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Sezione a cura di Mario Volpi
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Sacri bronzi

Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
In un tempo dove le nostre millenarie tradizioni vengono messe in discussione da una mentalità becera e ottusa, dove la Chiesa si è trasformata in una potentissima Holding finanziaria interessata solo al capitale, anche la crisi economica contribuisce a questa vera e propria demolizione del nostro patrimonio artistico e culturale. Così  le nuove generazioni non udranno più il maestoso e solenne suono dei sacri bronzi; un vero e proprio omicidio culturale.
Sacri bronzi
Per millenni la colonna sonora del Vecchio Continente, è stata dominata dal suono delle campane. Contrariamente a quanto molti credono, però, questo vero e proprio strumento musicale non è nato con la Cristianità, ma molto prima. Si hanno reperti archeologici di campanelli, ritrovati in scavi eseguiti in Siria, Egitto, e perfino in Cina, risalenti a molti secoli prima della nascita di Cristo. Anche gli antichi Romani li conoscevano, e li chiamavano” tintinnabulum”, ed erano ampiamente usati, sia per le cerimonie sacre, ma anche per non perdere gli armenti.
Fu nell’alto Medioevo che la campana si affermò prepotentemente nella liturgia religiosa, non solo del nostro paese, ma in tutta Europa. Si hanno notizie che attestano l’uso di rudimentali campane in conventi e abbazie, usate come segnale per scandire i tempi della preghiera, del lavoro, e del riposo. Da prima di piccole dimensioni, costituite da lamine di ferro, battute a mano, con il progredire della tecnologia metallurgica, le campane furono costruite tramite fusione, usando un metallo che non si ossidasse; il bronzo. Secondo una teoria, tra leggenda e verità storica, non verificabile, fu il Vescovo Paolino da Nola attorno al 400, a stabilire che per la liturgia nelle Pievi si dovesse usare il suono della “ vasa campana” ossia dei vasi della Campania, come al tempo erano chiamate le prime campane. La costruzione e l’uso delle campane andò aumentando di pari passo con il rafforzarsi del Feudalesimo, dove i signorotti del tempo profondamente religiosi, facevano a gara tra loro per dotarsi di campanili sempre più alti, con campane sempre più grosse, perché portassero a Dio le loro lodi. Così con il passare dei secoli si andò formando una vera e propria arte nella fusione delle campane, che ora, non solo avevano una forma perfetta, con bassorilievi meravigliosi, ma potevano addirittura essere “intonate” in fase di progettazione. Si formarono delle vere e proprie dinastie di fonditori, con botteghe conosciute in tutta Europa, che hanno continuato la loro attività, tramandata da padre in figlio, per secoli. Una delle più antiche è certamente la Fonderia Pontificia Marinelli, situata ad Agnone in Molise, tanto famosa da ottenere dal Pontefice in persona, nel 1924, l’onore di avvalersi per le loro fusioni dello Stemma Pontificio, da qui il nome. Non si sa in quale epoca, a qualcuno di questi veri e propri artisti fonditori, venne l’idea di costruire una serie di campane che potessero in qualche modo eseguire una scala musicale. Nacquero così i “concerti”, costituiti da più campane, che potevano riprodurre una scala musicale diatonica. Evolvendosi lo strumento, si ebbe la naturale evoluzione anche del suonatore, in questo caso il campanaro. Nei secoli precedenti, sovente il campanaro, era anche il sacrestano, un individuo spesso con gravi problemi fisici, che la comunità aiutava dandogli vitto e alloggio in cambio dei suoi servigi all’interno della Pieve. Ma con il nuovo sistema, specialmente nelle chiese più grandi, questo non era più possibile. In primo luogo, perché il campanaro doveva salire sul campanile, spesso per scale irte e pericolose, e poi perché doveva avere “orecchio” musicale. Nacque così una nuova professione, molto importante nelle antiche comunità, che contemplava addirittura l’aiuto di apprendisti, cui doveva insegnare il mestiere, non solo di suonare, ma anche di “produrre” armonie per le campane. Il suono delle campane sembra uguale dappertutto, ma la realtà e ben diversa, e la ragione è racchiusa nella storia millenaria del nostro Paese. In epoca medievale, il territorio che dopo secoli si sarebbe chiamato Italia, era frammentato in una miriade di Stati e Staterelli, dominati dal potente di turno, chiusi ermeticamente nel loro fortilizio sociale, dove nessuna idea entrava o usciva. Così anche una cosa semplice, come suonare le campane, ebbe uno sviluppo diverso in base al luogo dove questo avveniva. Oggi si ha il sistema alla Bolognese, alla Lucchese, all’Ambrosiano, e a Carillon, per citare i più importanti. Senza scendere troppo nel tecnico questi sistemi si differenziano tra loro per il movimento della campana, o del suo batacchio. In alcuni sistemi, detti “a slancio” la campana oscilla, e il batacchio ne percuote il bordo, in altri la campana resta immobile e si muove solo il batacchio tramite una corda o a mano, a Carillon invece dei martelletti percuotono una fila di campane, e sono mossi da una rudimentale tastiera di legno. La costruzione di una campana era molto costosa, e difficile e complicato, per i mezzi del tempo, la sua sistemazione in cima ai campanili, anche perché le sue dimensioni crescevano, di pari passi con i progressi tecnologici, arrivando a pesare decine di tonnellate, perciò, esse erano usate solo per la liturgia religiosa. Il suono però, non conosce e non rispetta restrizioni di sorta, così nel corso dei secoli, l’uso delle campane è entrato di prepotenza a far parte della vita sociale quotidiana delle comunità. In un mondo totalmente privo di Media, era vitale inviare segnali che fossero capiti da tutti all’istante, così s’imparò a suonarle per segnare le ore del giorno, o a fuoco, in caso d’incendio, a martello, per attacchi nemici o eventi catastrofici, e a scongiuro durante i furiosi temporali che rischiavano di compromettere i raccolti. Nei miei ricordi di bambino sono ben vivi gli struggenti rintocchi dell’Ave Maria all’alba e al tramonto, il gioioso suono a distesa delle festività religiose più importanti, o durante il battesimo di un fanciullo, e i mesti rintocchi che accompagnavano un defunto all’ultima dimora. Il sabato Santo, poi, quando le campane si scioglievano per annunciare “Cristo risorto” mia madre mi bagnava gli occhi con l’acqua del “bazil”(bacile), per chiedere fortuna e salute, affermando che in quel momento era benedetta. Oggi purtroppo lo spopolamento delle campagne, ma soprattutto, la crisi economica, ha provocato la chiusura di molte chiese, e la mancata manutenzione di molti campanili, ha ridotto al silenzio moltissime campane, spesso sostituite da orrendi aggeggi elettrici chiamati pomposamente “campanili elettronici”. Così, la voce dei “sacri bronzi” che per millenni hanno onorato Dio, innalzando il “Gloria nell’alto dei cieli, ” tacciono, forse per sempre, per onorare un altro dio; il dio denaro.

Mario Volpi  
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