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Sezione a cura di Mario Volpi
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Parassiti di pietra

Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Ricostruire nei luoghi d'origine, o in luoghi più sicuri? Tenere in vita i piccoli paesi o abbandonarli al loro destino? Sono queste le domande che si sentono fare nelle innumerevoli trasmissioni televisive che si succedono dopo il disastroso terremoto del centro Italia. I nostri lettori cosa ne pensano?
Parassiti … di pietra
In Italia sono presenti centinaia di piccoli paesi, per lo più sulle Alpi o sugli Appennini, con meno di cento abitanti. Le cause del loro spopolamento, hanno le radici in un recente passato. Agli inizi del novecento, per far fronte a una feroce miseria, causata da una diffusa disoccupazione, migliaia d’italiani dovettero lasciare le loro case per emigrare nel Nord- Europa o nelle Americhe. I Governi che si sono succeduti, non solo non fecero nulla per arrestare questa emorragia di persone, ma anzi la incoraggiarono, questo per diversi motivi, tutti di natura economica. Uno dei più importanti fu sui guadagni che il Governo faceva sulle rimesse che gli emigrati spedivano ai loro congiunti rimasti in Patria, garantendosi così un afflusso di denaro fresco, in moneta forte, a costo zero. Non era da sottovalutare poi, che la mancanza di manodopera, causò una timida ripresa occupazionale, consentendo alla popolazione rimasta, di sopravvivere alla meno peggio, alla terribile crisi economica mondiale del 1939. Ben più vergognoso, e grave, fu invece il patto che il Governo Italiano stipulò dopo la seconda guerra mondiale con il Belgio, che consisteva nell’invio di manodopera in cambio di carbone. Gli operai non dovevano avere più di trentacinque anni, e soprattutto, essere in buona salute. Le liste erano stillate dal Consolato Belga in Italia, che curava le partenze di circa 2000 unità settimanali. Si calcola che siano stati oltre 65.000 gli italiani andati, loro malgrado, a lavorare nelle pericolose miniere belghe. La tragedia di Marsinelle dove persero la vita 262 minatori italiani, fece saltare questo sciagurato accordo.
Così, per molti paesi, che per secoli avevano offerto cibo e lavoro ai loro abitanti, cominciò un lento ma inesorabile declino. Per alcuni di essi, che aveva la fortuna di sorgere in luoghi con qualche attrazione turistica, attorno agli anni settanta, cominciò qualche lavoro di ristrutturazione alle vecchie case, ad opera magari, dei figli dei vecchi proprietari, che le usavano per le vacanze estive, o invernali, ma per la maggior parte di quelli restanti il degrado, e l’abbandono, continua a tutt’oggi.
Ed è proprio qui che sorge un grosso interrogativo, che ancora oggi divide le opinioni delle Autorità comunali e governative; è meglio cercare di salvarli, o è più saggio abbandonarli? Alcune Amministrazioni Comunali, sostengono che mantenere in vita un piccolo borgo magari arrampicato sui fianchi di un’impervia montagna, sia inutile e antieconomico. Mentre altre sono arrivate a mettere in vendita alcune case al costo simbolico di 1 Euro, con l’obbligo però della loro ristrutturazione, nell’estremo tentativo di far rivivere, quelli che ormai, sono a tutti gli effetti, dei paesi fantasma. Cerchiamo allora di sostenere un esame dei pro e dei contro, di queste due tesi, senza alcuna partigianeria, né per l’una, né per l’altra. Prendiamo per prima in esame la tesi dell’abbandono. Un noto architetto, disse durante una conferenza stampa, che alcuni di questi piccoli paesi, possano essere accomunati con dei parassiti, in questo caso, parassiti di pietra, che succhiano denaro, quindi linfa vitale, alla Società, senza dare nulla in cambio, e ne elencò le ragioni. Per prima cosa le comunicazioni. Tenere aperta, e manutenzionare una strada, lunga magari parecchi chilometri, che s’inerpica su per una montagna per pochissimi abitanti, è costosissimo, se poi la suddetta strada è soggetta ad abbondanti nevicate invernali, che necessita l’uso di macchine spazzaneve, è molto antieconomico. Vi è poi il costo esorbitante per fornire con lunghe e spesso complicate linee, i servizi essenziali, come energia elettrica, rifiuti urbani, acqua, telefono, fognature, e trasporti pubblici. Vi sono poi i servizi alla persona, come, Ufficio Postale, Scuola, e Ambulatorio medico, necessari per tenere in vita una comunità anche se minuscola. Va da se che il paese deve avere qualche attività economica, che possa fornire una fonte di reddito ai suoi abitanti, poiché, sarebbe impensabile proporre a costoro, uno scomodo e costoso nomadismo lavorativo giornaliero. Quindi, è purtroppo dimostrato l’alto costo che comporta tenere in vita, un piccolo e spopolato paese.
A favore della seconda tesi, vi sono soprattutto ragioni paesaggistiche, storiche, e sentimentali. Alcuni paesi sono veri e propri gioielli, incastonati come pietre preziose sui fianchi di verdi e boscose colline, la cui cura, e sfruttamento, nei secoli passati, oltre a rendere unico il paesaggio, hanno fornito il sostentamento a quelle popolazioni. La totalità degli antichi borghi, è sorta in quei luoghi specifici, proprio per sfruttarne le risorse, come agricoltura, pastorizia, carbone vegetale, o commerci sulle antiche vie di comunicazione. E’ pacifico che oggi alcune di queste attività, non esistono più, e quelle rimaste, difficilmente potrebbero sostenere un’intera comunità. Per favorirne il ripopolamento si stanno vagliando varie ipotesi, ma purtroppo tutte che prevedono massicci investimenti pubblici, per la ristrutturazione delle case ormai in rovina. Il recente disastroso terremoto di Amatrice, poi, ha evidenziato l’estrema fragilità del patrimonio edilizio secolare dei nostri antichi borghi, e la sua quasi impossibile, se non ha fronte d’investimenti milionari, messa in sicurezza. Qualcuno ipotizza perfino di farli ripopolare dai migranti che arrivano nel nostro paese, ma anche qui, sorge il dilemma, cosa potrebbero fare per il loro sostentamento?

Mario Volpi
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