Artisti dell'ago - carraraonline.com

Sezione a cura di Mario Volpi
Vai ai contenuti

Artisti dell'ago

Una Volta Invece

Oggi, è talmente alto il numero di abiti che possediamo, che è stato necessario sostituire il vecchio armadio con la più capiente cabina armadio. Ma appena sessanta anni fa i capi di pregio di una persona raramente erano più di uno, e questo era tenuto di riguardo per le grandi occasioni. A tal proposito è emblematico il film magistralmente interpretato dal grande Renato Rascel "il Cappotto", dove il malfattore lo assale proprio per rubargli....il prezioso cappotto

File Audio del Racconto
Artisti dell'ago
Pret a porter. Questo francesismo, significa, “ pronto da indossare,” ed è il modo attuale d‘intendere la moda in gran parte del mondo. Nato subito dopo la seconda guerra mondiale, per l’esigenza di fornire capi d’abbigliamento a basso costo a un gran numero di persone, questo nuovo sistema di produrre abiti, ha letteralmente messo in pensione il sistema “su misura,”che aveva vestito l’uomo per millenni. Il mestiere del sarto, o della sarta, era una necessità insostituibile per la Società contadina di un tempo, non solo per la fabbricazione di capi nuovi, ma soprattutto per la manutenzione di quelli che già si possedevano. Oggi che impera un frenetico “usa e getta,” quello che sto per raccontare sembrerà una favola da narrare attorno al camino, nelle fredde sere d’inverno, ma invece purtroppo, per secoli, ha rappresentato per migliaia di persone la dura realtà. La figura del sarto, e della sarta, non erano, come si può pensare, dato i tempi, dovute a ragioni sessiste, ma assolutamente pratiche, perché con la divisione del lavoro era possibile portare il proprio settore a livelli di qualità altissimi. Appena fuori dal Borgo dove abitavo da bambino, vi era la casa di Pasquin il sarto, non ho mai saputo il suo vero nome, ne il perché di quel sopranome, lo si chiamava così e basta. Era un tipo di poche parole, piuttosto burbero, anche se mai scortese, vestiva sempre con un panciotto ricamato sulla camicia, e io non ricordo di averlo mai visto ridere. Lavorava in una piccola bottega sotto casa, con le pareti completamente nascoste da scaffali, contenenti moltissime pezze di stoffa, arrotolate attorno a parallelepipedi di cartone, per poterne mostrare la trama. Ma quello che mi affascinava erano i due manichini, che raffiguravano il torso di uomo e di bambino, senza mani e senza testa, posti su una specie di palo munito di treppiede. Erano fatti di un materiale morbido, pieni di spilli con la grossa capocchia di diversi colori, che nella mia fantasia fanciullesca, sembravano le frecce degli indiani che vedevo al cinematografo. Io andavo spessissimo in bottega perché ero amico e coetaneo di suo figlio Giusè, e ogni mattina andavo a chiamarlo per andare a scuola insieme. Spesso nei freddi e piovosi pomeriggi invernali andavamo a rifugiarci in bottega da Pasquin, e potevo vedere il sarto mentre “contornava” su una pezza di stoffa, con una specie di gesso duro, delle forme di carta, cha altro non erano che modelli, che poi andava a tagliare con delle enormi forbici. A volte arrivava il cliente per la prova e vedevamo Pasquin, diventare cortese e ossequioso, quindi dopo essersi legato al braccio una specie di piccolo cuscino pieno di spilli, ci sbatteva fuori della porta. Ma noi ci appostavamo alla piccola finestrina sul retro, e vedevamo il cliente di turno, spesso in mutande, con la sola giacca, o i soli pantaloni imbastiti col cotone bianco, compiere movimenti buffi, e scoppiavamo a ridere. Nel suo lavoro era un vero mago, tanto che si diceva che riuscisse a “raddrizzare anche i gobbi,” nel senso che riusciva con i suoi vestiti a mascherare piccoli difetti fisici. Sicuramente il lavoro che doveva svolgere più spesso era la rivoltatura. Questa operazione veniva fatta su vestiti di un certo pregio, come le “mutature” (completi da uomo) o i cappotti, e consisteva, dopo aver completamente “smontato” il capo, nel riassemblarlo con la parte che una volta era all’interno, a vista, mentre quella lisa e logora veniva messa all’interno, o coperta dalla fodera. Era anche un gran conoscitore di stoffe, e spesso ingaggiava delle epiche lotte dialettiche con i “viaggiatori” che volevano vendergli pezze di “lana o cotone fantastiche”, a un prezzo che a lui non stava bene, e potete stare sicuri che raramente i rappresentanti avevano argomenti per controbattere le sue affermazioni sulla qualità. Pasquin era anche ricordato nei proverbi, ad esempio “andar da Pasquin” significava due cose o sposarsi, o morire, perché era lui che vestiva il morto, o faceva il vestito per il matrimonio. La Marì, invece era la sarta da donna. Lavorava in casa, eternamente seduta a cucire vicino alla finestra, per sfruttare la luce del giorno, era specializzata nel creare i vestiti da sposa, e ricamare i corredi, cosa che faceva con una maestria senza pari, ma anche nel rivoltare polsini e colletti di camicie da uomo. Con una delle primissime Singer a pedale, faceva anche i vestiti da tutti i giorni, specialmente a noi ragazzini, spesso ricavandoli dalla stoffa dei sacchi del riso, o della farina, che la bottegaia dava alle nostre mamme. Anch’io sono stato suo cliente, per un paio di calzoncini corti e una casacca tipo marinaretta, che indossai per la mia prima Comunione. Sia il sarto che la sarta del paese, accettavano senza problemi, dalle famiglie in difficoltà, dilazioni nei pagamenti, o addirittura compensi in natura, questo la dice lunga sulla loro utilità anche sociale. Oggi, in Italia pur essendo leader mondiale per l’alta moda, e per la creatività dei nostri stilisti, i sarti su misura si possono contare sulle dita di una mano, non tanto per il costo di un vestito, quanto per l’abitudine che ormai ha la gente di comperare i vestiti già pronti. Anche il settore manifatturiero è scomparso dal nostro Paese, perché le grandi Aziende hanno delocalizzato la loro produzione in paesi del terzo, e quarto mondo, dove il costo della manodopera, e la pressione fiscale sono bassissime. Così un mestiere secolare sta cadendo nell’oblio, anche se la professionalità e inventiva dei nostri maestri sarti è universalmente riconosciuta come insuperabile nel mondo intero. A riprova di ciò, proprio alcuni giorni fa, la costumista cinematografica e teatrale italiana Milena Canonero, ha vinto il suo quarto premio Oscar per i costumi, e negli anni, ha ricevuto la nominescion per ben nove volte, vorrà dire qualcosa?

Volpi Mario
Racconti di questa rubrica
Lascia un commento


Nessun commento
CarraraOnline.com
CarraraOnline.com
Torna ai contenuti