasi sull’attenti davanti alla ragazza seduta, che conoscevano benissimo, perché la vedevano tutti i giorni, e con un piccolo inchino chiedevano con voce melensa “permette signorina?” Dopo l’assenso della madre o della sorella, la ragazza si alzava, e cominciava a ballare con il giovanotto, ben attenta che tra i due corpi vi fosse un buon palmo di spazio, pena l’immediato ritorno a posto strattonata da una madre o da una sorella arrabbiatissime.
A quei tempi a Carrara esisteva un solo locale preposto al ballo, era situato sulla sponda destra del Carrione, nell’attuale Via Piave allo Stadio. Era una specie di capannone di legno, dipinto di celestino chiaro, con le grondaie ornate da tavole intagliate a simulare una baita di montagna, l’ingresso era protetto da una specie di balconata sempre in legno, e coperto da una veranda variopinta. La gente lo chiamava “da Gelsè” ed io a tutt’oggi non so se fosse il vero nome del locale, o solamente, com’è più probabile, il nome del proprietario.
Per amore di verità, devo dire che a Carrara esistevano altri luoghi dove si ballava, come sotto il palazzo delle Poste, o alla Moretta, ma in ricorrenze particolari, e non adibiti a questo scopo specifico.
In tutti questi locali la musica era assicurata da dilettanti, talvolta anche molto bravi, ma che svolgevano questo lavoro come attività secondaria, spinti dalla necessità di arrotondare il magro bilancio famigliare, o più semplicemente dalla passione per la musica. Fu nei primi anni sessanta, in pieno boom economico, che sull’onda del travolgente successo dei Beatles e dei Rolling Stones, che anche in Italia si assistette alla nascita esponenziale di complessi musicali. Si è calcolato che in dieci anni ne nacquero più di 4000, alcuni durarono solo pochi mesi, altri divennero una leggenda come i Camaleonti, i Pooh, i Nomadi, e i Dik Dik, solo per citarne alcuni dei più famosi.
Anche la neonata elettronica venne in aiuto a questi gruppi musicali, con l’adozione di nuove apparecchiature, come gli amplificatori, e le chitarre elettriche, capaci di produrre una gamma pressoché infinita di nuove tonalità, ma soprattutto, a un volume sonoro adatto anche a grandi spazi. Nacquero così, una miriade di sale da ballo, anche i luoghi che oggi farebbero inorridire un moderno addetto alla sicurezza, alcune duravano il tempo di un’estate, ma altre sono diventate un mito, come la Bussola, la Capannina in Versilia, o il famosissimo Piper romano.
Cambiò radicalmente anche il tipo di ballo che vi si praticava, valzer, tango, mazurca, considerati da “matusa” cedettero il passo a danze importate dai paesi anglosassoni come il Rock and Roll, e il Twist, o dal Sud America come il Cha Cha Cha. Alla fine degli anni sessanta, nelle sale da ballo prese sempre più campo, per ragioni pratiche ed economiche, l’uso del giradischi al posto dell’orchestra dal vivo, nacque così una nuova figura artistica; il disc jockey.
Molti cinematografi furono trasformati in questi nuovi locali, subito ribattezzati discoteche, alcuni dei più grossi, si dotarono di più piste, per offrire diversi tipi di ballo contemporaneamente alla loro clientela.
A quei tempi l’apertura di questi locali avveniva alle ore 15 di sabato e domenica, e la chiusura era alle ventiquattro il sabato, e alle venti la domenica. Anche il modo di chiedere il ballo era cambiato, non si usava più la pomposità quasi impacciata degli anni passati. Questo accadeva perché si credeva che un eventuale rifiuto della ragazza, oltre a fare brutta figura, innescasse un effetto domino anche con quelle vicino. Così si usava un appena sussurrato “balli?” O spesso un gesto quasi impercettibile della mano o del capo. Si sviluppò anche un tipo di ballo in pratica senza schema, detto “lento,” in cui al contrario di quanto avveniva un tempo, i due partner ballavano tenendosi abbracciati, tenendo i loro corpi a contatto. Fino a tutti gli anni settanta poi, era molto praticato dal pubblico maschile, una specie di turismo della danza, che consisteva nello spostarsi anche per molti chilometri alla ricerca di locali da ballo in paesini isolati, con la speranza, risultata quasi sempre vana, di trovare ragazze sensibili al fascino del cosiddetto “cittadino,” ma che finivano invariabilmente con furiose scazzottate con i maschi locali, gelosi delle loro donne.
Oggi le discoteche sono profondamente cambiate, sia nell’architettura, sia nei contenuti. Giochi di luce, musica ad alto volume, alcoolici, e spesso droghe, sembrano essere alla base del divertimento dei giovani, relegando il ballo a un ruolo quasi marginale. Anche gli orari di apertura e chiusura sono stati pesantemente estremizzati, rendendo il tutto forse oltre la soglia biologica sopportabile dal corpo umano. Ai nostri nonni bastava il suono della fisarmonica di Domè, o l’assolo del mandolino di Antò, per sognare di essere un Rodolfo Valentino, mentre guidavano la dama in un tango appassionato. Oggi, molti, cercano a tutti i costi il modo di sballare, di perdere la cognizione con la realtà, ingurgitando alcool e droga, spesso, fino alle estreme conseguenze. Ma è davvero questo il nuovo modo di divertirsi?


Volpi Mario

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